venerdì 31 ottobre 2008

La recessione abita tra noi!


Il calo del 3,1 per cento dei consumi statunitensi nel terzo trimestre di questo davvero orribile 2008, anno bisesto anno funesto, rappresenta la dimostrazione palmare del fatto che la strenua resistenza delle cicale americane, durata ben quattro mesi dall’avvio della tempesta perfetta, è oramai definitivamente alle nostre spalle e che una repentina mutazione genetica le ha trasformate in formiche addirittura più parsimoniose delle loro omologhe di specie europea, continente nel quale il vincolo di bilancio viene tramandato di generazione in generazione, forse eredità virtuosa della lunga fase pauperistica che ha dominato tutto l’ottocento e buona parte del secolo successivo, una necessità assurta a virtù nei periodi bellici e nella lunga fase depressiva che pure colpì più duramente al di là che al di qua dell’Oceano Atlantico per buona parte degli anni Trenta.

Pur mancando dagli Stati Uniti d’America da ben ventisei anni, ho immaginato molte volte in questi lunghi quindici mesi di sommovimento del mercato finanziario globale che ha oramai raggiunto a pieno l’economia reale a stelle e strisce, così non mi è difficile ascoltare il silenzio delle casse dei mall e dei grandi centri commerciali, luoghi dove un tempo si poteva ascoltare un vero e proprio concerto di zip zip di quelle armi di distruzione dei bilanci familiari che prendono il nome di caste di credito revolving, sì proprio quelle che il reverendo più in voga negli States, tal Jenkins, vede come una sorta di strumento del demonio, al punto di chiedere alla vasta platea dei suoi fedeli e telefedeli di distruggere al culmine di cerimonie religiose che appaiono molto, ma molto simili alle riunioni degli alcolisti anonimi, fedeli che fanno letteralmente la fila per ascoltare le lezioni organizzate da questa davvero anomala congregazione sull’uso attento del denaro.

Non so cosa sta pensando di questa sorta di ravvedimento collettivo quella infermiera fervente fedele del reverendo Jenkins, assurta alle cronache per essersi del tutto disintossicata dalla sua smania spendereccia, ma solo dopo aver utilizzato la cinquecentesima carta di credito della sua vita, una patologia che ha pagato a caro prezzo impiegando ben dieci anni per ripagare tutti i suoi debiti e per giungere alla consapevolezza che è utile spendere sempre un po’ meno di quanto si guadagna, soprattutto se non si vuole entrare in una spirale che, almeno a sentire le sue parole, non è poi così diversa da quella vissuta dai tossicodipendenti di ogni ordine e specie o degli alcolisti giunti all’ultimo stadio dell’etilismo acuto!

Né stupisce il raddrizzamento della Corporation America, che ritrova, per quanto le è possibile nel relativamente breve volgere di tempo intercorso dall’estate dell’anno scorso, la via dell’export, mentre puzza tanto di esigenze elettoralistiche la continua espansione della spesa pubblica che è possibile scorgere dalle statistiche e che riguarda tutti i livelli di quella pubblica amministrazione statunitense, che, al di là dei miti e degli stereotipi, è molto più ampia e vorace di quanto si vuole fare credere, così come appare avere molta più consapevolezza del suo ruolo anticiclico all’alba di quella che si profila proprio come la più lunga recessione dal secondo dopoguerra mondiale, e sempre ammesso che non decida di durare quanto se non di più di quella che giustamente venne definita la Grande Depressione che, lo ricordo per i più smemorati, afflisse gli Stati Uniti d’America dal 1929 al periodo immediatamente successivo all’entrata in guerra degli USA nel corso del secondo conflitto mondiale.

Quando si dice, come sempre più spesso fanno i media, anche quelli più embedded alle logiche del capitale finanziario, che, dopo quello che stiamo vivendo, nulla sarà come prima, si dice qualcosa di sacrosantamente vero, perché mai abbiamo assistito ad un processo di autocoscienza collettivo come quello che stanno vivendo i cittadini degli Stati Uniti d’America, una nazione dalla maggior parte dei suoi abitanti considerata al pari della Terra Promessa del consumismo senza regole, una devianza dal modo corretto di vivere abilmente favorita da quello che è accaduto sul mercato finanziario globale grazie ai concomitanti processi di globalizzazione, finanziarizzazione e deregolamentazione, una miscella davvero fatale ampiamente favorita dalla distrazione dei regolatori e dei governi che si sono succeduti, nessuno dei quali ha mosso un dito per impedire quelle degenerazioni che hanno avuto origine nelle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali!

Un pessimo segnale è venuto ieri dal brusco innalzamento dei tassi sui mutui trentennali, i più diffusi in assoluto negli USA, un rialzo che è venuto all’indomani dell’ennesimo taglio dei tassi da parte della Fed fino al risibile uno per cento sui Fed Funds, mentre i tassi richiesti ai sottoscrittori di mutui di lunga durata superano di qualcosa di più di sei volte tale livello.

Se c’è una cosa che davvero non sopporto è rappresentata dalle lacrime di coccodrillo dei maggiori leaders mondiali e le lezioncine impartite da quei personaggi pomposamente etichettati quali governatori delle banche centrali, una vera e propria pletora di topi messi a guardia del formaggio, incluso l’inventore della felice formula, il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti o il suo nuovo duellante Mario Draghi, un uomo che ha vissuto le vicende dell’Investment Banking da entrambi i lati della barricata, prima come committente del più grande processo di privatizzazione mai vissuto da un paese industrializzato, riunioni con le Big Five statunitensi sul panfilo Britannia incluse, una performance così brillante agli occhi dei suoi interlocutori da meritargli i galloni di alto ufficiale della molto potente ed ancor più preveggente Goldman Sachs che gli affidò i suoi destini europei e lo cooptò nella sua direzione strategica globale, prima che riassumesse i panni un po’ grigi di civil servant rilevando dalle mani di Antonio Fazio la guida di una Banca d’Italia al suo minimo storico di credibilità.

Spero solo che i due nuovi duellanti ed il loro finto arbitro che risponde al nome di Silvio Berlusconi risparmino a tutti nuovi una nuova edizione di quelle allegra comari di Windsor, un remake delle baruffe chiozzotte tra due personaggi agli antipodi come erano l’allora ministro delle finanze, commercialista in quel di bari e socialista quando il suo era il partito dei ani e delle ballerine, ed il compianto Beniamino Andreatta, a quel tempo ministro del Tesoro e che passerà alla Storia per aver costretto l’Istituto per le Opere di Religione allora gestito da Paul Marcinkus da Chicago a sborsare qualche centinaio di miliardi di lire!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

giovedì 30 ottobre 2008

Bernspan ha ormai vuotato il caricatore!


Con una decisione ampiamente prevista e del tutto scontata dal mercato, Bernspan ed i suoi soci assisi ai loro scranni nel Federal Open Market Committee hanno compiuto il loro ennesimo, e ragionevolmente, almeno, ultimo, taglio del tasso sui Fed Funds portato alla risibile entità dell’uno per cento, come già prima di lui fece il suo Maestro Alan Greenspan nel 2004, un tasso che è in realtà negativo, ove espresso in termini reali, di quasi tre punti percentuali, un livello nominale che, comunque, prima di Bernspan e Greenspan non era mai stato toccato dal lontano 1958, ai tempi della presidenza del generale Dwight Eisenhower.

Il FOMC ha, allo stesso tempo, ridotto di mezzo punto anche il tasso ufficiale di sconto, portandolo dall’1,75 all’1,25 per cento, un tasso relativo ad un’operazione pressoché scomparsa nei decenni precedenti lo scoppio della tempesta perfetta e che ora rappresenta l’unico biglietto che le entità finanziarie devono pagare per depositare per 84 giorni i loro titoli tossici, quasi alla pari e ricevendo in cambio denaro sonante, presso l’ampia discarica aperta dalla Fed di New York.

A parziale rettifica di quanto dicevo nell’incipit, la credibilità di Bernspan ha oramai toccato un livello così basso che non mancano osservatori ed analisti che non ritengono questa la fine della corsa al ribasso dei tassi di riferimento, ritenendo in totale buona fede che, se la situazione lo richiederà, si potrà anche scendere più in basso, in perfetta analogia con quanto da lunghissimo tempo è costretta a fare la Bank of Japan da lunghissimo tempo, senza peraltro che la sua ostinazione nel tenere i tassi allo zero virgola abbia prodotto alcun beneficio al gigante asiatico malato che, se ha segnalato negli ultimi anni qualche segnale di miglioramento, lo ha molto probabilmente fatto più per remissione spontanea di sintomi che per la terapia seguita dalla banca centrale nipponica, una terapia che, anzi, viene consigliata agli studenti di economia come esempio pratico di quella trappola della liquidità a suo tempo descritta da John Maynard Keynes.

Talmente scontata era la decisione della Fed, preceduta dal mini taglio dei tassi cinesi e da quelli norvegesi e certamente seguita a breve da quelli applicati nell’area dell’euro e in Gran Bretagna, che la prima risposta dei mercati azionari è stata la brusca interruzione del rally verificatosi nella seduta di martedì, sulla scia peraltro di quanto era avvenuto nei mercati azionari di quasi tutto il mondo, Piazza Affari esclusa ma che si è rifatta oggi con una crescita degli indici principali a due cifre.

Al di là dei movimenti davvero schizofrenici dei principali indici borsistici mondiali, resta il dato che, a parte la Banca Centrale Europea e la Bank of England, non esistono ulteriori margini di una riduzione significativa dei tassi di interesse né negli Stati Uniti, né in Giappone (anche se chi si spinge a prevedere un ritorno del tasso ufficiale di sconto dal risibile 0,50 per cento attuale al francamente ridicolo 0,25 mantenuto e del tutto inutilmente per lunghissimo tempo), mentre altrettanto senza ulteriori munizioni appare lo sforzo congiunto delle banche centrali dei maggiori paesi industrializzati di sostenere il dollaro a valori francamente irrealistici rispetto ai fondamentali, uno sforzo che, peraltro, non avrebbe prodotto assolutamente nulla se il panic selling avvenuto all over the world non avesse spinto massicce iniezioni di capitale dai paesi di più recente industrializzazione verso quegli Stati Uniti d’America che, a torto a ragione, sono considerati, insieme alla Svizzera, un porto sicuro in tempi di tempesta, figuriamoci quando, come ora, siamo nel pieno di una tempesta perfetta entrata con grande vigore nel quindicesimo mese di vita!

Ma, come mi sforzo di ripetere da oltre un anno, il problema non è tanto né sui mercati azionari, né su quelli valutari, ma continua ad essere quello del modello di sviluppo seguito tenacemente dalle banche di ogni ordine e grado e dalle altre entità a pieno titolo protagoniste del mercato finanziario globale, quel modello comunemente definito originate and distribuite che continua ad essere inceppato dal 9 agosto del 2007, portando così inevitabilmente ad una situazione dei relativi sotto mercati che è stato giustamente etichettato con termini quali congelato, del tutto il liquido, in una parola, completamente paralizzato e caratterizzato da ammontari dal valore nominale di parecchie decine di migliaia di miliardi di dollari, valori che, in caso di tentato realizzo, non vanno, per alcune tipologie di titoli della finanza strutturata, oltre i dieci centesimi per dollaro, meno della metà di quel prezzo spuntato qualche mese fa da John Thain per quei 30 miliardi di dollari di titoli altrettanto tossici (la definizione è dello stesso Thain) di quelli che oggi qualcuno si ostina a cercare disperatamente di vendere.

Certo la dotazione complessiva di 4 mila miliardi di dollari circa che i governi e le banche centrali hanno deciso di assegnare ai piani di salvataggio nazionali non rappresenta uno sforzo da sottovalutare, soprattutto da quando si è pressoché unanimemente deciso di destinarli all’ingresso di capitali pubblici nelle banche ed alla garanzia dell’umanamente garantibile in termini di depositi ed altri strumenti di raccolta, ma è altrettanto evidente che si tratta di di ben poca cosa in caso di default contemporaneo di una parte delle maggiori entità protagoniste del mercato finanziario, né va sottovalutata la recente stima della bank of England che vede a 2.800 miliardi di dollari le perdite complessive legate alla tempesta perfetta.

Già, perché, alla fine della fiera, il problema dei problemi continua a risiedere nell’entità del conto finale da pagare e, soprattutto, dall’entità delle perdite attribuibili alle banche, agli investitori istituzionali, agli hedge fund, ai carry traders, alle imprese non finanziarie ed ai contribuenti, così come è altrettanto chiaro che sulla suddivisione degli oneri realtivi si scatenerà una guerra sanguinosa e prolungata che utilizzerà tutti gli strumenti, più o meno leciti e più o meno trasparenti, utilizzabili dai diversi portatori di interessi coinvolti in questa pesantissima spartizione.

Al di là della pesantezza degli oneri che ogni categoria sarà chiamata a sopportare, non va mai sottovalutata l’ipotesi che la situazione non si incarti ulteriormente e non venga di fatto azzerato il valore di quella montagna di titoli della finanza strutturata che, sempre all’oramai irrealistico valore nominale, rappresenta più o meno metà del valore complessivo della ricchezza finanziaria a livello globale, stimata quest’ultima in 150 mila miliardi di dollari.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

mercoledì 29 ottobre 2008

Il tonfo di Unicredti e Intesa impedisce a Piazza Affari di partecipare alle festa delle borse di tutto il mondo!


Apparentemente incuranti dei dati disastrosi provenienti dall’indice del Conference Board che misura la fiducia dei consumatori statunitensi, calato di ben 20 punti a 38, e dall’ennesimo tonfo anno su anno a due cifre del prezzo delle case misurato dall’indice più attendibile a stelle e strisce, ieri gli investitori hanno voluto replicare l’exploit vissuto qualche lunedì fa dopo l’annuncio dell’adozione del piano di salvataggio delle banche europee adottato dai leaders dei paesi dell’eurozona, un piano, lo ricordo, che ricalca quello adottato poche ore prima da Gordon Brown e che ha influenzato fortemente il precedente piano Bush-Paulson-Bernanke, modificandone in corsa obiettivi e metodi di intervento.

Che questo fosse l’orientamento degli investitori istituzionali lo si era capito ieri mattina in Asia, con i forti rimbalzi dell’Hang Seng e del Nikkei 225, recuperi che, tuttavia, avevano consentito di recuperare solo una parte delle ingentissime perdite della seduta precedente, un’intonazione positiva riverberatasi su alcuni mercati azionari europei, come quelli di Londra e Parigi, che, dopo qualche incertezza, hanno marciato con il segno più ed hanno chiuso con rialzi intorno ai due punti percentuali, mentre un vero e proprio exploit ha caratterizzato il Dax di Francoforte, che ha risentito per il secondo giorno consecutivo della vera e propria prova di forza della Porche nei confronti dell’ostinazione barricadiera del Land che controlla, via potere di veto risultante dalla quota azionaria in suo possesso, la Volkswagen, una resistenza vanificata dalle azioni già in suo possesso più l’opzione ad acquisirne un ulteriore 30 per cento, un annuncio che ha consentito la triplicazione del valore dei titoli della casa automobilistica tedesca in sole due sedute ed ha consentito all’indice di chiudere la seduta con un rialzo dell’11 per cento.

La mossa del maggiore azionista della Volkswagen è suonata come una prova di fiducia nelle possibilità di recupero del settore automobilistico che, dopo quello finanziario e quello delle costruzioni, è stato certamente quello che ha subito nel modo più devastante l’effetto domino innescato dalle alte ondate della tempesta perfetta, un impatto cui non è estraneo il restringimento acuto delle possibilità di finanziamento ai potenziali acquirenti di autovetture e camion, finanziamento cui non sono certo estranei i potentissimi bracci armati finanziari controllati dalle stesse case automobilistiche, una mossa ancora una volta originatasi in Europa e che va in netta controtendenza rispetto a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti d’America, dove lo squalo Kerkorian e le disperate locuste stanno vistosamente riducendo le loro quote in Ford e Chrysler, proprio alla vigilia dell’arrivo dei finanziamenti agevolati al settore per iniziali 25 miliardi di dollari approvati a tambur battente dal Congresso ed istantaneamente firmati da Bush.

L’unico mercato azionario di un importante paese europeo ad andare ieri in netta controtendenza è stato quello di Milano, che, nonostante i vistosi recuperi della maggior parte delle società quotate, è stato letteralmente tirato verso il basso dalle ripetute sospensioni al ribasso che hanno caratterizzato gruppi bancari di primo piano come Unicredit Group ed Intesa San Paolo, con l’azione di Unicredit che ha chiuso la seduta con un clamoroso meno 13 per cento, mentre Intesa se l’è cavata con una flessione all’incirca pari alla metà di quella segnata dalla sua principale concorrente, il tutto mentre si è concluso con una sorta di nulla di fatto la riunione del comitato di crisi presieduto da Giulio Tremonti, con la partecipazione dei responsabili della Banca d’Italia, della Consob e dell’ISVAP, anche se più che di un nulla di fatto si è trattato del rinvio ad un’altra riunione che si terrà forse oggi, mentre nel comunicato finale si fa cenno alla situazione disastrosa segnalata dal meltdown in corso delle azioni dei due principali gruppi bancari italiani e da quella non certo felice che caratterizza le altre tre comprimarie.

Tutto era quindi pronto per il rimbalzo avvenuto poi a wall Street, anche se va segnalato che per buona parte della seduta l’incertezza la ha fatta da padrona es olo nelle ultime due ore si è capito che si stava preparando una chiusura a due cifre, il che è puntualmente avvenuto per il Dow Jones e per lo Standard & Poor’s 500, mentre il Nasdaq si è dovuto accontentare di sfiorare la soglia del 10 per cento di recupero, con andamenti relativi a singoli titoli bancari che hanno avuto del clamoroso come l’escursione di 20 punti percentuali che ha consentito ad un’affondata Morgan Stanley di passare dal profondo rosso ad un rialzo a due cifre, in linea con le maggiori banche statunitensi, mentre ha stupito i più la svogliatezza degli investitori nei confronti della potente e molto preveggente Goldman Sachs che non è andata oltre un segno più dello zero virgola.

Certo hanno pesato le certezze relative all’ennesimo taglio del tasso sui Fed Funds e del tasso ufficiale di sconto che rappresenta l’unico pedaggio da pagare per le banche di ogni ordine e specie per depositare i propri titoli tossici per 84 gironi presso l’amplissima discarica aperta dalla Fed di New York, ma di rilievo sono state anche la pubblicazioni dei dettagli relativi all’acquisto delle Commercial papers da parte delle entità individuate dalla Federal Reserve come proprio braccio armato per rivitalizzare questa fonte di finanziamento diretta alle imprese, cosi come l’annuncio da parte del Tesoro che è ormai solo questione di giorni per l’ingresso dello Stato nel capitale delle prime 30 banche operanti sul suolo a stelle e strisce, un’iniezione da 250 miliardi di dollari complessivi che esaurisce la prima tranche del piano governativo.

Ancora più esplicito è stato George W Bush, che nel suo ennesimo intervento a piedi uniti sul recalcitrante mercato, ha affermato a chiare lettere di non poterne proprio più dell’ostinazione delle banche a non fare il loro mestiere, rifiutandosi di fatto di finanziare le altre banche e, soprattutto, le imprese e le famiglie, fornendo così una giustificazione anche ideologica all’intervento statale nel capitale delle banche stesse, ma chiarendo al contempo che le nuove regole, la sostituzione di alcuni top bankers e le altre misure di contorno previste dal piano di salvataggio che oramai può tranquillamente essere definito globale sono assolutamente passi necessari per uscire dal pantano finanziario in cui si dibatte gran parte della società statunitense, per non parlare poi di quello che sta avvenendo in Europa e nel resto del pianeta!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

martedì 28 ottobre 2008

I banchieri statunitensi scendono dalle loro barricate dorate ed accettano l'ingresso dello Stato nel capitale delle banche!


Anche se non è servito a invertire la rotta di un mercato azionario che non è riuscito a sottrarsi agli effetti del crollo verticale registrato lunedì in importanti piazze asiatiche ed a quanto si è verificato in mattinata in Europa, è finalmente giunto l’annuncio del dicastero del Tesoro statunitense che rende noto a tutti che le fiere resistenze dei top bankers delle principali nove banche statunitense rispetto all’ingresso dei fondi federali per complessivi 125 miliardi di dollari e delle relative clausole sulle loro remunerazioni e un maggiore impegno nell’erogazione del credito all’economia erano svanite come neve al Sole e, quindi, l’operazione va avanti e si estende anche alle 20-22 banche regionali, due delle quali hanno già fatto ieri il loro outing, annunciando il raggiungimento di intese con il Tesoro per ricevere la loro parte della seconda tranche di 125 miliardi di dollari riservata da Paulson a questa tipologia di banche essenziali per i flussi di credito dalle stesse garantito alle imprese ed alle famiglie nelle rispettive aree geografiche di influenza.

Con questo annuncio, inoltre, viene chiarito che la parte dei 700 miliardi di dollari previsti dal piano di salvataggio riservata alla gestione del ministro del Tesoro facente capo all’amministrazione Bush è, di fatto, stata tutta impegnata, al netto dei 100 miliardi di dollari che il presidente oramai nelle ultime giornate di mandato pieno potrebbe stanziare in extremis, cosa che difficilmente avverrà senza un confronto sulle relative modalità di utilizzo con colui che sarà indicato dalle urne martedì prossimo, il quale non mancherà di sentire il parere del prossimo ministro del Tesoro, una carica per la quale si fanno i nomi di Paul Volker e del Leone di Omaha, Warren Buffett.

Non è di poco momento la considerazione che le cose sono andate in modo molto diverso da quanto aveva immaginato l’ex (?) banchiere di investimento opportunamente collocato dal giugno del 2006 al vertice di uno dei dicasteri più importanti dell’amministrazione Bush, soprattutto ove si consideri quanto era previsto nelle tre paginette tre da lui sottoposte ai leaders del Congresso, sicuro che, pur di evitare il rischio di un crollo sistemico dei mercati finanziari di tutto il mondo, non avrebbero scartato la carta del pacco ben confezionato che mirava esclusivamente a togliere le castagne dal fuoco delle maggiori banche statunitensi, inclusa, ovviamente, la potente e molto preveggente Goldman Sachs, acquistando, a prezzi del tutto fuori mercato, quei titoli della finanza strutturata che in larghissima parte loro stesse avevano confezionato nelle catene di montaggio funzionanti giorno e notte delle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, vendendoli agli investitori istituzionali, fondi pensione in primis, sia statunitensi che basati in tutti gli altri paesi del pianeta.

Ma il pacco avrebbe comunque trovato i suoi compratori, come in realtà è accaduto, seppur dopo qualche plateale colpo di scena e qualche regalo alle lobby di ogni ordine e grado per altri 150 miliardi di dollari, se non fosse entrato in campo il piano elaborato da un banchiere pentito ora membro pro bono del governo britannico e fatto proprio prima da un Gordon Brown a quel momento a picco nei sondaggi e poi dai suoi colleghi dell’eurozona, un piano che prevede stanziamenti multipli di quello previsto dal trio Bush-Paulson-Bernspan, ma che, soprattutto, aveva caratteristiche ben diverse, in quanto si prefiggeva lo scopo di effettuare interventi diretti nel capitale delle molto malmesse banche europee, ponendo precise e stringenti condizioni al management sopravvissuto alle eventuali, in parte già avvenute, epurazioni, garantendo, più o meno a piè di lista, i depositi e, per cinque anni, le emissioni obbligazionarie delle banche, a patto che venissero garantiti i livelli di finanziamento all’economia reale, il tutto nell’ambito di un processo di concentrazione delle principali banche europee, sotto l’accorta regia delle rispettive autorità monetarie.

L’annuncio di ieri fatto, non a caso, da un anonimo vice di Paulson e ripreso dalla oramai esausta Dana Perino, portavoce di Bush, mette il timbro ufficiale della conversione dei decision makers statunitensi folgorati sulla via di Londra, dando al piano europeo maggiori chance di riuscita, anche alla luce della nascita del piano di salvataggio asiatico da 80 miliardi di dollari partorito nel summit euro-asiatico svoltosi in quest’ultimo fine settimana di non riposo per i leaders mondiali.

Non del tutto a caso, proprio ieri il germanizzato Jean Claude Trichet a capo dei suoi neotemplari colleghi del board della Banca Centrale Europea, ha sentito il bisogno di annunciare che taglierà di nuovo il tasso di riferimento dell’area dell’euro il 6 novembre prossimo venture, e credo proprio che stavolta potrebbe decider di farlo in misura molto coraggiosa, anche perché prima di lui si muoveranno di nuovo Bernspan della Federal Reserve e King della Bank of England, le cui mosse daranno la misura della probabile entità del taglio che verrà operato dalla BCE.

Nel frattempo, ed anche in questo caso non del tutto a caso, lo yen giapponese ha preso il volo, quotando nella parte bassa dell’area dei 90 en per dollaro e rafforzandosi in modo del tutto significativo nei confronti dell’euro, della sterlina e di tutte le altre valute convertibili, in quanto è del tutto certo che non esistono margini per un taglio del tasso del risibile 0,50 per cento attualmente praticato dalla Bank of Japan, il che sta mettendo del tutto sotto pressione i carry traders, quelli che forse oggi stanno ancora peggio di quegli hedge funders apertamente minacciati da Paulson nel corso di una recente cena cui il ministro del tesoro USA ha partecipato con alcuni banchieri statunitensi, almeno secondo il racconto che ne ha fatto l’ex numero uno della oramai fallita Lehman Brothers, Dick Fuld.

Se qualcuno continua a sorprendersi per il vero e proprio crollo del prezzo del greggio e delle altre materie prime, derrata alimentari, stavolta, fortunatamente incluse, vuol dire che non ha capito proprio nulla di quello che era successo nel mercato dei derivati nei mesi scorsi, un tentativo malfatto e molto disperato delle banche e degli investitori istituzionali di rifarsi di almeno una parte delle ingentissime perdite capitalizzate, ed ancor più di quelle ancora da contabilizzare, derivanti dagli alti marosi della tempesta perfetta che non dà segno alcuno di diminuire la propria intensità pur essendo giunta al quindicesimo mese di una vita iniziata il 9 agosto del 2007, il giorno nel quale il magico mondo della finanza più o meno strutturata ha visto il cielo caderle addosso!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

lunedì 27 ottobre 2008

Il crollo dei mercati accelera i progetti dei governi sulle banche!


Dopo un ennesimo week end fitto di incontri multilaterali e bilaterali a margine del summit dei quarantadue paesi europei ed asiatici riuniti in Cina per dare modo di confrontare il piano di salvataggio delle banche e delle altre protagoniste del mercato finanziario europeo, poi ripresa con una correzione in corsa significativa del piano Bush-Paulson-Bernspan, con le idee dei maggiori paesi dell’Asia e che ha convinto questi ultimi a dare vita ad un fondo di salvataggio collettivo con una dotazione iniziale di 80 miliardi di dollari, cifra che appare largamente sufficiente, anche ove si consideri che il Giappone ha già provveduto unilateralmente a tamponare le falle del suo sistema creditizio.

Come sempre più spesso accade in questo quindicesimo mese di tempesta perfetta, i sogni dei governanti e dei banchieri centrali fatti quando i mercati sono rigorosamente chiusi per l’un tempo rispettata pausa settimanale si sono infranti sulla dura realtà dei mercati azionari che, sin da stamane in Asia, hanno fatto segnare nuovi minimi, con flessioni che vanno dal 6 per cento e spiccioli del Nikkei 225 giapponese al 12 per cento lasciato sul terreno dall’Hang Seng di Hong Kong, forti flessioni che trovano eco nelle altre piazze azionarie dell’estremo oriente.

Né può stupire, viste le premesse ed il pesante lascito della scorsa settimana, che anche le principali piazze europee non abbiano perso tempo a colorarsi di profondo rosso, con flessioni medie del 5 per cento che hanno riguardato il Footsie di Londra, il CAC 40 di Parigi, il Dax di Francoforte ed i principali indici di Milano, con le banche e le compagnie di assicurazione ancora una volta sotto tiro, mentre gli analisti e gli operatori non hanno certo trovato motivi di conforto nella previsione del Commissario agli affari economici dell’Unione europea, lo spagnolo Manuel Barroso, che non ha trovato niente di meglio da dire che la crisi bancaria durerà almeno un anno, il che vuole dire, alla luce del tempo già trascorso, che prevede una durata complessiva della tempesta perfetta non inferiore ai 27 mesi, una durata già di per sé eccezionale, mentre, forse per non spaventare ulteriormente i già atterriti risparmiatori/investitori, nulla dice circa la profondità della crisi finanziaria medesima, né suoi riflessi sull’economia reale, in termini di investimenti, reddito ed occupazione, anche perché gli stesi sono oramai sotto gli occhi di tutti.

Questo è il poco confortante quadro che si presenta in tarda mattinata sul nostro fuso orario, mentre nulla ancora si sa dei futures sui principali indici statunitensi, che, lo ricordo solo per dovere di cronaca, venerdì scorso sono stati sospesi nella loro contrattazione, al fine di impedire che generassero una caduta verticale dei tre indici statunitensi sin dal loro avvio, il che, assieme alle altre misure adottate dal comitato direttivo del New York Stock Exchange nei momenti di emergenza sin dal crollo dell’ottobre del 1987, hanno consentito al Dow Jones di segnare in chiusura una flessione cifrabile “solo” in qualcosa di più del 3 per cento, in linea, peraltro, con le chiusure del Nasdaq e dello Standard & Poor’s 500, anche se va segnalato che, oltre al freno a mano tirato dai vertici del NYSE, hanno contribuito a sventare un crollo di ben maggiori dimensioni anche la solita inondazione di liquidità da parte della Fed nonché l’annuncio di interventi per decine di miliardi di dollari nel capitale di altre 22 banche statunitensi.

Come ripeto oramai da alcune puntate del Diario della crisi finanziaria, la cosa più grave sta nel fatto che le autorità monetarie, governi e banche centrali, di tutto il pianeta hanno fatto già il possibile e l’impossibile per fronteggiare il meltdown in corso sul mercato finanziario globale, anche se in queste ore hanno ripreso a circolare voci di un possibile nuovo taglio concordato dei tassi di interesse ufficiali da parte delle banche centrali dei maggiori paesi industrializzati, una misura che potrebbe, tuttavia, avere sul mercato lo stesso effetto che stanno avendo i ripetuti interventi dell’ormai ex inquilino della Casa Bianca, interventi replicati dalla maggior parte dei leaders politici dell’Occidente industrializzato e, da poche ore, anche da quelli dei maggiori paesi asiatici e latino americani, mentre i leaders africani non sanno proprio più a che santo votarsi, visto che stanno nei guai da molto tempo prima che la tempesta perfetta facesse la sua comparsa il 9 agosto del 2007.

Non è poi così difficile prevedere che, in un clima così favorevole alle suggestioni più cupe della pubblica opinione, questa potrebbe essere la settimana giusta per procedere a quella occupazione manu militari da parte del potere politico delle maggiori banche poste al di qua ed al di là dell’Atlantico, anche se è vero che negli Stati Uniti d’America, gli interventi hanno già riguardato le trenta banche più importanti, mentre, in Europa, siamo a quattro banche inglesi, tutte le grandi banche francesi, una banca tedesca (cui vanno aggiunte le due salvate nei mesi scorsi e la Dresdner Bank acquisita dalla Commerzbank che è così finita sotto il controllo della compagnia di assicurazione Allianz), il Benelux al completo è intervenuto in soccorso di Fortis, rapidamente poi smembrata su base nazionale, lo Stato Olandese ha preso il controllo di quel che resta di ABN AMRO sul territorio nazionale ed ha iniettato 10 miliardi di dollari nel colosso ING.

A tanto attivismo al di qua ed al di là della Manica, non corrisponde alcuna iniziativa concreta in Spagna ed in Italia, ma, mentre il governo di Luis Zapatero sembra poter dormire sonni abbastanza tranquilli, almeno sul fronte dei colossi operanti in quel paese (non fosse per le crescenti preoccupazioni provenienti da quella America latina che rappresenta per entrambe un area di vitale interesse), il governo italiano si trova ad assistere alla progressiva liquefazione del valore delle azioni dei cinque principali gruppi, con particolare riferimento ai primi tre di essi, al punto che il silenzio proveniente da Palazzo Chigi diventa sempre più assordante e foriero di misure di carattere eccezionale che turbano il sonno dei nostri top bunker e, più di recente, anche dei plenipotenziari delle Fondazioni di origine bancaria che temono di vedersi scippato il “loro” gruzzolo di 76 miliardi di patrimonio, una dotazione di tutto rispetto che sembra rientri tra gli appetiti del per la terza volta ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.

Credo proprio che le prossime giornate saranno quelle decisive per le decisioni del governo e per le determinazioni sull’adeguatezza patrimoniale formulate, stavolta a tempo di record, dagli esperti della Banca d’Italia!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

domenica 26 ottobre 2008

Dopo le paure dei banchieri italiani arriva l'incubo dell'esproprio per le Fondazioni?


Il Sole forte ed alquanto imprevisto di questa domenica di fine ottobre mi induce a ritenere che la tempesta perfetta in corso da poco meno di quindici mesi ed i suoi devastanti effetti sulle maggiori protagoniste del mercato finanziario globale e, da qualche settimana, anche sull’economia reale siano solo un brutto sogno, sarebbe meglio dire un nightmare, come gli anglosassoni definiscono un incubo, ma, purtroppo, un rapida occhiata alle pagine web mi ricorda che è tutto vero e che lo sfacelo che abbiamo di fronte presumibilmente non rappresentano che l’anteprima di quello che ci aspetta nel futuro prossimo venturo.

Sarebbe, a questo punto, utili chiedere ai capi di Stato e di governo europei reduci dall’ennesimo summit di questi ultimi mesi, quello che ha riunito quaranta, dicasi quaranta, paesi europei ed asiatici (partorendo peraltro il primo fondo di salvataggio intergovernativo in quella lontana area del pianeta ed una conclamata identità di vedute tra leaders che più diversi tra di loro non potrebbero proprio esserlo), la classica domanda che riguarda il chi siamo, da dove veniamo e dove, soprattutto, andiamo, anche perché credo che anche il duo Brown-Sarkozy inizi ad avere qualche problema, in piccola parte dovuti al jet lag, ma in larga misura connesso alla tristissima constatazione che le loro intelligenti ed opportune misure siano giunte davvero troppo tardi per invertire il trend e far tornare quella dose minima di fiducia tra gli alquanto terrorizzati risparmiatori/investitori di tutto il mondo.

Certo, le banche centrali, in particolare quella guidata dal germanizzato Jean Claude Triche e da quel manipolo di neotemplari che siedono nel prestigioso board in quel di Franfurt am Mein, qualche munizione in termini di riduzione dei tassi di interesse ufficiali, così come non tutte le munizioni contenute nella Santa Barbara da migliaia di miliardi di euro sono state utilizzate per prendere manu militari il controllo delle principali banche europee e mentre Hank Paulson ha dichiarato, bontà sua, che l’ingresso dei fondi federali nel capitale di altre venti banche statunitensi, dopo quello per 125 miliardi di dollari effettuato nelle prime nove protagoniste del settore del credito a stelle e strisce, verrà comunicato al mercato dalle singole banche e non da un editto del Tesoro, anche se si tratta di una delicatezza che poco toglie alla questione in quanto vi è un vero e proprio diluvio di indiscrezioni e rumors sull’identità delle venti prossime beneficiate.

Nel frattempo, a pochi giorni dalla chiusura delle urne per le elezioni che non riguardano solo l’identità del nuovo inquilino, con contratto quattro più quattro (se, agli occhi dei suoi concittadini, si sarà comportato bene), ma anche quella dei senatori, dei deputati, governatori di numerosi Stati, di un profluvio di contee, municipalità, sceriffi e giudici di ogni ordine e grado, infuria la polemica dei candidati, soprattutto repubblicani contrari fino in fondo al piano Paulson in salsa Pelosi, i quali sbraitano su tutti i media che è solo in base ad un cavillo interpretativo che i primi 250 miliardi di dollari vengono utilizzati per occupare le banche, cacciando molto spesso i loro amministratori e ponendo limiti alle remunerazioni dei sopravvissuti, mentre il testo originario di tre paginette redatto dall’ex (?) investment banker dal 2006 prestato alla politica prevedeva solo un maxi regalo da 700 miliardi di dollari che si estrinsecava nell’acquisto da parte del Tesoro dei titoli della finanza strutturata che oramai si vendono anche a soli 10 centesimi per dollaro a prezzi anche di 50 se non 65 centesimi per dollaro, un’impostazione davvero vergognosa e che, per fortuna, è stata modificata in extremis grazie alla diversa impostazione seguita dai leaders europei!

Mentre l’ingresso in forze è già avvenuto, anche se non è stato del tutto completato, in Gran Bretagna, Francia, Belgio Olanda e Lussemburgo, mancano ancora all’appello paesi importanti dell’Unione Europea, quali la Germania e l’Italia, mentre, pur avendo provveduto a predisporre il relativo fondo, il governo Zapatero continua a prendere per buone le rassicurazioni che gli giungono dai quartie generali delle due principali banche iberiche, mentre in Germania è stata solo la quarta banca privata a richiedere un ingresso nel capitale per poco meno di sei miliardi di euro, mentre continuano a tacere i vertici della Deutdche Bank e di quella Commerzbank cha ha da poco acquisito il braccio bancario di Allianz, la Dresdner Bank, rendendo così la potentissima compagnia di assicurazione il suo primo, e di gran lunga, azionista.

Ovviamente, a nessuno sfugge come l’intervento degli Stati nel capitale delle banche stia avvenendo seguendo un preciso disegno strategico che punta ad individuare uno o due soggetti che, alla fine dei giochi, dovranno aggregare intorno a sé le banche più mal messe e/o più invise agli attuali detentori del potere politico nei rispettivi paesi, un disegno che consentirà al bellicoso e decisionista Nicolas Sarkozy di giungere a quella resa dei conti con alcuni dei top bankers d’Oltralpe che non ha mai fatto mistero di detestare cordialmente, come quel Daniel Bouton che ha invitato ripetutamente a togliersi dai piedi e che ora è marcato a vista da un Chief Executive Officer nuovo di zecca e che non perde occasioni per far capire all’interno ed all’esterno del suo gruppo bancario di essere tutto fuorché una cratura dell’ex numero uno di Socgen, attualmente incatenato all’unica poltrona che gli è rimasta, quella di presidente senza deleghe.

Altrettanto chiari, almeno credo, dovrebbero essere i progetti del duo formato da Mario Draghi e Giulio Tremonti, rispettivamente, Governatore della Banca d’Italia, nonché presidente del Financial Stability Forum il primo e per la terza volta ministro dell’Economia il secondo, piani che vengono visti con estrema apprensione ai piani alti di Piazza Cordusio, Rocca Salimbeni in quel di Siena, a Verona ed a Piazzeta Meda, mentre Corrado Passera, Chief Executive Officer di Intesa-San Paolo sembra dormire sonni molto più tranquilli, fidando e confidando nei meriti acquisiti dopo la sua repentina ma molto tempestiva conversione sulla via di Arcore, una fedeltà peraltro messa alla prova nella sua performance pre e post elettorale sul caso Alitalia.

M alle più che giusitificate preoccupazione dei maggiori top bankers italiani si aggiungono ora quelle degli autoreferenziali vertici delle Fondazioni di origine bancaria che vedono apparire sui giornali intenzioni governative molto funeste su quel gruzzoletto stimato in 73 miliardi di euro che rappresenta il patrimonio delle “loro” creature e che fa molta gola a quel Robin Hood o Sceriffo di Nottingham, a seconda dei punti di vista, di Giulio Tremonti, uno che le Fondazioni non le ha davvero mai amate!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

sabato 25 ottobre 2008

Il Venerdì Nero delle borse mondiali facilita i progetti delle autorità monetarie sull'intervento statale nelle banche!


Adottando una misura che non veniva presa da dieci anni, il consiglio direttivo del New York Stock Exchange ha bloccato ieri la contrattazione dei futures sul Dow Jones un’ora prima dell’apertura ufficiale delle contrattazioni, al fine dichiarato di evitare che si registrasse un vero e proprio crollo in apertura, obiettivo centrato, anche perché sono state utilizzate tutte le altre misure previste nelle fasi di emergenza, quali la disattivazione delle contrattazioni via computer, e adottate all’indomani del crollo verticale che si verificò nell’ottobre del 1987, una tempesta in un bicchier d’acqua se raffrontata alla durata ed all’intensità della tempesta perfetta in corso, una crisi finanziaria che, oramai a giudizio pressoché unanime dei maggiori osservatori, non ha precedenti nella storia dei mercati più o meno regolamentati.

Che le cose si stessero mettendo molto male, peraltro, lo si era perfettamente capito sin dalla pesantissima chiusura della seduta precedente, con i vistosissimi cali dei tre principali indici statunitensi, ma la situazione si era fatta davvero drammatica poche ore dopo in Asia, con il Nikkey 225 che ha sfiorato alla chiusura un tonfo del 10 per cento (9,6) e con tutti gli altri indici asiatici in profondo rosso, un andamento presto ripreso sul fuso orario europeo, sul quale per buona parte della giornata si sono viste performance in linea con quella registrata dalla borsa giapponese, anche se i freni tirati dalle autorità della borsa di New York hanno permesso alle chiusure di dimezzare le perdite che si sono comunque tenute nella maggior parte dei casi al di sopra del 5 per cento.

Gli escamotages messi in atto e un dato alquanto inatteso sulla vendita delle case esistenti negli Stati Uniti d’America nel mese di settembre (+5,5 per cento, ad un ritmo annualizzato di 5,18 milioni di abitazioni vendute, seppur o forse proprio per questo, a prezzi sensibilmente ridotti e che si pongono di poco meno del 20 per cento al di sotto dei picchi del 2006) non hanno comunque impedito ai tre indici di chiudere l’ottava con cali largamente superiori al 3 per cento, flessioni che sono state accompagnate da una contestuale ed alquanto anomala flessione dei corsi dei titoli di stato statunitensi e con un vero e proprio tonfo del prezzo del greggio, con gli operatori che si sono fatti letteralmente un baffo dell’ingente taglio alla produzione deciso da un riunione straordinaria dell’OPEC, un taglio ampiamente sovrastato dai timori per la recessione oramai in atto negli USA ed in Europa e per il rallentamento della crescita nei paesi dell’Asia.

E’ stato veramente triste vedere una risposta così negativa dei mercati ai titanici sforzi delle cancellerie e delle banche centrali di tutto il mondo industrializzato, che, lo dico con tutta sincerità, difficilmente potrebbero fare più di quanto stiano già facendo, anche perché sta vistosamente riducendosi il gap interpretativo che aveva fatto decidere misure, quali in particolare quelle di Bernspan e di Hank Paulson, che sono spesso equivalse a gettare benzina sulle fiamme crepitanti, mentre l’agenda odierna di governanti e banchieri centrali appare molto più incentrata su quelle che dal settembre del 2007 indico come le vere cause della tempesta perfetta e, cioè, quella miscela davvero esplosiva di finanziarizzazione, globalizzazione e deregolamentazione selvaggia che ci ha condotti nella tremenda situazione attuale.

Credo davvero che i due uomini politici che più appaiono consapevoli della gravità della situazione e della assoluta necessità di fornire alla stessa misure per quanto possibile adeguate siano il premier britannico Gordon Brown ed il presidente francese Nicolas Sarkozy, due personaggi che sarebbe davvero arduo definire simpatici, ma che hanno avuto almeno il pregio indubitabile di aver prestato ascolto a consiglieri dotati della conoscenza dei fenomeni dall’interno del mercato finanziario globale e di avere altresì compreso quanto sia stucchevole il dibattito sull’entità pressoché illimitata delle misure da loro adottate, per il semplicissimo motivo che, se non si fermerà la tempesta perfetta virulentemente in atto, avranno davvero poco o nessun senso le recriminazioni sui dissesti veri o presunti delle pubbliche finanze dei loro rispettivi paesi che subirebbero certamente danni peggiori ove si avverasse l’ipotesi di una recessione dall’orizzonte temporale decennale!

Il ricordo di quanto ebbe a dire degli economisti un bravo presidente degli Stati Uniti d’America che aveva la tentazione di sceglierseli tra quelli dotati di un braccio solo al fine di evitare che pronunciassero, dopo una dotta dissertazione su una possibile soluzione quelll’immancabile “d’altra parte” che lo mandava ai matti, mi ha consentito di evitare di incorrere in quell’errore per descrivere la posizione di una Frau Merkel sempre più insofferente nei confronti delle fulminee decisioni di Nicola Sarkozy che sembra davvero farne una al giorno, dal mega piano di rilancio dell’economia, all’intervento autoritario nel capitale delle banche del suo paese, al mega fondo sovrano ideato, almeno a parole, in funzione difensiva, solo per fermarci alle idee realizzate nelle ultime settimane.

Pur essendosi piegata alle pressioni franco-britanniche, al punto da fare proprio il piano di salvataggio del sistema finanziario tedesco, l’energica cancelliera tedesca continua a non digerire l’approccio spiccio ed energico del duo Brown-Sarkozy, un’approccio che invece il mercato, al di là della più che evidente influenza a favore del dollaro esercitata dalle azioni della Banca Centrale Europea, sembra apprezzare nella sua vera portata, spedendo, con una corretta valutazione di breve termine, l’euro ai minimi degli ultimi diciotto mesi, un andamento che, tuttavia, non sta che preparando una discesa davvero drammatica del corso del dollaro trade weighted quale è difficile immaginare avendo sotto gli occhi il grafico del cross euro/dollaro, ma che è molto più facile intravedere ove si osservi il rafforzamento dello yen nei confronti delle due principali valute antagoniste, anche se un’idea, per motivi ovviamente opposti, può venire anche dando uno sguardo all’andamento cedente della sterlina.

Consiglierei vivamente agli ardimentosi naviganti italiani nella tempesta perfetta di non prendere sottogamba le iniziative del Governatore della Banca d’Italia, in questi giorni prodigo di missive ai piani alti dei maggiori gruppi bancari nostrani, con particolare riferimento a quella con la quale si dà il via libera alla riforma dello statuto della Banca Popolare di Milano che si muove sulla falsariga delle condizioni imposte dalla dottoressa Anna Maria Tarantola e quella al Monte dei Paschi di Siena che, a suo autorevole giudizio, appare largamente sottopatrimonializzato!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

venerdì 24 ottobre 2008

I banchieri italiani salgono sulle barricate contro i progetti di Draghi e Tremonti!


Il vero e proprio processo intentato da alcuni senatori nei confronti del Maestro Alan Greenspan, forse gli stessi senatori che il mentore di Bernspan aveva incantato per diciannove anni nelle sue due apparizioni annuali in quelle stesse aule raccontando loro quel suo verbo neoliberista ed avverso ad ogni forma di regolamentazione e deliziandoli con le sue enigmatiche risposte alle loro domande, rappresenta veramente il brusco mutamento del clima di opinione negli Stati Uniti d’America, nonché la conseguenza palpabile degli effetti disastrosi di una tempesta perfetta che ha mandato i frantumi i pilastri fondanti dell’American Dream.

Molto furbescamente, l’ex previsore di banche di investimento e clarinettista mancato ha ammesso solo quello che non era possibile non ammettere, spiegando che forse avrebbe dovuto approfondire meglio alcune sue inquietudini sulla capacità di un mercato bellamente lasciato a sé stesso di prezzare correttamente il rischio, così come ha ammesso il suo errore di sottovalutazione dei rischi rappresentati dalla diffusione di uno strumento pericoloso quale il Credit Default Swaps, originariamente nato in funzione difensiva rispetto agli investimenti in strumenti del debito di emittenti di qualsivoglia natura, per poi trasformarsi, anche grazie al sonno profondo dei regolatori, in possibilità di ottenere guadagni speculativi indipendentemente dall’esistenza di un sottostante da proteggere.

Pur non essendo assolutamente in grado di prevedere quali saranno le nuove regole del gioco che verranno sottoposte il 15 novembre prossimo venturo all’approvazione dei vari G7, G10, G20 convocati a Washington, anche se il ringraziamento della Casa Bianca rivolto a Mario Draghi nella sua veste di presidente del Financial Stability Forum chiarisce al di là di ogni ragionevole dubbio chi le ha elaborate o le sta ancora elaborando, quello che è certo che alcune di queste nuove regole avranno lo scopo di disinnescare la mina rappresentata, appunto, dai Credit Default Swaps, un mercato, lo ricordo, cifrabile in alcune decine di migliaia di dollari, il che può avvenire in modo alquanto semplice e, cioè, impedendo al consiglio direttivo dell’ISDA di qualificare come default anche i salvataggi compiuti in extremis o le nazionalizzazioni, come è accaduto nei casi di Fannie Mae, Freddie Mac, Aig e via discorrendo.

Si tratterebbe dell’ennesimo cambiamento in corsa delle poche regole sopravvissute alla selvaggia deregolamentazione dei decenni passati, costituendo un’aperta violazione dei diritti contrattuali di quanti hanno sottoscritto i ponderosi volumi che riportano le condizioni alle quali vengono regolati i CDS, redatti a cura della stessa ISDA, ma questo, come le ripetute violazioni delle leggi in materia bancaria esistenti negli USA da parte di Bernspan e complici, è esattamente quello che accade quando si pongono i topi a guardia del formaggio, utilizzando l’immaginifica espressione utilizzata qualche mese fa dal per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti; ma, come risponderebbero Mario Draghi, Hank Paulson, Effe O Ixs (al secolo, il numero uno della Securities and Exchange Commission, nonché grande amico di Bush, Christopher Cox), quando il gioco si fa duro, i duri, cioè loro, entrano in campo e al diavolo le regole!

E’ soltanto in queste ultime settimane che, nei mercati azionari di tutto il pianeta, sta avvenendo quello che sarebbe dovuto accadere nell’estate-autunno del 2007, quando tutto era sufficientemente chiaro a chi aveva occhi per vedere ed orecchie per intendere, e, cioè, il ritorno dei listini a quei livelli di tre-cinque anni orsono che sono certamente più in linea, almeno per ora, con la situazione prodotta dagli alti marosi di una tempesta perfetta che si appresta a festeggiare, il 9 novembre prossimo, il suo quindicesimo anno di vita e mentre gli analisti e gli economisti più ottimisti prevedono che sia a metà della sua vita, mentre per i pessimisti come me è davvero ancora troppo presto per capire quando potremo finalmente dire che la crisi finanziaria più grave mai verificatasi può considerarsi come un fenomeno che abbiamo oramai alle spalle.

Le misure messe in campo in Italia a tutela delle banche e delle altre maggiori protagoniste del mercato finanziario nostrano sono, al di là della opportuna non quantificazione delle munizioni accatastate dal tesoro e dalla Banca d’Italia, molto ampie e sostanzialmente in linea con gli analoghi provvedimenti assunti dagli altri principali paesi europei e dagli Stati Uniti d’America, eppure le azioni dei principali gruppi bancari sono lì ogni giorno che passa a testare nuovi minimi, situazione che riguarda, in particolare, Unicredit Group, Intesa-San Paolo, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e qualche comprimaria, una situazione che fa capire anche ai più sprovveduti tra i nostri connazionali che qualcosa deve ancora accadere e che a questo qualcosa i vertici attuali delle maggiori banche italiane e l’Associone Bancaria Italiana stanno fieramente resistendo, mettendo in campo quel che resta del loro potere di influenzare le decisioni del Governo e della Banca d’Italia.

Non so se è vero quanto riportava ieri il quotidiano La Repubblica, che ha cronisti notoriamente di casa a Via Nazionale e, spesso, ospiti nei voli che portano il Governatore di turno verso i suoi impegni ufficiali, ma, se lo fosse, tutto diverrebbe molto, ma molto più chiaro, in quanto l’eventuale decisione, a quanto pare perfettamente condivisa da Tremonti e Draghi, di innalzare il TIER 1 dal 6 all’8 per cento, rappresenterebbe, per le autorità monetarie, il cavallo di Troia che consentirebbe loro di entrare in forza nel capitale delle maggiori banche italiane, imponendo quelle regolette che i banchieri nostrani vedono letteralmente come il fumo negli occhi, ma, e forse soprattutto, sconvolgendo gli equilibri più o meno precari esistenti tra gli attuali azionisti di riferimento, Fondazioni di origine bancaria in testa!

Per dare un’idea del fabbisogno in termini di patrimonio che si verrebbe a creare nei quattro gruppi bancari sopra citati, basti pensare che per passare dal 5,7 attuale al 6,8 obbiettivo è stato necessario, nel caso dell’istituto di Piazza Cordusio al momento diretto da Alessandro profumo, 6,6 miliardi di euro, una cifra che ha messo a durissima prova le casse della Fondazione Cariverona, della Fondazione CRT e degli altri principali azionisti di Unicredit Group, un aumento di capitale che ha facilitato il rastrellamento sul mercato da parte degli uomini del Colonnello Muhammar Gheddafi di un pacchetto complessivo del 4,2 per cento, nonché un posto certo nel Consiglio di Amministrazione della banca.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

giovedì 23 ottobre 2008

Lo stress test degli analisti di Merrill Lynch affonda le banche!


Il summit richiesto con una certa determinazione da Sarkozy e Barroso, rispettivamente presidente di turno dell’Unione europea e della Commissione che ne rappresenta in qualche modo l’organo esecutivo, ad un tentennante George W. Bush si terrà a Washington il 15 novembre prossimo venturo, opportunamente collocato quando sarà uscito dalle urne statunitensi il nome del successore dell’attuale inquilino della Casa Bianca e, soprattutto, il nome di quello che si prepara indubitabilmente ad essere il più potente ministro, quello del Tesoro, una scelta che non a caso vede i due contendenti sparare nomi altisonanti quali, a solo titolo di esempio, quello di Paul Volker, mitico presidente della Federal Riserve costretto a dimettersi ai tempi della reaganomics, e quello del Leone di Omaha, l’altrettanto mitico Warren Buffett.

In attesa del responso delle urne, già peraltro aperte in alcuni stati del grande paese a stelle e strisce, il responso dei mercati, ieri su tutti i fusi orari e stamane di nuovo in Asia, è stato davvero tremendo, con perdite che sembrano indicare, nella loro profondità e pervasività, che gli analisti e gli operatori, ma soprattutto i risparmiatori/investitori, sembrano proprio non credere all’efficacia del più grande sforzo congiunto che governi e banche centrali abbiano mai messo in campo nell’intera storia dell’umanità, uno sforzo che li vede impegnati per migliaia di miliardi di euro, ma che si sta scontrando contro i micidiali meccanismi di cui il mercato si è dotato in questi decenni, quali i derivati di ultima generazione e quelle vere e proprie armi di distruzione di massa rappresentate dai Credit Default Swaps, che invano Bernspan e compagni si stanno affannando a disinnescare, addentrandosi in un ginepraio di previsioni legali in larga parte basate sul fatto che si trattava di strumenti che non sarebbero mai diventati esigibili come, invece, sta accadendo in queste settimane sotto le alte ondate della tempesta perfetta.

Non credo che siano molti, infatti, a sapere che il consiglio direttivo dell’ISDA, l’organismo deputato a dirimere le eventuali controversie sull’efficacia o meno di uno di questi strumenti, nonché incaricato di redigere la contrattualistica tipo per gli stessi, ha stabilito che, anche nel caso di salvataggi o di nazionalizzazioni, quali ad esempio quelle di Fannie Mae e Freddie Mac o di AIG, si concretizza la fattispecie del default e, quindi, il relativo contratto diventa immediatamente esecutivo con i suoi relativi obblighi ed oneri per le parti che lo hanno sottoscritto, il che trattandosi di un mercato che è stimato tra i 55 ed i 62 mila miliardi di dollari, in buona parte concentrati sugli emittenti finanziari di titoli della finanza più o meno strutturata, nonché degli Stati sovrani, o di loro parti, consente di comprendere uno dei motivi dei crolli di borsa avvenuti ed, ahinoi, anche di quelli che verranno ad onta dei giganteschi sforzi dei paesi del G7, del G10 e, se servirà, anche del G21, in quanto, in caso di default sistemico, è sempre cosa saggia mettere intorno allo stesso, gigantesco tavolo i debitori ed i creditori.

Mi permetto di formulare un sommesso suggerimento a questo vero e proprio esercito di decision makers eletti o meno dai loro rispettivi popoli e che consiste nel fatto che la moltiplicazione di discorsi terrorizzanti difficilmente sortisce l’effetto di tranquillizzare i risparmiatori/investitori del pianeta, anche perché gli stessi stanno sempre più assumendo i comportamenti caratteristici di una mandria di bufali imbizzarriti, mutazione genetica dettata dalla paura della loro normale caratteristica di parco buoi, abitualmente pronti a digerire le peggiori schifezze loro proposte, ma che, in fasi come questa (ma è mai esistita una fase come questa?), esitano ad acquistare o a sottoscrivere anche gli strumenti più innocui emessi dalle entità finanziarie più solide!

Così come mi permetto di affermare che non è stata proprio saggia la decisione della presidentessa argentina Cristina Kirchner di nazionalizzazionare i fondi pensione privati argentini che, oltre a provocare un vero e proprio meldown dei titoli quotati alla borsa di Buenos Aires nelle ultime sedute, inclusa quella di ieri, ha risvegliato tutte le paure di una possibile ripetizione di quella dichiarazione di stato di default del debito sovrano, come alquanto tragicamente avvenne in tempi non molto remoti, come ben sanno quei risparmiatori italiani che, dopo aver subito il danno di aver perso i loro soldi, si sono anche fidati di un personaggio come Nicola Stock, indicato dall’Associazione Bancaria Italiana come il loro paladino, e che ha compiuto il capolavoro di convincere la maggioranza di quanti gli avevano dato la loro delega a non accettare il compromesso proposto dal Governo argentino e che ancora aspettano una qualche molto improbabile risposta da organismi internazionali, risposta che, alla luce di quanto sta accadendo, molto difficilmente verrà.

Confesso che ho vissuto un vero e proprio deja vu, quando ho sentito ieri che la stessa Associazione Bancaria Italiana, in relazione al fallimento di Lehman Brothers con il suo triste corollario di falcidia di bonds e index linked, ha proposto, in luogo del pagamento a piè di lista che in molti casi appare assolutamente doveroso visto l’identikit dei risparmiatori coinvolti, un’adeguata assistenza legale a favore dei risparmiatori/investitori danneggiati, anche se sono certo che Nicola Stock non avrà il tempo, e spero anche la voglia, di occuparsi anche di questa ennesima patata bollente, una decisione, quella dell’ABI, che dice più di mille parole che della questione della reputazione e della fiducia non gliene importa poi più di tanto, il che indica altrettanto inequivocabilmente che sono convinti che di bonds non garantiti dallo Stato e di index linked hanno già stabilito che non ne venderanno più nemmeno per un euro, incuranti delle mosse molto più lungimiranti e coraggiose intraprese, almeno a parole, da Unipol, Poste Italiane e Mediolanum!

Nel suo modo molto naif di comunicare, Silvio Berlusconi ha voluto amplificare il già drammatico effetto sortito dallo stress test effettuati dagli analisti di Merril Lynch sulle maggiori banche statunitense ed europee per valutare l’adeguatezza del loro patrimonio, quantificandone financo i fabbisogni, ed ha sostenuto, ai margini di un convegno della Confindustria, che altre due o tre banche italiane dovranno seguire l’esempio di Unicredit Group, che per la cronaca è in procinto di testare la fortissima resistenza posta al livello dei due euro, e procedere ad opportune e massicce ricapitalizzazioni, il che ha, da un lato, spinto le azioni delle principali banche italiane prepotentemente verso il basso, mentre, dall’altro, ha costretto i loro quartier generali ad emettere comunicati che hanno sortito l’unico effetto di convincere i loro azionisti che gli aumenti di capitale alla fine ci saranno.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

mercoledì 22 ottobre 2008

Draghi ed i banchieri italiani naufraghi nella tempesta perfetta!


La decisione della presidentessa argentina Cristina Kirchner di nazionalizzazionare i fondi pensione privati ha provocato un tonfo della borsa di Buenos Aires che ha perso ieri il 10 per cento rispetto alla chiusura di lunedì, un ribasso che ha amplificato le perdite subite, sempre ieri, dai tre principali listini statunitensi e dalla quasi totalità delle borse europee, con la eccezione di quella di Parigi largamente influenzata dall’iniezione di 10 miliardi di fondi statali nelle principali banche francesi.

Non pago di aver portato i tassi ufficiali di interesse statunitensi a livelli nominali infimi e largamente negativi ove espressi in termini reali (ma non quelli interbancari che sono ancora multipli di quelli ufficiali), aver aperto la più grande discarica al mondo per ospitare tonnellate di titoli tossici, aver inondato il mercato di liquidità, contribuito al salvataggio di alcune banche ed al fallimento di altre, di essere divenuto il maggiore acquirente di quelle Commercial Papers che nessuno oramai vuole più, ieri l’ineffabile presidente della Federal Reserve, Bernspan, ha reso noto urbi et orbi di aver deciso di acquistare dai traballanti fondi pensione statunitensi carta a breve per 540 miliardi di dollari, più o meno quanto è stato ritirato dai terrorizzati sottoscrittori nelle ultime settimane.

Le due decisioni sopra descritte hanno, al di là della più che evidente, per fortuna della ex first lady divenuta presidentessa, diversità dei due personaggi, un minimo comune denominatore nazionalizzatore e statalizzatore, in realtà una molto panicata risposta al panico dei risparmiatori/investitori destinatari per oltre un anno di messaggi rassicuranti da parte del trio più noto del momento, Bush-Paulson-Bernspan, e da qualche settimana letteralmente alluvionati di messaggi da fine del mondo lanciati al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico, messaggi amplificati da media altrettanto embedded nel compiere questa operazione di quanto lo erano in precedenza nel collaborare attivamente all’opera più massiccia di pompieraggio mai verificatasi dal secondo dopoguerra.

A questi e ad altri scherzi ci abituerà, peraltro, la tempesta perfetta che si appresta a compiere il quindicesimo mese di vita e che ha convinto oramai due terzi dei cittadini statunitensi che la recessione abita già tra di loro, cosa della quale peraltro si erano accorti molto prima degli economisti del Fondo Monetario Internazionale, attualmente più interessati alle gesta amatorie del loro numero uno, l’ex ministro francese delle finanze, Dominique Strauss Kahn, che alle vicende della crisi finanziaria, in quanto non riescono più ad ottenere credito né per acquistare un’auto, né per i normali acquisti più o meno utili, persone che spesso hanno perso la casa o il lavoro e che, in molti casi, li hanno persi entrambi!

Svegliatasi improvvisamente da un lungo sonno determinato dalla aspra guerra sulla governance che ha agitato il suo piano nobile, Mediobanca ha diffuso delle stime da cui emerge che le banche europee hanno fatto molto peggio di quelle a stelle e strisce, bruciando valore per 304 miliardi di euro contro i “soli” 276 volatilizzatisi negli Stati Uniti d’America dalle banche ivi operanti, una constatazione che assomiglia molto a quella che vede i pirati della strada cavarsela in genere molto meglio delle automobili da loro coinvolte nelle loro gesta.

Nel frattempo, anche la Germania vede una banca chiedere aiuto al proprio governo per oltre 5 miliardi di euro, ma è certo che nei prossimi giorni altre ne seguiranno l’esempio, mentre, tanto per fare un po’ di ammuina, Frau Merkel, dopo il Liechtenstein, Montecarlo ed altri paradisi fiscali, ha deciso, insieme ad altri sedici nazioni, di muovere guerra alla Confederazione elevetica, meritevole a suo giudizio di finire sulla black list, al pari di altri stati e statarelli che vedono i maggiori proventi delle loro pubbliche finanze venire da movimenti di capitale legati all’evasione fiscale, al narcotraffico, alla criminalità organizzata e chi più ne ha ne metta.

Fa sempre molto piacere ascoltare le parole del Governatore della Banca d’Italia, peraltro uno dei pochi civil servant italiani ad avere accumulato un esperienza nell’investment banking da entrambe le parti della barricata, in quanto, come direttore generale del Tesoro, ne fu prima privilegiato cliente nella più grande opera di privatizzazione di quanto era privatizzabile nel Belpaese, per poi diventare un pezzo grosso della molto potente ed ancor più preveggente Goldman Sachs, prima di essere chiamato dal per la terza volta ministro dell’Economia a prendere il posto del suo nemico giurato Antonio Fazio.

Nel corso della sua audizione alla apposita commissione del Senato, Draghi ha dovuto ammettere che stiamo per entrare in una recessione di cui è difficile prevedere la durata e che, sino a questo momento, le banche italiane hanno tenuto, il tutto mentre i senatori convenuti ascoltavano in un silenzio di tomba il discorso scritto diligentemente fornito ad ognuno di loro prima che il Governatore iniziasse a leggerlo.

Peccato che nelle stese ore, partecipando ad un convegno della Confindustria in quel di Napoli, il primo ministro, dimenticando per un attimo la querelle con l?europa in generale e Sarkozy in particolare sul pacchetto per l’ambiente, affermava candidamente che, dopo Unicredit Group, anche qualche altra banca italiana avrebbe dovuto procedere ad una ricapitalizzatone, lasciando anche intendere che il Colonnello libico Muhammar Gheddafi non poteva pensare lui a tutto, pagando a pié di lista per gli errori commessi dai banchieri nostrani di ogni ordine e grado.

Come avevo avuto modo di sottolineare nei giorni scorsi, l’ingresso dei libici nella banca con sede a piazza Cordusio, Milano, Italia, non era stato comunicato in alcun modo ai vertici di unicredit Group, anche se forse era noto dalle parti di Piazzetta Cuccia, cosa che emerge chiaramente dalla presa d’atto da parte dei consiglieri di quanto era avvenuto nelle settimane precedenti direttamente sul mercato, ma che, per dovere di ospitalità, già all’assemblea di bilancio si sarebbe provveduto a fare spazio ai consiglieri indicati dall’ingombrante nuovo socio, noto dittatore di un paese che solo da pochi mesi è stato depennato dalla infamante lista dei paesi canaglia, a conferma, se ve ne fosse bisogno, che pecunia non olet!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

martedì 21 ottobre 2008

I banchieri europei naufraghi nella tempesta perfetta! (2)


E’ stato ben presto svelato l’arcano del tonfo di ieri mattina delle principali banche francesi, con Socgen arrivata a perdere anche il 12 per cento sul rincorrersi affannoso di voci relative ad un’imminente ricapitalizzazione, ma con cali vistosi anche per BNP Paribas e Credit Agricole, il tutto mentre il CAC 40, l’indice dei principali titoli quotati alla borsa parigina, segnalava rialzi alquanto consistenti.

Solo in serata è giunto il comunicato ufficiale di Christine Lagarde, ministro francese delle finanze, che a poche ore dalla notizia della mega perdita su derivati della Caisse de Eparine, rendeva noto che il Governo aveva deciso la ricapitalizzazione delle principali banche francesi, mediante la sottoscrizione di prestiti subordinati per importi che vanno dai 3 miliardi di euro per il sofferente Credit Agricole, ai 2,55 miliardi per BNP Paribas, agli 1,7 riservati a Socgen e 1,1 miliardi alla già citata Caisse, il cui vertice è stato prontamente decapitato, mentre per questa come per le altre banche destinatarie dei finanziamenti è previsto un impegno maggiore nel finanziamento dell’economia, nonché il rispetto di una sorta di codice deontologico aggiuntivo rispetto a quelli già adottati e, come più volte ribadito dal molto decisionista Nicolas Sarkozy, l’annullamento dei bonus previsti per i vertici aziendali (mentre nulla si sa di quello che capiterà in merito ai dipendenti delle banche stesse) ed una maggiore morigeratezza nella fissazione delle remunerazioni.

La mossa della Lagarde è stata immediatamente gradita dal mercato che ha spinto al rialzo le quotazioni delle azioni delle banche francesi destinatarie dell’aiuto pubblico, anche se la modalità, quella del prestito subordinato in luogo dell’aumento di capitale riservato, non andrà ad incidere sul Core Tier 1, che, peraltro, almeno stando ai comunicati immediatamente diffuso dai quartier generali delle stesse banche, non desterebbe alcuna preoccupazione, mentre qualche preoccupazione, almeno stando alla mossa del governo, la desterebbe il credit crunch in corso, fenomeno comune all’intera area europea ed a quella statunitense, mentre non si hanno notizie al riguardo rispetto all’area asiatica, dove si segnalano i vistosi rallentamenti della crescita sia per la Repubblica Popolare Cinese che per l’India, rallentamenti che, tuttavia, continuano a fare correre queste due mega aree a ritmi di tutto rispetto, soprattutto ove confrontate con il clima recessivo che si respira abbondantemente al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico.

Dall’epicentro europeo della tempesta perfetta, la Gran Bretagna, non giungono notizie di nuove misure nei confronti delle banche maggiori, dopo la fulminea nazionalizzazione del colosso Royal Bank of Scotland, con relativa ed altrettanto fulminea decapitazione al vertice, e l’acquisizione di una quota azionaria rilevante di entrambe le entità che si apprestano a fondersi per dare vita al maggior erogatore di mutui del Regno Unito, la HBOS e la Lloyds TSB, anche perché la maggiore rivale di RBS ha orgogliosamente annunciato il ricorso per 6,5 miliardi di sterline ai propri azionisti, mossa ammirevole ma che non si sa per quanto sarà in grado di rinviare l’arrivo in forze degli uomini mandati da Gordon Brown per mettere in sicurezza questa come le altre maggiori banche, assicurandosi così preventivamente il successo del piano che lo ha rimesso in corsa nella prossima competizione elettorale, che potrebbe anche venire anticipata visto il clamoroso e quasi miracoloso recupero nei sondaggi registrato dal suo partito.

Restano avvolte, invece, dal mistero le vicende riguardanti il piano da centinaia di miliardi di euro stanziati dal governo di Frau Merkel, anche perché non è ancora ben chiara la platea ei destinatari in un paese che vede ancora il 70 per cento del mercato creditizio fare capo all’area pubblica, alla luce della presenza delle landesbanken e delle sparkassen, mentre, con riferimento alle banche private, un ulteriore processo di concentrazione porterebbe alla creazione di un’unica banca, in quanto già oggi, dopo la fulminea acquisizione di Dresdner da parte della Commerzbank ed il controllo di Postbank assunto dalla Deutsche, si è in realtà in presenza di un duopolio.

Non paga delle proprie disavventure, la Merrill Lynch appena salvata dalla bank of America, si è messa a dare le pagelle a tutte le banche competitrici, in particolare per quanto riguarda la delicatissima questione della adeguata o meno patrimonializzazione, che, ovviamente, viene dagli uomini e dalle donne alle dipendenze di John Thain ritenuta insufficiente nella maggior parte dei casi ed, altrettanto ovviamente, si parla di deficit miliardari da colmare a spron battuto, il che apre, ancor prima del giudizio che il piano adottato dal vertice dei capi di Stato e di governo attribuisce alle banche centrali dei singoli paesi partecipanti all’euro, la strada all’intervento della mano pubblica in pressoché tutte le maggiori banche europee basate al di qua ed al di là della Manica. Ovviamente, la necessità di ricapitalizzazione delle principali banche è all’ordine del giorno anche in Italia, necessità confermata dagli analisti di Merrill Lynch e, fra breve, anche da quelli che lavorano in Banca d’Italia, con particolare riferimento ai tre principali gruppi bancari basati nel nostro paese.

Mentre ferve l’attivismo di governi e banche centrali in Europa, bernspan e Paulson non ci stanno assolutamente a fare la parte dei pigri ed è di ieri la notizia che anche le principali banche a stelle e strisce devono iniziare a mettere nel conto l’arrivo in forze dei capitali di origine pubblica, con relativo corollario di regole e prescrizioni che i banchieri statunitensi valutano al pari di una malattia esantematica, ma che non è assolutamente possibile rifiutare a pochi giorni dalle elezioni presidenziali forse più importanti dal secondo dopoguerra e quando già si discute animatamente nei due quartier generali dei principali candidati alla Casa Bianca sul nome del candidato a detenere un enorme potere di vita e di morte sul mercato finanziario statunitense, vera costola di quel mercato finanziario globale a cui tutti, almeno a parole, vogliono mettere le briglie.

Tanto per indorare un po’ la pillola, sempre ieri Bernspan ed un nugolo di membri, più o meno votanti, del Federal Open Market Committee, nonché l’ormai onnipresente George W Bush, hanno fatto intendere che sarebbe pronto un nuovo e generoso pacchetto di stimoli fiscali a pioggia, evitando per l’ennesima volta di concentrare la loro attenzione su quella necessaria rinegoziazione dei mutui di recente ben descritta, in un suo intervento pubblicato dal settimanale L’Espresso, da Luigi Zingales!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

I banchieri europei sempre più naufraghi nella tempesta perfetta!


Come è ben dimostrato dal notevolissimo attivismo del presidente di turno dell’Unione europea, il già decisionista di suo Nicolas Sarkozy, che si trascina dietro l’alquanto indolente ed un po’ spaesato presidente della Commissione, Manuel Barroso, prosegue il sussulto di consapevolezza della profondità della tempesta perfetta intervenuto nelle ultime settimane anche al di qua dell’Oceano Atlantico, il tutto ben dimostrato dall’ennesimo quadretto nel giardino delle rose della Casa Bianca che ha visto i due europei attorniare quello che si appresta a diventare l’ex presidente degli Stati Uniti d’America per annunciare la volontà comune di convocare una riunione al vertice in terra americana che, anche se non si terrà nella amena località del New Hampshire dove venne deciso sessantaquattro anni orsono il nuovo ordine e economico internazionale, ha l’ambizione di trovare un’intesa sulle nuove regole che dovranno mettere ordine nell’attuale meltdown finanziario globale, regole che dovranno per forza di cose essere meno dollarocentriche e, almeno si spera, meno asimmetriche di quelle scaturite a Bretton Woods.

Ma il fine settimana non ha portato soltanto il frutto della fatica di George W. Bush, Nicholas Sarkozy e Manuel Barroso, ma ha anche registrato la massiccia immissione di fondi pubblici nella prima banca, anche se sarebbe più esatto parlare di primo gruppo bancario assicurativo, olandese, in quanto, dopo aver registrato la prima perdita della sua storia, la Ing, in Italia nota per il successo del suo conto ondine denominato arancio, ha dovuto chiedere una sorta di salvataggio ed accettare due rappresentanti dell’esecutivo nel proprio consiglio di sorveglianza, debitamente muniti del diritto di veto su numerose materie, nonché accettare l’eliminazione dei bonus per l’anno in corso, mossa, quella del governo del paese dei tulipani, che segue di poche settimane la riappropriazione, sempre da parte pubblica, delle attività bancarie olandesi a suo tempo scippate ad ABN AMRO dalla defunta Fortis, a suo tempo vincitrice della disfida con Barclays per l’acquisto del gruppo bancario olandese , insieme alla di recente nazionalizzata Royal Bank of Scotland ed a quel Banco di Santander che se le è cavata soltanto perché si è istantaneamente liberato della patata bollente rappresentata da Antonveneta, sbolognata con ampio profitto alla Banca Monte dei Paschi di Siena che da quel momento ha visto ridursi a meno di un terzo la sua quotazione in borsa.

Poiché faccio ogni sforzo per non diventare superstizioso, non voglio assolutamente credere alla favola che vorrebbe che l’ex amministratore delegato di ABN AMRO, Groenick, abbia a suo tempo lanciato un tremendo anatema, al pari del capo dei templari, Jaques de Molay, in procinto di essere arso sul rogo sotto gli occhi del Re di Francia e famiglia, nei confronti delle tre banche ree di aver fatto fallire l’acquisizione amichevole della sua banca da parte della Barclays, un’offerta peraltro talmente ricca che non poteva non avere la meglio su considerazioni di altro genere; anche se penso che più che la maledizione hanno potuto le poison pills di cui si dice fossero disseminati i conti della banca olandese che riuscì ad avere la meglio sul piissimo Governatore della Banca d’Italia e sul suo protetto Fiorani, entrambi ignominiosamente usciti di scena e prossimamente sottoposti a giudizio proprio per quella vicenda, nella quale mossero i loro primi ed ultimi passi gli oramai notissimi furbetti del quartierino, gran parte dei quali finiti in bancarotta più o meno fraudolenta!

Forse influenzati dalle vicende olandesi e da quanto sta facendo il loro Monsieur le President, gli azionisti delle tre maggiori banche francesi hanno pensato bene di vendere massicciamente le loro azioni, spingendo Socgen, che secondo voci ricorrenti sarebbe stato costretto ad un aumento di capitale che l’avrebbe spinta dritta dritta nelle fauci già spalancate del molto vendicativo Sarkozy, a perdere anche il 12 per cento rispetto alla chiusura di venerdì scorso, mentre perdite sino al 7 per cento hanno caratterizzato anche il Credit Agricole e BNP Paribas, timori che sono sembrati svanire come neve al sole a fine giornata, quando le flessioni sono divenute molto più contenute.

Quanto sta accadendo in Gran Bretagna, Francia, Belgio ed Olanda, per non parlare del molto inquieto sistema bancario tedesco, è molto indicativo di un clima che vede i banchieri rassegnati a cedere il passo agli emissari governativi che portano con sé pacchi di miliardi di euro, ma hanno anche la pretesa di esautorare di diritto o di fatto i precedenti manovratori, finendo per togliere loro lo stipendio e/o i bonus milionari di fine anno, prospettiva rispetto alla quale, in perfetta sintonia con gli altrettanto inquieti colleghi statunitensi, stanno cercando, spesso del tutto invano, di innalzare cavalli di frisia e barricate, aiutati nell’opera dai loro più stretti collaboratori.

Ma cosa sta accadendo nel frattempo nel sistema bancario italiano? Non è un mistero per nessuno come i banchieri nostrani siano molto più preoccupati dell’improvviso silenzio del per la terza volta ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che dei suoi precedenti anatemi nei confronti loro e di quei topi posti a guardia del formaggio, come il nostro fantasioso ministro ha appellato i banchieri centrali, soprattutto quanti di loro sono impegnati nel Financial Stability Forum che, per la cronaca, è presieduto dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, con il quale ha da poco incrociato le lame sull’andamento dei conti pubblici, un silenzio veramente assordante in quanto sono note anche ai bambini le poche ma chiarissime idee di Tremonti sulle banche italiane nel loro complesso, ma più in particolare quelle su alcuni e ben individuati gruppi bancari posti ai primi posti della classifica di settore, Unicredit Group e Monte dei Paschi di Siena in primis.

Non credo, peraltro, sia un mistero per nessuno che, pur dopo l’ingresso non concordato dei libici ai piani alti dell’azionariato di Unicredit, un arrotondamento per quasi nove della striminzita quota derivante dalla loro precedente presenza nell’azionariato di Capitalia effettuato esclusivamente mediante acquisti sul mercato, l’azione del gruppo di Piazza Cordusio non riesca ad allontanarsi dalla parte bassa dell’area dei 2 euro, un livello molto preoccupante alla luce del prezzo previsto per il prossimo aumento di capitale, quei tre euro e qualcosa che sembravano di per sé un’onta per un azione che aveva occhieggiato, prima dell’avvio della tempesta perfetta e subito dopo la fulminea acquisizione, in assenza di due diligence, la soglia degli 8 euro, quel livello di 7,75 euro che consentiva una capitalizzazione di borsa di oltre 100 miliardi, anche se va rilevato che anche Intesa-San Paolo ed il gruppo Monte dei Paschi di Siena non sembrino certo passarsela molto meglio della loro rivale!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

domenica 19 ottobre 2008

La rivincita postuma di John Maynard Keynes!


Mentre saranno a colloquio in questo ennesimo week end di non riposo, George W. Bush, Nicholas Sarkozy e Il presidente della Commissione dell’Unione europea ed ex premier portoghese, Manuel Barroso, farebbero bene a pensare all’emblematica vicenda di Judy Katz, un’alquanto anonima investitrice newyorkese che, come riferisce un’agenzia di stampa a stelle e strisce, ha deciso all’inizio di ottobre di scendere dall’ottovolante che è oramai diventato il mercato azionario statunitense, liquidando l’intera sua posizione e lasciando sul terreno 200 mila del suo gruzzolo di 1.200.000 dollari, pur di porre al sicuro il milione residuo sul suo conto corrente che le garantisce un misero 2 per cento ma l’assoluta integrità del suo capitale (ovviamente, se ha avuto l’accortezza su quattro diversi conti presso altrettante banche, alla luce dei nuovi limiti di garanzia offerti dalla Federal Deposit Insurance Corporation) e che, nonostante le azioni che aveva in portafoglio siano da allora risalito del 5 per cento, non è affatto pentita della sua scelta e sostiene che non tornerà mai più a mettere i suoi sudati risparmi in quella sorta di roulette che è diventato il mercato finanziario statunitense, vera costola di quel mercato finanziario globale che lo stesso Sarkozy ed il suo omologo tedesco ed un tempo molto distratto numero uno del Fondo Monetario Internazionale ebbero a definire alcuni mesi orsono come del tutto impazzito.

So benissimo che ai tre altissimi esponenti politici impegnati in un ennesimo summit della sorte dei risparmi di Judy Katz non importa un fico secco, eppure ritengo che il vertice dei capi di Stato e di governo dei maggiori paesi industrializzati, più, almeno così pare, una pattuglia di paesi che, almeno alla luce delle loro rilevantissime riserve valutarie legate ai loro altrettanto rilevanti avanzi commerciali, non è proprio più possibile relegare al rango di paesi emergenti, che hanno deciso proprio ieri di convocare forse negli stessi Stati Uniti d’America, con l’ambizioso obiettivo di riscrivere le regole a suo tempo venute fuori da Bretton Woods e dai successivi peggioramenti di quell’accordo già di per sé molto asimmetrico e del tutto dollarocentrico, sarebbe bene che fosse chiamato a riflettere sullo stato d’animo delle centinaia di milioni di persone che, come Judy, ben difficilmente recupererà quel grado di fiducia nel sistema finanziario globale se non verranno adottate misure tali da garantire loro che quello che è accaduto negli ultimi decenni non possa ripetersi più in futuro e, soprattutto, che i responsabili dell’immenso disastro attuale si trovino in condizione di non nuocere più ad alcuno.

Non stupisce, peraltro, che Judy e tanti come lei abbiano preso la stessa decisione assunta dai tre maggiori hedge funders statunitensi, che, incuranti degli ottimi affari che, grazie alla loro expertise ed agli strumenti tecnici che hanno a disposizione, sarebbero facilmente ottenibili in sedute caratterizzate dall’altissima voltatilità come sono quelle di queste ultime settimane, tre veri e propri uomini d’oro rotti a tutte le altalene finanziarie degli ultimi anni, se non decenni, che hanno messo al sicuro la bellezza di 63 miliardi di dollari, rinviando all’inizio dell’anno prossimo qualsiasi decisione di operatività su azioni ed obbligazioni o quant’altro e non lo hanno certo fatto per il timore che i grandi della Terra decidano finalmente di adottare misure in grado di controllare anche questo finora molto proficuo segmento di attività che, soltanto nel giugno dello scorso anno, Mario Draghi ed il Financial Stability Forum da lui presieduto decisero che fosse perfettamente in grado di auto regolarsi, dando a loro tre e ad una marea di investitori istituzionali, incluse le banche più o meno globali e le maggiori compagnie di assicurazione, la possibilità di cercare di rifarsi delle perdite a raffica subite nel corso della tempesta perfetta già allora da molti mese virulentemente in corso, giocando spudoratamente al rialzo sul mercato dei derivati sulle materie prime più o meno energetiche, derrate alimentari, purtroppo, incluse!

Pur in questo clima di frenetico attivismo di governi e banche centrali ed in presenza di programmi di spesa per migliaia di miliardi di dollari finalizzati a stendere una rete di sicurezza intorno alle banche di ogni ordine e grado, non ho sentito levarsi alcuna voce volta a perseguire nelle sedi opportune, incluse quella giudiziaria, quello che è stato un autentico crimine contro i consumatori dell’intero orbe terracqueo, un fenomeno di aggiotaggio continuato ed aggravato che ha provocato rivolte nei paesi in via di sviluppo ed ha contribuito a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita di miliardi di persone al fine di rimettere in ordine i conti dei fondi pensione e dei fondi di investimento che hanno perso ed ancor più perderanno, almeno secondo le stime degli economisti del Fondo Monetario Internazionale, i due terzi dei 1.400 miliardi di dollari che dovrebbero rappresentare il conto finale della tempesta perfetta, un conto già moltiplicato per 14 volte dalle stime iniziali e che potrebbe essere ancora sottostimato.

Mentre mancano oramai poco più di due settimane all’election day forse più atteso nella più che bicentenaria storia degli Stati Uniti d’America, aumenta, ogni giorno che passa, il numero delle famiglie americane che si trova nella tristissima condizione di avere perso la casa o il lavoro, ed in pochi casi di averli persi entrambi, né stupisce che più di un’amministrazione locale della nazione più potente del mondo non abbia trovato soluzioni migliori che quella di predisporre ampi parcheggi per consentire ai nuovi homeless sino a poco tempo fa facenti parte della classe media di passare le notti nelle loro automobili trasformatesi nel loro ultimo rifugio, almeno per quelli tra di loro che hanno avuto la fortuna di vedersele pignorate dai solertissimi addetti al recupero crediti a causa dell’impossibilità di pagare la rata del prestito contratto per acquistarla.

Non so cosa che cosa ne pensano questi nuovi poveri dell’ennesimo scandalo a luci rosse che vede come protagonista il francesissimo numero uno del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss Kahn, con le medesime accuse a uo tempo mosse ad un ex falco dell’amministrazione Bush, Paul Wolkowitz, cui era stata data in omaggio la presidenza della Banca Mondiale, accuse ampiamente riportate oggi dalla stampa di tutto il globo e legate, stavolta, alla denuncia del marito della dipendente del FMI, a sua volta anche lui economista dell’organismo sovranazionale che, al pari della citata Banca Mondiale, rappresenta uno dei due pilastri proprio di quell’accordo di Bretton Woods partorito, malgrado la ferma e motivata opposizione di John Maynard Keynes, nell’amena località posta nel New Hampshire mentre il secondo conflitto mondiale era ancora in corso, un accordo che aveva la pretesa di disegnare un nuovo ordine economico internazionale più equo e che finì, invece, per crearne uno tagliato su misura sulle esigenze degli Stati Uniti d’America!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.

sabato 18 ottobre 2008

La resistenza dei banchieri nei confronti dei governi e delle banche centrali!


Se c’è una cosa che fenomeni quali la tempesta perfetta insegnano è l’assoluta relatività del tempo, anche perché, mai quando si è in una prolungata fase di difficoltà, ci si rende conto che esistono periodo in cui il tempo corre a grande velocità ed altri nei quali sembra davvero non trascorrere mai, come sta proprio accadendo in questo orribile mese di ottobre, del quale abbiamo appena doppiato la metà, ma nel quale sono già accadute una tale quantità di eventi di grandi dimensioni che è quasi impossibile tenerne il conto, due settimane e mezza nelle quali piani di salvataggio di immense proporzioni sono stati prima affondati, poi approvati ed, infine modificati radicalmente nelle modalità di applicazione e negli obiettivi.

Fa davvero bene George W. Bush, in una delle sue oramai innumerevoli apparizioni su tutti i media disponibili, a ricordare a tutti che la crisi sarà ancora lunghissima e che da finanziaria sta trasformandosi ogni giorno che passa in una crisi dell’economia reale, una crisi che sta letteralmente picconando redditi, investimenti ed aspettative, anche se tutto parte da quel drastico ridimensionamento dell’offerta di credito strettamente legato alle svalutazioni ed alle perdite già contabilizzate ed a quelle che lo saranno non appena sarà possibile capire meglio il contenuto effettivo di molti dei titoli della finanza strutturata passati dai veicoli fuori bilanci agli attivi, si fa ovviamente per dire, delle banche e delle altre entità protagoniste del mercato finanziario globale.

Nel frattempo, non è ancora ben chiaro cosa è successo in Islanda, in quanto non è del tutto chiaro se il default si limiti ad alcuni istituti di credito o se il collasso di queste banche ed i contenziosi in corso con la Gran Bretagna ed altri paesi per la mancata tutela dei depositi dei non residenti rischi di mettere in discussione anche la solidità del non proprio trascurabile debito sovrano.

Il ruolo di assoluto pivot nel piano di salvataggio europeo giocato da Gordon Brown e dal suo consulente che il mondo della finanza lo conosce molto bene e dall’interno, d’altra parte, sta riaprendo anche in Gran Bretagna il dibattito sull’adesione all’euro, cosa praticamente impossibile fino a pochissimo tempo fa, mentre risulta che anche due paesi del Nord Europa non aderenti alla moneta unica, stiano frettolosamente riaprendo il dossier alquanto impolverato e valutando le opportunità offerte dalla protezione dell’euro con occhi molto diversi, il che, trattandosi di una tempesta perfetta che oggettivamente potrebbe rappresentare un colpo mortale all’Europa, conferma davvero che quando la notte si fa più scura è allora che la luce sta per tornare, o, detto con le parole di un monaco giapponese del XIII secolo, da un grande male viene sempre un grande bene!

Credo proprio che la gravità della situazione non sia riscontrabile nell’andamento oramai del tutto imprevedibile dei listini azionari, che al di là di un livello di volatilità mai visto da molti decenni, riesce ad alternare sedute di rialzi record a sedute da profondo rosso altrettanto eccezionale, il che si è verificato in particolare in questa che doveva essere la settimana della riscossa, né che sia legata all’andamento spesso altrettanto volatile delle quotazioni dei titoli pubblici, ma in un mercato del tutto particolare, come lo è quello interbancario, dove si sta registrando una vera e propria resistenza delle grandi banche che svolgono il ruolo di primari dealers rispetto alle inequivocabili indicazioni fornite dalle principali banche centrali con la recente decisione di effettuare, pressoché in contemporanea, un taglio dei tassi che ancora non è stato recepito dall’euribor, ma che vede un LIBOR sul dollaro che si muove a livelli più che tripli di quello fissato dalla Federal Reserve sia per i Fed Funds che per il tasso ufficiale di sconto.

Ma quello che i maggiori banchieri statunitensi assolutamente non sopportano è la radicale revisione del piano Bush-Paulson-Bernspan che, invece di limitarsi a togliere dal loro groppone quelli che tutti ormai chiamano titoli tossici, pretende di acquisire, mediante la sottoscrizioni di azioni privilegiate, poteri di indirizzo e di controllo delle banche stesse, nonché la sospensione di quei bonus e di quelle liquidazioni d’oro che i nostri considerano alla stregua di diritti acquisiti!

Non che i loro colleghi europei nutrano sentimenti diversi, ma le dimensioni delle loro banche sono tali che quella offerta da Brown e compagni è davvero un salvagente difficilmente sostituibile con qualche succedaneo dal più gradevole aspetto, per non parlare poi della crescente consapevolezza che per gli eventuali riottosi la probabilità di fare la fine del potentissimo numero uno della nazionalizzata Royal Bank of Scotland si tradurrebbe in una certezza.

Né va dimenticato che i banchieri francesi, quelli italiani e quelli di altri paesi europei hanno spesso mosso i loro primi passi in banche di proprietà statale o dallo Stato in qualche modo controllate, una prospettiva che, invece, per i banchieri statunitensi rappresenta una vera eresia, se non una sorta di prefigurazione molto fedele di come loro immaginano sia la dittatura del proletariato!

Non a caso è apparso oggi sul web un articolo che dà voce ai malumori di personaggi come John Thain ed altri che preferiscono restare anonimi, una protesta nenanche troppo a mezza voce sui guasti e sui danni che potrebbero venire da una statalizzazione del credito e della finanza, nonché una vera e propria levata di scudi preventiva nei confronti di quelle regole prossime venture che, minacciate da Draghi e Paulson nella famosa cena dei banchieri svoltasi a metà aprile, e scritte nero su biano nel rapporto del Financial Stability Forum, non sono ancora venute alla luce.

La resistenza dei banchieri posti al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico nei confronti delle manovre sui tassi e della stessa moral suasion esercitata dai rispettivi banchieri centrali, nonché la loro dichiarata indisponibilità a mettere in atto comportamenti adeguati a contrastare il crescente fenomeno del credit crunch, sono entrambi fenomeni che dimostrano quanto sia ancora grande la loro inconsapevolezza rispetto alle intenzioni dei politici che puntano a scaricare ogni responsabilità, anche quelle che fanno capo alle disattenzioni del potere esecutivo e legislativo, su quei protagonisti del mondo del credito e della finanza dei quali un tempo erano molto rispettosi ed a volte addirittura timorosi.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.