venerdì 30 settembre 2016

Dagli USA nuovo duro colpo a Deutsche Bank


E' di ieri la notizia che dieci hedge funds in prevalenza basati negli Stati Uniti d'America hanno ritirato in toto o in larga parte la loro liquidità parcheggiata presso il colosso finanziario tedesco dai piedi d'argilla Deutsche Bank che ha dovuto ovviamente fare fronte agli esborsi, un deflusso di denaro dei quali si ignora l'entità, ma soprattutto un danno d'immagine difficile da gestire e che ha provocato ieri sera a Wall Street una flessione di oltre il 7 per cento dell'ADR che rappresenta il titolo dell'azione della banca di Francoforte, che come accade a tutte le società straniere quotate al New York Stock Exchange non viene quotata direttamente.

Ma la notizia più inquietante è che gli stessi hedge funds hanno ridotto la loro esposizione verso la banca tedesca, una mossa che potrebbe significare, ma le informazioni disponibili non permettono di affermale con certezza, che forse gli stessi o hanno ridotto l'affidamento a suo tempo concesso a Dutsche o si sono ritirati dai contratti derivati stipulati a suo tempo con la banca tedesca guidata da John Cryan e credo, se fosse vera in tutto o in parte questa seconda ipotesi, che per farlo senza incorrere in penalità avranno addotto delle ragioni valide sul piano legale, anche se non sono così addentro alle tecnicità dei contratti derivati da poter essere più preciso su questo punto, mentre quello che è certo è che dieci importanti controparti nell'attività tradizionale o in quella che più desta preoccupazioni nel caso Deutsche hanno salutato e se ne sono andate.

Sempre in serata, Deutsche ha emesso un comunicato chiaramente ispirato dal Chief Executive Officer, nel quale cerca di correre ai ripari spiegando che i suoi grandi clienti nell'attività tradizionale e in quella CIB sono molto sofisticati e fanno scelte come quelle rese note ieri per ragioni le più disparate ma che niente hanno a che fare con lo stato di salute della banca, che, ovviamente, è "molto solido" al di là di tutto quello che sta apparendo sulla stampa di tutto il mondo, delle preoccupazioni di governi e banche centrali, nonché di quelle del Fondo Monetario Internazionale che segnala che l'ammontare di derivati e titoli tossici in dotazione di Deutsche rappresentano un ammontare monstre e pari a quindici volte il PIL della Germania.

Ho più volte detto in numerose puntate del Diario della crisi finanziaria pubblicate negli ultimi mesi su quelli che definivo i guai di Deutsche Bank, ma anche di altre banche globali europee, segnatamente di quelle britanniche e di quelle francesi (un paese questo che, non del tutto a caso, ha "piazzato" Christine Lagarde, ex ministro dell'economia e in precedenza consigliere di amministrazione di uno dei colossi bancari francesi, da due mandati alla guida del Fondo Monetario Internazionale e l'esponente di punta della Banque de France, Daniele Nouy, alla guida del Consiglio di Vigilanza presso la BCE), mentre delle due grandi banche spagnole si sa poco se non che sono state beneficiarie, insieme a tanti altri pezzi importanti del sistema bancario spagnolo, degli aiuti provenienti dal Fondo Salva Stati, che l'ammontare del nozionale dei derivati di Deutsche è inquietante, essendo pari a 52 mila miliardi di euro, ma che a bocce ferme il "rischio" sia intorno ai 20 miliardi di euro, parlo dei derivati e non dei titoli tossici di classe 3 dei quali non è noto l'ammontare, una cifra cioè elevata ma gestibile per una banca che ha un attivo di bilancio pari o superiore ai mille miliardi di euro.

Ma avvertivo al contempo che c'era una condizione perché le cose andassero in quello che sarebbe il più roseo dei modi e che questa consisteva nel fatto che per questa massa di derivati, che credo francamente non abbia pari in nessuna parte del nostro pianeta, non insorgesse quello che viene definito rischio di controparte, un rischio che non si verifica soltanto quando una controparte di un contratto derivato va in default, ma anche, e forse soprattutto, se la stessa controparte, sulla base di un forte deterioramento del profilo reputazione o  delle prospettive economiche della banca con cui a contratto un impegno, decide di ritirarsi forte del fatto che l'eventuale causa verrebbe discussa a Londra o a New York due paesi tradizionalmente non teneri nei confronti di una banca che, facendone una più di Carlo in Francia, ha creato imbarazzo e rischiato seriamente di far accendere un faro sull'intero settore creditizio e finanziario da parte delle autorità poste al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico.

L'altro aspetto della vicenda che ha riguardato i dieci hedge funds, e farei notare il piccolo particolare che gli stessi si sono mossi contemporaneamente quasi ne avessero discusso tra di loro, quello del ritiro della liquidità depositata presso la banca di Francoforte rappresenta anche esso un forte campanello di allarme e che in me ha suscitato il ricordo relativo alla prima fase della Tempesta Perfetta e che è quello dell'assalto agli sportelli di Northern Rock nella civilissima Gran Bretagna, anche se è ovvio che non siamo ancora a questo e sono certo che le autorità federali tedesche, l'Unione europea e la vigilanza bancaria presso la BCE troveranno una soluzione, che se includerà anche l'FMI farà sì che a occupare le giornate della Troika sarà la Germania e non più solo la sventurata Grecia!

giovedì 29 settembre 2016

Perché Draghi parla di possibile rischio sistemico per Deutsche Bank?


Il titolo di questa puntata del Diario della crisi finanziaria mi costringe a fare un passo indietro di nove anni a quel giorno di agosto del 2007 quando un oscuro dirigente della Banca Centrale Europea fu chiamato a prendere la decisione della sua vita di fronte al fatto che il mercato interbancario europeo era completamente bloccato a causa del semplice fatto che le banche operanti sul Vecchio Continente rifiutavano di prestare denaro alle altre partecipanti al circuito innescando quella che nel sottotitolo del mio blog ho definito la più grave crisi di liquidità dal secondo dopoguerra mondiale, una situazione a cui la BCE fece fronte, dopo un frenetico giro di telefonate con il presidente e i consiglieri, tutti rigorosamente in vacanza, inondando letteralmente il mercato interbancario di liquidità, ma non risolvendo fino in fondo il problema della diffidenza che ognuna banca nutre nei confronti delle sue concorrenti, diffidenza proseguita in tutti gli anni successivi, ma che si è particolarmente acuita in questi ultimi mesi.

Ma essendosi originata negli Stati Uniti d'America, la tempesta Perfetta fu anche lì originata da un blocco pressoché totale della liquidità interbancaria, acuita in quel caso dal fatto che tutti sapevano che non vi era banca immune dalla presenza più o meno massiccia dei titoli della finanza strutturata, destinati a diventare a breve del tutto illiquidi, e anche in quel caso  la Federal Reserve inondò di liquidità il mercato interbancario impedendo così, come avvenuto in Europa, lo scoppio di una crisi sistemica, ma non riuscendo ad impedire che, nel clima di diffidenza perdurante nel tempo, fosse proprio la decisione di alcune grandi banche a stelle e strisce di non fornire a Lehman Brothers l'accesso ai conti molto capienti che la stessa aveva presso di loro a determinare il default della storica Investment Bank americana, un comportamento scorretto ma esiziale, che fu poi stigmatizzato in sede giudiziaria e dal quale non fu esente la grande banca globale che, insieme a Mediobanca, si sta occupando dell'aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena attualmente rinviato a data da destinarsi.

Mi scuso per la lunga digressione, peraltro superflua per chi segue questo blog sin dal 2007, ma è necessaria per capire fino in fondo la pericolosità determinata dalla crisi, che al momento è più che altro una crisi di credibilità, di Deutsche Bank e della sopraggiunta fase di difficoltà di una Commerzbank che si credeva oramai risanata dopo la forte iniezione di fondi pubblici che ha portato lo Stato tedesco a detenere il 15 per cento del totale delle azioni, una crisi che ha portato le due grandi banche tedesche ad annunciare, come sommatoria, migliaia di chiusure di sportelli e decine di migliaia di licenziamenti, nonché, nel caso di Deutsche, altre misure, in particolare nel settore della finanza strutturata, certamente incisive ma non pubblicizzate all'esterno, mentre entrambe le banche hanno deciso di uscire dall'euribor e questo è un passo di cui vanno comprese fino in fondo le motivazioni, cosa impossibile allo stato attuale delle informazioni.

Ora, qual'è il problema che potrebbe trasformare la crisi di Deutsche, quella di Commerz aggiungerebbe più un dato quantitativo che qualitativo, in una crisi sistemica non solo tedesca o europea, ma addirittura globale? Detto in estrema sintesi risiede proprio nel mistero che avvolge una montagna di derivati assolutamente sproporzionata alle pur ragguardevolissime dimensioni del colosso creditizio basato a Francoforte, si tratta di un entità decine di volte multipla del totale attivo della banca, il che fa escludere a priori che siano prevalentemente di hedging, cioè di copertura di rischi vari (tasso, cambio e via discorrendo), facendo quindi pensare che siano di tipo speculativo, come se la banca tedesca avesse preso a modello Goldman Sachs, una banca globale che scommette su tutto quello sui cui è possibile farlo e con il piccolo particolare che fa da sempre solo quello e che non risulta abbia mai  particolarmente sofferto per repentini mutamenti sui mercati non fosse altro che perché normalmente è lei stessa a provocarli.

Un mistero ancora maggiore circonda quelli che volgarmente vengono definiti titoli tossici o titoli di categoria 3, quelli cioè a maggiore pericolosità e sostanzialmente illiquidi, un'informazione che nei dettagli non è stata fornita né alla Bundesbank, fino al giugno del 2014 incaricata della sorveglianza su questa come su tutte le altre banche tedesche, né a quel ministro delle finanze, Wolfgang Schauble, che è qualche tempo che non recita più come soleva fare fino a poco tempo fa il mantra Deutsche è solida, spesso condito da un "come il granito" e, quindi, prima che un problema di bilanci o di redditività si sta spargendo tra le controparti un altro ritornello che dice più o meno così: se né la BCE né il Governo tedesco, né tantomeno la Bundesbank ne sanno realmente qualcosa, perché dovremmo fidarci noi?

Fa un po' sensazione un articolo di una sezione specializzata del Wall Street Journal che sostiene che una nuova e grave crisi può venire proprio dalla Germania a causa della situazione in cui versano le banche tedesche, in particolare Deutsche Bank, e l'estensore dell'articolo invita caldamente il Governo tedesco a correre in fretta ai ripari fornendo gli aiuti pubblici necessari alle banche tedesche in maggiori difficoltà, avviando al contempo contatti con il Dipartimento di Giustizia statunitense al fine di ridurre l'entità della multa da 14 miliardi di dollari comminata di recente a Deutsche, anche se tra le righe si coglie il suggerimento di ottenere una sorta di condono tombale  per la banca basata a Francoforte da parte delle autorità federali!

Ma fa ancora più sensazione che ieri, nella prima allocuzione dopo quattro anni di fronte ad un Bundestang animato da sentimenti non proprio amichevoli, Mario Draghi, dopo aver ricordato ai tedeschi che il tanto vituperato in quel paese Quantitative Easing ha permesso alla Germania di risparmiare 28 miliardi di euro solo l'anno scorso sugli interessi sul debito statale (un meccanismo che ora rischia di incepparsi, per la scarsità di Bund disponibili per gli acquisti della BCE), soldi che ha invitato ad investire sulla crescita piuttosto che a riduzione secca del deficit, ha poi affermato che non è certo la politica dei tassi a zero che ha prodotto la crisi di Deutsche Bank, perché, ha aggiunto, se una banca diviene possibile causa di una crisi sistemica deve avere ben altri problemi al suo interno e nel dirlo gli è scappato un sorrisetto.

Ricordo che da neo Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi fu investito in piena tempesta perfetta del compito di guidare un organismo chiamato a riscrivere le regole del gioco della finanza internazionale e che è in quella veste che tenne una riunione a porte chiuse a New York, cui furono invitati tutti i vertici delle banche globali e delle allora Investment Banks, un incontro nel quale era affiancato dal ministro del Tesoro USA dell'epoca, Henry Paulson già presidente e CEO di Goldman Sache e, quindi, ex datore di lavoro dello stesso Draghi quando questi aveva un ruolo di rilievo nella divisione europea di Goldman con base a Londra, e in quell'occasione Draghi conquistò sul campo l'appellativo di Super Mario, perché i cronisti che ebbero modo di vedere all'uscita i banchieri più importanti del pianeta, almeno quelli che non riusciti ad uscire da porte laterali, lessero sui loro volti che la riunione tutto era stata meno che una passeggiata di salute e che un  esperto delle diavolerie escogitate dagli apprendisti stregoni delle divisioni di Corporate & Investment Banking come lui è aveva detto loro in buona sostanza e in modo molto circostanziato che la festa era davvero finita.

D'altra parte, dall'intervista a uno dei bracci destri del capo della Vigilanza europea, abbiamo capito che un'analisi molto sommaria e sulla base dei dati disponibili del mare magnum di derivati e titoli tossici in pancia a Deutsche è stata fatta e che, come d'obbligo, ne sono stati messi al corrente il presidente e i consiglieri della BCE, e, quindi, quando Draghi ieri parla ai giornalisti e dice che il problema della banca tedesca nasce da qualcosa altro che gli effetti della sua politica monetaria e che quel qualcosa può essere alla base di una crisi sistemica, ebbene state sicuri che sa bene di cosa sta parlando, così come lo sanno ovviamente i vertici della banca da lui guidata, Weidmann incluso, e il Governo tedesco, quantomeno il potentissimo ministro delle finanze!

mercoledì 28 settembre 2016

La scissione dell'euro e i guai delle banche tedesche


L'esito del referendum sull'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea ha prodotto sinora effetti marginali, al netto della rilevante svalutazione di una sterlina che era in realtà un po' sopravvalutata in precedenza, anche perché non c'è stato ancora il voto di ratifica del parlamento britannico, passo fondamentale per l'attivazione delle previsioni dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona che prevedono  comunque un percorso lungo e accidentato per mettere la parola fine all'adesione di Londra all'Unione europea, un percorso che, secondo le previsioni del Governo di Theresa May che sta lavorando per evitare il passaggio parlamentare di ratifica del referendum che come si sa è solo consultivo, non si concluderà prima del gennaio del 2020 e che quindi durerà qualcosa di più di un triennio e che potrebbe vedere la celebrazione dell'importantissimo e già annunciato referendum sull'uscita della Scozia dal Regno Unito con annessa e anche questa più volte annunciata dall'attuale premier scozzese richiesta di adesione all'Unione europea.

Ma, nel frattempo, da questa parte della Manica non si sta con le mani in mano ed è di questi giorni la notizia che un comitato ristretto di cinque membri, nominato non si sa da chi, ha già elaborato delle linee guida per il negoziato con Londra, un negoziato che metterà in discussione anche quanto stabilito dai trattati con altri paesi, ad esempio con la Svizzera, e che traccerà i contorni di un Europa a due velocità, la prima riferita ovviamente ai paesi facenti parte dell'area euro e a quelli che, pur facendo parte dell'Unione, non adottano la moneta unica e la seconda ai paesi europei che non aderiscono all'Unione ma con i quali la stessa raggiunge accordi che, in cambio della libera circolazione delle merci e dei capitali, richiedono una totale o parziale libertà di circolazione delle persone e norme non troppo punitive per l'accesso dei migranti targati UE ai più o meno generosi sistemi di welfare dei paesi ospitanti.

E in questo quadro che si inserisce una boutade del premio Nobel per l'economia, Joseph Stiglitz che ha sostenuto nelle scorse settimane nella quasi totale indifferenza della Commissione europea e dei principali governi dei paesi membri e che prevede l'adozione di un euro a due velocità,  in realtà di due vere e proprie monete delle quali la più forte sarebbe adottata dalla Germania e da quei non tanti paesi del Nord Europa che attualmente fanno parte dell'area euro (una valuta a cui presumibilmente aderirebbero anche quelli che non si sono voluti a suo tempo mischiare con i paesi più deboli), mentre sarebbe più debole per i paesi della cosiddetta area mediterranea, Francia probabilmente inclusa) e per i paesi di quella che un tempo chiamavamo Europa dell'Est, un'idea che non tiene conto del fatto che la fissazione nel 1998 della parità fisse e irrevocabili tra le valute dei paesi candidati alla costituzione dell'euro stabilì delle svalutazioni di fatto della lira italiana, della peseta spagnola e dell'escudo portoghese, per la dracma andrebbe fatto un discorso a parte e questa non è la sede per farlo.

Uno studio effettuato di recente in Gran Bretagna dall'economista Angel Talavera per l'Oxford Economics  rappresenta involontariamente un formidabile assist per la "provocazione di Stieglitz in quanto mette mette in luce come la forza dell'euro sarebbe molto diversa a seconda del paese che si prende a riferimento, in quanto in base ai fondamentali dei diversi paesi presi in esame, otto per la precisione, vengono fuori rapporti di cambio con il dollaro statunitense molto diversi tra loro e che sarebbero di 1,40 dollari per euro nel caso a fare da pivot fosse la Germania, contro un cambio attuale  euro/dollaro che fatica a mantenere quota 1,12, mentre sarebbe di 1,15 nel caso che il benchmark dell'area euro fosse l'Italia e qualcosa meno della parità con il dollaro se l'euro avesse i parametri e lo stato di salute, si fa per dire, della Grecia.

Va notato che il cambio riferito alla Germania si avvicina molto ai massimi  dell'euro contro dollaro (1,60), mentre quello riferito alla Grecia farebbe tornare la valuta unica europea ai valori dei suoi esordi. E' molto interessante, altresì, che il cambio riferito all'Italia ci porta assai vicino ai valori attuali e reali del rapporto di cambio tra le due valute, così come non è un caso che lo studio metta in risalto che la causa di questa quasi coincidenza sta nel Quantitative Easing della BCE, un'operazione accomodante che, a quanto è dato di capire dalle dichiarazioni di Mario Draghi, proseguirà, pur in presenza delle fortissime resistenze della Germania e dei suoi più stretti alleati anche dopo la scadenza prevista del marzo del 2017.

Nutro profonda stima per le idee in campo economico e per la visione politica liberal del Nobel Stiglitz e penso che anche questa sua uscita un po' estemporanea, estremamente stimolante per me che mi sono occupato professionalmente di cambi, meriti un approfondimento e un dibattito che forse complice l'estate è mancato, anche se penso francamente che se la metodologia applicata da Angel Talaverra  fosse applicata agli Stati che compongono gli Stati Uniti d'America ne vedremmo davvero delle belle!

° ° °

Ho iniziato ad occuparmi dei guai di Deutsche Bank nella terza fase della Tempesta Perfetta sin dal febbraio di questo anno di disgrazia 2016 in perfetta solitudine e mentre l'azione del colosso creditizio tedesco dai piedi d'argilla era, seppur lontanissima dai suoi massimi, ben al di sopra dei 20 euro, ricordo benissimo la solitudine che percepivo mentre sottolineavo le numerose multe subite dalla stessa e denunciavo che al suo mare magnum di derivati per 52 mila miliardi di euro di capitale nozionale si affiancava una quantità non meglio precisata di titoli tossici di classe 3, quelli considerati più pericolosi e figli delle invenzioni degli apprendisti stregoni impegnati a tempo pieno nelle fabbriche prodotto delle sue due divisioni di Corporate & Investment Banking , quelle che l'attuale CEO straniero vuole ora drasticamente ridimensionare, così come ha annunciato la chiusura di un terzo delle filiali in Germania, con relativo salasso di dipendenti e la chiusura di alcune dipendenza all'estero.

Poi sono venute le aperte accuse anche in sede dell'Unione europea mosse dal nostro presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e, solo di recente, la multa da 14 miliardi di dollari comminata dalle autorità federali statunitensi per i comportamenti dalla banca basata a Francoforte nella prima fase della Tempesta Perfetta, comportamenti figli degli errori commessi negli anni che ne hanno preceduto l'avvio nell'estate del 2007, accuse gravi ma che vedono la banca globale tedesca in compagnia del gruppo di testa delle banche globali basate al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico e di quelle che allora si chiamavano Investment Banks, alcune delle quali hanno già accettato di pagare multe miliardarie per gli stessi capi d'accusa, una grossa goccia, quella della multa miliardaria a Deutsche, che ha fatto davvero traboccare il vaso e spinto l'azione della banca sino ad un minimo storico di 10,11 euro, vicinissima cioè alla rottura di quella soglia psicologica dei 10 euro  per una capitalizzazione di borsa più o meno pari alla multa comminata, un valore dell'azione che è considerata molto pericoloso sia dagli analisti tecnici che da quelli fondamentali.

Ma nelle sue disgrazie Deutsche Bank non è sola in patria, in quanto da ieri è deflagrato il nuovo caso di quella Commerzbank, salvata negli anni scorsi dallo Stato tedesco che tuttora ne detiene il 15 per cento delle azioni, e la fusione della quale in Deutsche era auspicata da molti, ignari in buona o mala fede del fatto che raramente mettendo insieme due debolezze se ne fa una forza, ma ora Commerz annuncia un draconiano piano di ristrutturazione che vedrà anche in questo caso la chiusura di moltissime dipendenze e il licenziamento di 9 mila dipendenti su un totale di 45 mila, anche se molti dubitano che ciò basterà a salvare la storica banca tedesca.

Le difficoltà della prima e della seconda banca tedesca non hanno colto di sorpresa il Governo di Angela Merkel che, dopo i disastri degli anni scorsi, le marca molto da vicino attraverso un rapporto informale  tra esponenti dell'amministrazione e i vertici delle due banche, il tutto coordinato dall'arcigno ministro delle finanze cui riportano inoltre sia i consiglieri di amministrazione indicati dal Governo in Commerz, sia i massimi vertici della Deutsche, una consapevolezza che spiega l'atteggiamento molto accomodante della Germania sulla trattativa in corso a Bruxelles tra il Governo italiano e la Commissione, un benign neglect che alla luce dei fatti di ieri e degli ultimi mesi diviene ancor più chiaro, così come va ricordato che negli ultimi dieci anni Germania, Francia e Gran Bretagna hanno iniettato nei rispettivi sistemi creditizi una vera montagna di denaro degli spesso ignari contribuenti, così come hanno fatto la Spagna, l'Irlanda e il Portogallo, per non parlare del Belgio nel caso di Fortis|

La posizione della stampa tedesca e della Bundesbank, nonché degli ambienti politici bavaresi, non  è mai stata tenera verso il presidente italiano della BCE, Mario Draghi, ma, forse anche per il nervosismo legato alla critica situazione delle due maggiori banche di quel paese, oggi assistiamo ad un vero e proprio fuoco di fila contro la politica monetaria di Super Mario, un attacco che segue di pochi giorni l'intervista in mondovisione del falco Weidmann, attacchi con toni inusuali dai quali ha cercato di smarcarsi il falco dei falchi Schauble che sa che inimicarsi Draghi e la Vigilanza BCE proprio in questa delicatissima fase non è proprio la mossa più saggia da fare.

martedì 27 settembre 2016

La CONSOB farebbe bene a vigilare i movimenti su MPS


Faceva davvero impressione l'andamento dell'azione del Monte dei Paschi di Siena che, in un listino che perdeva in quel momento qualcosa più del 2 per cento e dopo aver recuperato a fatica uno nuovo scivolone a livello mediano dell'area dei 18 centesimi di euro, si impennava improvvisamente con una puntata fino a 20,4 centesimi e scambi aggiuntivi che in pochi minuti raggiungevano il livello di 20 milioni, contro una media trimestrale che vede 72 milioni di azioni della banca senese scambiati quotidianamente, una news che ha allertato in tempi molto brevi i giornalisti della Reuters che già alle 11 fanno un lancio di agenzia, mentre i loro colleghi di Trend Online collegano l'impennata sempre all'operare di quelle che in gergo si chiamano mani forti e collega questi movimenti all'attivismo di J.P. Morgan Chase, della Cassa depositi e Prestiti, importante partecipata dello Stato italiano e ad alcuni viaggi che il nuovo amministratore delegato di MPS, Marco Morelli, ha compiuto all'estero e tutti volti al convincimento di fondi governativi, si parla molto di quelli del Qatar, di fondi pensione, fondi di investimento, di hedge funds e di entità molto addentro all'attività di recupero crediti e chi più ne ha ne metta, affinché decidano di mettere mano al portafoglio per un aumento di capitale che non si sa più di quale entità sarà, in assenza di un piano industriale del gruppo creditizio senese, ma, e forse soprattutto quando non si sa se la maxi cartolarizzazione dei crediti in sofferenza sarà fatta tutta in una volta e con come controparte il Fondo Atlante o se sarà spalmata su più tranche ed eventualmente con controparti diverse.

Nei giorni scorsi, per la precisione il 22 settembre, ho pubblicato la puntata Monte dei Paschi e dintorni, nella quale segnalavo il fatto che, indipendentemente dall'andamento dell'indice principale del quale la banca senese, almeno per ora, fa parte, ogni volta che l'azione tendeva a portarsi al di sotto dei 18 centesimi scattava una sorta di carica del Settimo Cavalleggeri che interveniva per salvare la carovana della banca di Rocca Salimbeni, riuscendo per ora nell'intento di non far sprofondare l'azione verso livelli che potevano rappresentare un punto di non ritorno, cosa che è ovviamente molto pericolosa in un momento in cui MPS è letteralmente in mezzo ad un guado dal quale può uscire solo se ritorna un clima di fiducia tra gli investitori italiani e, ancor più tra quelli internazionali, mentre chiudevo la puntata che si era aperta con la frase a torto o a ragione attribuita allo scomparso Giulio Andreotti e che recita che a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia, invitando la CONSOB a dedicare la dovuta attenzione ai movimenti alquanto erratici in Borsa dell'azione della banca senese.

L'organismo deputato a sorvegliare quanto accade nei listini azionari italiani non ha mai brillato per attività di prevenzione e per il tempestivo contrasto dei movimenti speculativi e non credo proprio che in questo caso farà un'eccezione, ma io non posso fare altro che utilizzare il mio blog per invitare i commissari a vigilare su quanto sta accadendo, anche perché eventuali multe tardive oltre a fare poco più del solletico agli speculatori di rango non possono certo rimettere nella bottiglia  il latte versato.

Sulle sorti del Monte dei Paschi si sta combattendo uno scontro al calore bianco tra quanti, da un lato, come il Governo italiano e il suo braccio armato nel settore del credito rappresentato dalla CdP, l'AD della banca Marco Morelli, le due banche che si occupano dell'aumento di capitale, J.P. Morgan Chase e Mediobanca, e, dall'altro, alcune grandi banche globali che stanno fiutando, e non da oggi, l'affare, con i primi, ovviamente favoriti in partenza, che puntano a raccogliere adesioni, se frazionate ancora meglio, all'aumento di capitale (da tre o cinque miliardi si vedrà), mentre le seconde aspirerebbero a fare un sol boccone del gruppo creditizio senese, ma solo a fronte di un fortissimo dimagrimento dello stesso sia in termini di personale che di sportelli, ma e forse soprattutto vogliono essere sicure che per la solidità patrimoniale del gruppo post fusione basti alla Vigilanza BCE la loro parola!

° ° °

Con una reazione a scoppio ritardato, i mercati hanno deciso di puntare il colosso creditizio tedesco dai piedi davvero d'argilla, Deutsche Bank, per l'ennesima multa da 14 miliardi di dollari collezionata negli Stati Uniti d'America, perdendo ieri in una sola seduta il 7,5 per cento e portandosi al nuovo minimo storico di 10,54 euro (ne quotava 30 meno di un anno fa) che corrispondono ad una capitalizzazione inferiore ai 15 miliardi di euro e giunta al livello pressoché pari alla multa appena citata, mentre, ovviamente, sia il Governo che il CEO straniero della banca hanno smentito la possibilità di fare ricorso ad aiuti di Stato.

Ho dedicato numerose puntate ai guai della banca basata a Francoforte e credo che la multa, che come altre comminate a Goldman Sachs e a numerose altre banche globali con sede negli USA verrà ridotta in maniera significativa anche se mai meno di 5-7 miliardi dollari, sia più un problema di reputazione (già un bel po' compromessa nel caso della maggiore banca tedesca) ma che non sia che una goccia nel mare magnum di derivati e titoli tossici che la banca ha accumulato nell'ultimo decennio, una montagna tale che un giudice federale statunitense sta decidendo se intimare a Deutsche di nominare una personalità indipendente, semmai uno di quegli esperti che hanno aiutato le Investment Banks a districarsi tra le diavolerie inventate nei primi anni 2000 dagli apprendisti stregoni delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali

lunedì 26 settembre 2016

L'autunno caldo di banchieri e bancari


Oramai alle tante a autorevoli voci che si sono espresse sull'eccessivo e non più sostenibile numero di banche in Italia e sul conseguente corollario di un numero altrettanto eccessivo di banchieri e consiglieri di amministrazione nonché di dipendenti di ogni ordine e grado delle stesse aziende di credito manca solo la voce di Papa Francesco o degli esponenti degli ordini professionali e delle professioni liberali, tanta è l'unanimità di giudizio su quella, ovviamente mi riferisco ai banchieri e agli amministratori delle banche ma, nell'immaginario collettivo, anche i bancari vengono assimilati a questi ultimi, che è in fondo l'unica casta non toccata, nello status sociali e nelle elevate retribuzioni fisse e ancor più variabili, mentre le altre caste, sindacalisti inclusi, sono passate per le forche caudine di Tangentopoli prima e di libri dirompenti come la Casta dei bravissimi Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella o, per quanto riguarda i sindacati, L'altra Casta del bravo  giornalista economico de L'espresso, Stefano Livadiotti, o incappati in vicende successive che hanno contribuito ad incrinare definitivamente l'immagine dei politici, degli imprenditori e dei sindacalisti operanti nel Bel Paese, visti, ovviamente,  come un insieme che ha tante e lodevolissime eccezioni, anche se le adesioni entusiastiche e dimessa ai vari condoni fiscali e scudi fiscali per il rientro dei capitali con penalità bassissime e garanzia di immunità non fanno che confermare un giudizio che è difficile definire positivo.

Ho dato conto, in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria (segnatamente in Quanti banchieri e quanti bancari servono in Italia?), delle diverse prese di posizione a intensità crescente di nettezza e autorevolezza di coloro che esternavano, da Piercarlo Padoan a Matteo Renzi, passando per le valutazioni contenute nei Report dedicati all'Italia del Fondo Monetario Internazionale o dell'OCSE, per non parlare delle inchieste giornalistiche o dei commenti apparsi su testate italiane o internazionali, per giungere alle parole ultimative pronunciate nei giorni scorsi,dal Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, in arte Super Mario, parole che fugano gli ultimi dubbi, ove ancora ce ne fossero, sulla necessità che il sistema bancario italiano compia l'ultimo miglio del suo più che ventennale processo di ristrutturazione e riorganizzazione puntando, anche grazie alle previsioni delle leggi approvate in via definitiva che riguardano due comparti molto affollati che sono quello delle banche popolari (ricordate quel una testa un voto che vigeva nelle loro assemblee) e in quello delle  banche di credito cooperativo, a portare il numero delle banche, e come step intermedio, a 3-400 al massimo, il numero degli sportelli a ridursi di almeno un terzo, anche grazie alla sostituzione di parte delle dipendenze in agenzie ad alta automazione con presenza solo di una-due persone che danno informazioni e assistono le persone meno avvezze alle nuove tecnologie, mentre, per quanto riguarda il personale, non so se sono vere le cifre attribuite al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di un taglio compreso tra le 150 e le 200 mila persone (su un totale attuale che sfiora le 330 mila), ma quello che è sicuro è che il ridimensionamento degli organici non sarà di molto inferiore a quello che caratterizzerà gli sportelli.

La parola d'ordine, quasi il mantra, di tutti i più o meno autorevoli personaggi o istituzioni nazionali e sovranazionali che si sono espresse su questo delicato e molto intricato argomento è stata "fusioni" e non importa se tra pari o via acquisizioni con un non detto che però traspariva tra le righe dei testi delle loro dichiarazioni e, cioè, che stavolta saranno effettuate senza guardare in faccia a nessuno e non come quelle alla "voleremo bene" che hanno caratterizzato la nascita di colossi dai piedi d'argilla come Unicredit e Banca Intesa-San Paolo il Monte dei Paschi Siena, fino alla pur efficiente Ubi Banca.

Di fronte a tutto questo, in particolare in presenza della quantificazione numerica, poi sfumata se non quasi smentita, fatta da un poco cauto Matteo Renzi che pure ha un fior fiore di collaboratori sui temi economici, vi è stata una chiara tentazione, direi meglio un tentativo, di arrocco tra l'Associazione Bancaria Italiana e tutte le sigle sindacali di categoria che, dopo anni di divisioni, sono tutte raggruppate al primo tavolo, tutti impegnati a ribadire il fatto che la materia è di loro stretta pertinenza, anche se la recente dichiarazione del numero uno della CGIL nel settore, Agostino Megale, sulle modalità di vendite delle quattro banche  derivanti dalla procedura di liquidazione di Banca Etruria e delle altre tre banche coinvolte nel default doveva portare alla vendita in blocco delle quattro entità in luogo della vendita a spezzatino, dichiarazione credo condivisa dai compagni di tavolo, fa capire come non vi sia consapevolezza del cruciale passaggio che il settore bancario italiano sta vivendo non in questa fase, ma in questi giorni e settimane!


domenica 25 settembre 2016

J.P. Morgan e Governo italiano preferiscono investitori istituzionali per l'aumento MPS


Nello stesso articolo del Corriere della Sera che ho citato nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria dove si parlava del tentativo di BNP Paribas di acquisire in toto il Monte dei Paschi di Siena, una mossa propedeutica al riordino delle partecipazioni che il colosso creditizio francese già ha in Italia (BNL, Findomestic e BNP Paribas Italia), ma soprattutto delle condizioni poste per l'acquisizione (taglio di 10 mila dipendenti su 25.700 ed esenzione dalla richiesta di un eventuale aumento di capitale post fusione richiesto dalla Vigilanza BCE), era presente la notizia che il fondo sovrano del Qatar e altri tre fondi dello stesso ricchissimo Paese sarebbero interessati a partecipare, con quattro tranche da 250 milioni di euro l'una, al maxi aumento di capitale che per ora è fissato a 5 miliardi di euro.

Come è evidente a tutti, si tratta di due strade molto diverse tra loro e la scelta su quale delle due percorrere spetta in primis al Governo italiano e al neo amministratore delegato della banca di Rocca Salimbeni, Marco Morelli, un top manager bancario di cui ho già parlato diffusamente in altre puntate del Diario, ma del quale mi interessa qui sottolineare il fatto che la sua fulminea designazione è tutta scritta nel suo curriculum, che vede la sua presenza in quella J.P. Morgan Chase, rimasta unico advisor e arranger dell'aumento di capitale MPS, una banca davvero globale e che ha schierato il suo stesso CEO, Jamie Dixon, per fare pressioni sul Governo italiano ai massimi livelli perché  togliesse di mezzo l'AD Fabrizio Viola e possibilmente anche il presidente Massimo Tononi (che ha scelto da solo di uscire), ma Morelli è anche stato e in posizioni di rilievo in MPS negli anni che hanno visto operare indisturbata la banda del 5 per cento, l'acquisizione di Antonveneta (anche se si dice che Morelli uscì da MPS per contrasti sulla sistemazione contabile degli effetti della medesima operazione, che veniva non molti anni dopo l'altrettanto sciagurata e costosissima acquisizione della Banca del Salento con arrivo al vertice della banca acquirente dell'AD della banca acquisita, De Bustis) e poi numero uno di BofA Merrill Lynch Italia.

Così come tutti ricorderanno che lo stesso Morelli, accompagnato da Tononi che, se aveva ancora dei dubbi se li è tolti in questa occasione, è volato a Francoforte per una molto irrituale intervista con esponenti della Vigilanza BCE, un'intervista avvenuta giorni prima della sua designazione da parte del comitato nomine e poi del CdA della banca senese e resasi assolutamente necessaria per il fatto che Madame Nouy  e compagni volevano capire di più su un avvicendamento che avveniva mentre MPS era lanciato nella più grossa cartolarizzazione mai avvenuta in Italia, ma che credo abbia pochi precedenti nell'area dell'euro, e in un maxi aumento di capitale che viene dopo il flop di quello della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, nonché dopo il faticoso aumento da un miliardo di euro del Banco Popolare, anche se ci hanno messo tre secondi a capire che cosa era successo tra Roma, New York e Siena, perché tutto si può dire dei componenti del Consiglio di Sorveglianza presso la BCE, meno che non siano donne e uomini di mondo!

Quale è la differenza tra l'acquisizione pre aumento di capitale da parte di un grosso gruppo creditizio europeo, può essere BNP Paribas che un sondaggio ai massimi livelli istituzionali almeno lo ha fatto sia in Italia che a Francoforte (dove è penalizzata dal fatto che il capo della Vigilanza sia stata in precedenza ai massimi livelli della banca centrale francese) o un altro grande gruppo creditizio europeo, e l'ipotesi più accredita al momento, apertamente sponsorizzata dal Governo italiano e dalla banca globale statunitense che ha in mano il dossier, di raccattare soldi da fondi governativi, fondi pensione, assicurazioni e via discorrendo, consiste sostanzialmente nel fatto che la prima ha una logica industriale e consente di mettere in sicurezza da subito la banca senese, grazie all'expertise e a una solidità patrimoniale fuori di discussione, mentre la seconda lascia più o meno le cose come stanno in attesa che alla fine, una volta risanata la banca, ci sia qualcuna delle altre quattro banche appartenenti, con MPS, al quintetto di testa del sistema bancario italiano, che si prenda la patata bollente e il pensiero di tutti corre immediatamente a UBI Banca, il gruppo guidato da Viktor Messiah che, nonostante le forti pressioni che sta ricevendo ormai da molti mesi, continua a restare alla finestra.

Ovviamente, l'altra differenza sta nel fatto che un'acquisizione a fermo vedrebbe sfumare per J.P. Morgan 5-600 milioni di euro di commissioni, mentre per il Governo italiano non ci sarebbe lo spettro di una riduzione, come quella richiesta da BNP, di poco meno del 40 per cento dell'organico attuale della banca senese, un'ipotesi dai costi sociali difficilmente accettabili perché, dopo le numerose operazioni di esodo effettuate negli scorsi anni da MPS, non vi è la sufficiente platea di dipendenti in possesso dei requisiti per accedere al Fondo "esuberi" del settore del credito, anche se sarebbe ipotizzabile una maxi cessione di sportelli con annessi dipendenti come in passato si è fatto soprattutto per obbedire alle indicazioni dell'Antitrust.

venerdì 23 settembre 2016

Avviso ai lettori


Quando, nel febbraio di questo anno di disgrazia 2016, ho ripreso le pubblicazioni del Diario della crisi finanziaria, ero convinto che, dopo tre anni circa di sospensione delle pubblicazioni, avrei stentato a ritrovare i miei lettori degli anni roventi della Tempesta Perfetta, anche perché ero convinto che condividessero la mia percezione che oramai il peggio era passato e che non fosse quindi necessario seguire quotidianamente le fasi di una crisi che si era fatta pressoché sotterranea, anche se pronta a riemergere quando le condizioni si fossero fatte propizie, il che è puntualmente accaduto nei mesi a cavallo dell'inizio 2016, dando luogo a quella che ho definito la terza fase della Tempesta Perfetta, una fase che presenta caratteristiche diverse dalla prima e dalla seconda fase di quella che non a caso viene riconosciuta come la più grave crisi di liquidità dalla fine del secondo conflitto mondiale, ma che, grazie alla deregolamentazione nel settore dei servizi finanziari e al più generale processo di globalizzazione, ha rischiato di superare, come effetti devastanti, alcuni dei quali ancora di là da venire, anche la crisi del 1929 e di quella successiva fase di acuta depressione che fu interrotta più di dieci anni dopo solo dallo sforzo bellico, uno sforzo che fece parlare del presidente di allora degli USA come di un keynesiano malgrado sé.

Mi sembrava, quindi, di lanciare dei messaggi in una bottiglia affidata al vasto mare del web e ho anche accettato di pubblicare le puntate, oltre che su Facebook, anche su tre siti che abitualmente si occupano d'altro, anche se, per una serie di motivi, ne è rimasto soltanto uno più alcuni siti che fanno il copia incolla delle puntate che più gli interessano, ma è bastato poco per capire che si trattava di una preoccupazione infondata perché la risposta dei lettori è stata pressoché immediata e ora il blog è visitato da circa 7.500 persone al mese, più che triplicando in pochi mesi il numero di visite, anche se è radicalmente cambiata la composizione che vede i lettori statunitensi giungere ad una cifra di visite mensili più che doppia rispetto a quelli italiani, con 4500 visite circa contro le 1803 dei miei compatrioti, mentre si aggirano sulle duecento visite per ciascuno dei paesi quelle di Germania, Filippine e Lituania, per non contare le decine di visite che caratterizzano gli altri paesi.

La cosa interessante delle circa duecento visite quotidiane statunitensi è che le stesse sono rigorosamente raggruppate in blocchi di 30 persone e le visite riguardano prevalentemente puntate della prima fase della Tempesta Perfetta e, quindi, comprese tra il 2007 e il 2010, facendo pensare a lezioni o seminari incentrati sugli anni più turbolenti, in particolare negli Stati Uniti d'America, della crisi finanziaria, ipotesi che voglio verificare avvalendomi nuovamente di Google Analitics che per pigrizia non ho riattivato.

Voci da dentro la BCE: Ignazio Angeloni


Se c'è un'istituzione che parla prevalentemente per atti, questa è indubitabilmente la Banca Centrale Europea, mentre, da quando hanno perso gran parte delle attribuzioni, sono diventati molto, a volte troppo loquaci, i governatori delle banche centrali nazionali, che un tempo limitavano le proprie esternazioni al discorso tenuto in occasione della presentazione del bilancio dell'istituzione da loro presieduta o alle audizioni richieste dalle commissioni parlamentari, poche o nessuna intervista, ma, come si sa, i tempi cambiano e, nei giorni scorsi, il numero uno della Bundesbank si è portato avanti con il lavoro rilasciando un'intervista che è apparsa contemporaneamente su quattro importanti quotidiani europei e non un'intervista qualsiasi ma quella in cui attacca alzo zero la politica monetaria del suo presidente in BCE, Mario Draghi, e le scelte del Governo presieduto da Matteo Renzi che, da toscano quale è, gli ha risposto per le rime, mettendo in risalto la debolezza intrinseche delle banche tedesche e alcune flessibilità che la Germania si prende senza chiedere niente a nessuno (vedi la puntata di mercoledì del Diario della crisi finanziaria).

Ma torniamo alla molto silente e riservata Banca Centrale Europea, per dire che è quasi ciarliera a confronto del Consiglio di vigilanza, organismo autonomo e indipendente, ma operante nel seno dell'istituzione di Francoforte e avente come compito istituzionale la vigilanza delle banche dell'area euro oltre una certa dimensione, nonché quello di riferire al Consiglio della BCE ogni quattordici giorni per metterlo al corrente sui lavori in corso, sulle criticità incontrate, sui principali dossier aperti e via discorrendo.

Questo Consiglio di vigilanza, presieduto da Daniele Nouy e da altri cinque membri, rappresenta l'incubo dei vertici delle banche italiane e di quelle dell'area dell'euro ad esso soggette, si tratta delle più grandi perché al di sotto di una certa soglia dimensionale resta competente la banca centrale nazionale, ha visto la luce nel giugno del 2014, quindi molto tempo dopo la nascita della BCE, anche per le resistenze delle banche centrali nazionali a cedere un'attività come la vigilanza sulle banche  più importanti operanti sul proprio territorio nazionale ad un organismo sovranazionale come la BCE indubbiamente è, cercando, quando l'ineluttabile è avvenuto, di piazzare proprie donne e uomini nell'organismo direttivo di questo nuovo organismo e così è avvenuto per la Francia che ha ottenuto la presidenza, per la Germania che ha conquistato la vice presidenza e per la stessa Italia che con Ignazio Angeloni ha ottenuto una posizione che, seppure a pari livello con gli altri consiglieri, gli consente di essere molto ascoltato dalle due donne al vertice del nuovo organismo, anche per il suo curriculum che, dopo studi post laurea negli Stati Uniti, lo ha visto operare in posizioni di rilievo in Banca d'Italia, poi al Fondo Monetario Internazionale e infine, sin dalla sua costituzione, alla Banca Centrale Europea dove ha ricoperto ruoli crescenti.

Ebbene, in una lunghissima intervista concessa a Fubini de La Stampa, Angeloni cerca di fugare i maggiori dubbi che i banchieri nutrono nei confronti dell'operato della Vigilanza europea, in particolare sui continui adeguamenti dei requisiti patrimoniali, requisiti che, anche una volta individuati, risultano non valere per alcune banche, vedi il recente caso di Unicredit e Deutsche Bank alle quali è stato richiesto di rispettare un Tier 1 di due punti percentuali superiore a quello stabilito per l'universalità delle banche vigilate dell'area dell'euro (e due punti, viste le dimensioni dei gruppi bancari citati, sono un'enormità), e a questa domanda Angeloni, senza mai citare casi specifici, ammette che è vero, che esistono ragioni particolari, che le banche in esame  a suo dire conoscono benissimo, che richiedono un rafforzamento della struttura patrimoniale incrementale in termini percentuali di quello delle altre banche dell'area euro.

Ma è quando si giunge alla specifica e circostanziata domanda sulla verifica dell'adeguatezza patrimoniale rispetto alla montagna di derivati e titoli tossici propri delle maggiori banche tedesche e francesi, quelle britanniche ovviamente non sono vigilate, che la risposta di Angeloni si fa un po' confusa, pur chiarendo che approfondimenti sono stati fatti e che l'organismo di cui lui fa parte non guarda in faccia a nessuno,  ed ecco che riesce subito  a spostare il discorso su quella che è la vera e propria ossessione della Nouy e compagni e cioè i Non Performing Loans e su questi conferma che la Vigilanza guarda alle cifre al lordo degli accantonamenti, perché questi, pur importanti, non impediscono quell'irrigidimento dei bilanci così pericoloso in questa difficile fase congiunturale per le banche italiane e non.

Rinviando all'articolo del bravo Fubini, non mi resta che consigliare ai vertici delle banche italiane sorvegliate direttamente dalla Vigilanza BCE di farsi aiutare per ottenere qualche rimedio che consenta loro sonni profondi e senza sogni.

giovedì 22 settembre 2016

Monte dei Paschi e dintorni


Come diceva di sovente Giulio Andreotti a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia ed io, che quando era in vita, ho pensato tutto il male di questo uomo politico democristiano, non ho mai dubitato della sua intelligenza e della sua sagacia, così ho ripensato a questa frase dopo che il corso in borsa dell'azione sembrava definitivamente destinata a naufragare verso livelli che sarebbero giustificati solo dopo l'enorme diluizione che avverrà post aumento di capitale e, improvvisamente da ieri ha recuperato qualcosa di più di un centesimo dai recenti minimi storici e sembra destinata a tornare nell'area dei 20 centesimi di euro, un'area che comunque rimane ben lontana da quei quasi due euro toccati appena dodici mesi orsono.

Di tutto ciò non posso che essere felice per i di per sé molto depressi azionisti della banca di Rocca Salimbeni, ma tuttavia non posso far a meno di riflettere sui motivi che spingono qualcuno a scommettere sull'azione della banca senese alla vigilia di un aumento di capitale che forse non sarà più di cinque miliardi come era previsto nei disegni dell'ex amministratore delegato, Fabrizio Viola, e dell'esodando di lusso e tra poco ex presidente, Massimo Tononi, sarà comunque presumibilmente di quegli almeno tre miliardi necessari per coprire le perdite derivanti dalla cessione della totalità delle sofferenze, pari al netto degli accantonamenti a qualcosa di più di nove miliardi di euro, sempre che non si scelga di spalmare le cessione sull'arco di tempo previsto nell'oramai famosa missiva della Vigilanza della BCE.

Ma il problema è un altro e consiste nel fatto che, nominando Marco Morelli, il consiglio di amministrazione di MPS si è consegnato mani e piedi a J.P. Morgan Chase, il cui Chief Executive Officer, Jamie Dixon, è intervenuto direttamente sulla delicata partita, incontrando questa estate Matteo Renzi a Palazzo Chigi, un incontro che in qualche modo ha favorito l'assolutamente irrituale telefonata ultimativa di Piercarlo Padoan ad un attonito Fabrizio Viola, una telefonata in cui non solo lo si invitava a farsi da parte, ma, stando a quello che riportano i giornali, gli si comunicava che il presidente del Consiglio era informato.

Come è noto, Viola era un ostacolo fino a quel momento insormontabile rispetto ai progetti della banca statunitense che era chiamata a organizzare l'aumento di capitale, in quanto l'aveva spuntata sul fatto di lasciare agli azionisti il diritto di opzione e aveva rifiutato la proposta di slegare le commissioni, pari a centinaia di milioni di euro, dai risultati conseguiti nella di per sé difficile campagna relativa al maxi aumento di capitale di MPS.

Non rivelo il mio retropensiero su quello che sta accadendo negli ultimi giorni, ma spero vivamente che la CONSOB stia vigilando sulle fluttuazioni delle azioni di una banca che sta attraversando un passaggio davvero cruciale!

In un lancio di agenzia da Londra di straordinaria lunghezza, la Reuters avverte che la partita dell'aumento di capitale di MPS potrebbe seguire una strada scartata nei mesi scorsi, pur se supportata da una chiara dichiarazione favorevole di Mario Draghi che ovviamente non faceva riferimento specifico a nessuna banca, parlando genericamente di banche italiane, e che è quella che a sottoscrivere l'aumento di capitale potrebbe essere lo Stato italiano che però, salvo deroghe provenienti dalla Vigilanza europea dovrebbe applicare le regole previste dal processo di risoluzione. Tuttavia,  come riporta lo stesso estensore della nota, né il Monte dei Paschi, né il Tesoro, né fonti vicine al consorzio delle banche si sono impegnate in via preliminare all'aumento di capitale hanno confermato questa ipotesi che parte da tre funzionari UE vicini al dossier e, quindi, vi riporto la notizia, che peraltro, ove venisse confermata, comporterebbe un applicazione totale o parziale del bail in, a puro titolo di cronaca e aggiungendo, a titolo personale, che non la trovo particolarmente credibile, almeno sino a che sarà in carica il Governo Renzi.

Leggo solo ora che il presidente dell'EBA (l'agenzia bancaria europea), Andrea Enria, ha dichiarato che se gli aiuti di Stato servono ad ottimizzare l'operazione di maxi cartolarizzazione, detto per inciso la più grande mai realizzata in Italia, del Monte dei Paschi di Siena, allora gli stessi sono benvenuti|

Quello che le banche centrali proprio non possono fare


Ieri, a mercati rigorosamente chiusi, la Federal Reserve ha emesso il comunicato ufficiale al termine di due giorni di lavori del Federal Open Market Committee,  l'organismo di vertice della banca centrale statunitense presieduto da Janet Yellen, una nota che, oltre al per me scontatissimo, mantenimento dei tassi allo 0,25-0,50 per cento, rivede al ribasso le stime della crescita stelle e strisce, portandole seppur di poco, al di sotto del due per cento e non esprime particolari preoccupazioni sulla dinamica dei prezzi al consumo e all'ingrosso, insomma valuta la situazione dell'economia e dell'occupazione statunitensi lontane da quella situazione di surriscaldamento che giustificherebbe una politica monetaria restrittiva.

In diverse puntate del Diario della crisi finanziaria, una delle quali molto recente e scritta quando i Fedwatchers davano per quasi certo il secondo aumento dei tassi dopo quello deciso nell'ormai lontano dicembre del 2015, scommettevo non solo sul fatto che ciò non sarebbe avvenuto, ma anche che molto, ma molto difficilmente un inasprimento dei tassi allo 0,50-0,75  per cento sarebbe stato deciso in questo anno di disgrazia 2016 che vede un oggettivo rallentamento della crescita dell'economia e dell'occupazione USA, segni alquanto evidenti di possibile scoppio della bolla speculativa sull'azionario a stelle e strisce, uno stop del notevole recupero intervenuto negli scorsi anni nel settore immobiliare, sia dal punto di vista delle vendite che dei relativi prezzi, un prezzo del petrolio che, al netto di un sempre possibile accordo tra i paesi OPEC e i produttori di petrolio estranei a questa importante associazione nell'incontro previsto a breve, non riesce neppure a recuperare la soglia psicologica dei 50 dollari al barile, sia con riferimento al mercato del Brent che a quello del WTI.

Mentre le borse statunitensi festeggiavano e i debitori delle banche con prestiti e mutui a tasso variabile tiravano un più che comprensibile sospiro  di sollievo, è intervenuto a gamba tesa sulla decisione della Fed Donald Trump, definendola senza mezzi termini una decisione politica volta a favorire il presidente in carica, Barack Obama, e la sua principale sfidante nella tornata elettorale, Hillary Clinton, un intervento inusuale da parte di un candidato alla Casa Bianca e che ha provocato un'altrettanto inusuale risposta della Yellen che ha ovviamente rivendicato l'autonomia dell'istituzione da lei presieduta dalla politica e ribadendo che le scelte della Fed guardano solamente ai dati dell'economia e dell'occupazione.

D'altra parte, per un candidato come Trump che ha puntato tutto non sui progetti e sulle idee, ma bensì sulla paura, una bella crisi finanziaria a ottobre sarebbe una manna dal cielo e riaprirebbe le ferite della prima e della seconda ondata della Tempesta Perfetta, con il ricordo delle perdite nel settore immobile e in quello finanziario, per non parlare del vero e proprio assurdo del livello record del prezzo del petrolio a 147 dollari al barile mentre la domanda globale di greggio sprofondava per la crisi, come certificato dalla discesa a precipizio a livelli anche inferiori ai 40 dollari che si verificò pochissimi mesi dopo.

Ma la giornata si era aperta con la decisione della Bank of Japan che aveva mantenuto i tassi al livello precedente, compreso lo 0,1 per cento negativo, concentrandosi su una gestione della curva dei rendimenti volta a mantenere lo yield del decennale giapponese a zero, ma già vi era stata la decisione della Banca Centrale Europea di mantenere i tassi ai livelli irrisori stabiliti ormai tanto tempo fa e confermando l'intenzione di operare cambiamenti quantitativi, ma soprattutto qualitativi, e di scadenza temporale sul Quantitative Easing , decisioni che hanno fatto letteralmente infuriare la Germania e i suoi più stretti alleati che hanno lasciato briglia sciolta a Jens Weidmann, vedi puntata di ieri, il loro uomo di punta nel Consiglio della Banca Centrale Europea, con il divertente corollario che, quando deve attaccare il suo acerrimo nemico, Mario Draghi, se la prende con il nostro Paese, della serie dì a nuora perché suocera intenda!

Per la Bank of England sarebbe necessario un discorso a parte perché, dopo la recente decisione che ha portato i tassi a livello della parte bassa della forchetta statunitense e incrementato il QE britannico, si mantiene nella manica l'ulteriore ribasso dello 0,25 per cento ove, come è largamente prevedibile, la situazione dell'economia del suo Paese dovesse appesantirsi oltre modo.

mercoledì 21 settembre 2016

Chi è Jens Weidmann e perché parla male di noi?


Sarà vero anche per altri paesi, ma le nomine degli alti burocrati in Germania sono strettamente legate alle appartenenze politiche e non fa certo eccezione a questa regola il non più così prestigioso incarico di presidente della Bundesbank, assegnato anni fa dalla cancelliera Angela Merkel al suo pupillo Jens Weidmann, la banca centrale tedesca che, come le altre 18 consorelle dei paesi dell'area dell'euro, ha dovuto cedere gran parte delle attribuzioni in favore della Banca Centrale Europea, dalla vigilanza alla politica monetaria fino alla stampa della moneta, una perdita di attribuzioni che brucia ancora di più perché, in base ad un patto non scritto, la Germania ha ottenuto che la sede della BCE fosse a Francoforte, sede peraltro del colosso creditizio dai piedi di argilla Deutsche Bank, ma ha dovuto rinunciare alla possibilità che il suo capo della Bundesbank possa aspirare a ricoprire il posto ricoperto all'inizio da un olandese, poi da un francese e infine da un italiano, Mario Draghi per l'appunto.

Negli scorsi anni, tuttavia, il presidente della Bundesbank, l'ascetico Weidmann, appunto, ha ottenuto la presidenza della Banca dei Regolamenti Internazionali, con sede in quel di Basilea, e si sta dando molto da fare perché da questa venga individuata una soluzione a quella che per lui è diventata una vera e propria ossessione e che consiste nel fissare un limite del 25 per cento al possesso di titoli di Stato da parte delle banche, solo che, essendo un organismo che raggruppa le banche centrali di tutto il mondo, tale misura dovrebbe valere all over the world e questo non rende facile per il nostro ottenere quanto vuole.

Prima di entrare nel merito delle nuove accuse del presidente della Bundesbank alla politica monetaria perseguita da Mario Draghi e all'Italia, vediamo come ha operato negli ultimi decenni la banca centrale tedesca in materia di vigilanza e di prevenzione di possibili dissesti delle banche tedesche quando le stesse, fino al giugno del 2014, erano controllate dalla Bundesbank e vediamo come, oltre ai veri e propri disastri nel settore della landesbanken (banche regionali direttamente controllate dai rispettivi Land) e delle sparkassen (casse di risparmio) due comparti che hanno ricevuto sostanziosi finanziamenti pubblici ma che ancora, emblematico il caso della landesbank di Brema, continuano a traballare, mentre la vigilanza sulle due maggiori banche tedesche, Deutsche Bank e Commerzbank, è stata veramente lacunosa e le due banche globali si sono presentate all'appuntamento con gli alti marosi della prima fase della Tempesta Perfetta gonfie fino all'inverosimile di derivati, e quel che è peggio di titoli tossici  di categoria 3, considerati i peggiori e che in pochi mesi dopo lo scoppio della crisi nell'agosto del 2007 non facevano letteralmente più prezzo, ma il bello è che, quando si giunge a determinare i pesi di rischiosità dei vari assetts, la Germania ed altri paesi spingono per attribuire un peso molto modesto a derivati e titoli tossici e uno molto più alto ai Non Performing Loans, cosa che diviene vangelo nelle prassi operative del Consiglio di vigilanza presso la BCE presieduto dall'ineffabile Madame Nouy, come le banche italiane hanno appreso a proprie spese.

Non una parola né un provvedimento da parte della Bundesbank rispetto al fioccare di multe miliardarie a carico della Deutsche Bank, fino all'ultima richiesta da parte del Governo degli Stati Uniti d'America di una sanzione da 14 miliardi di dollari che, per chi non conoscesse il sistema statunitense, verrà sì ridotta ma che ha pendente la possibilità di giungere al ritiro della licenza all'esercizio del credito negli USA, un'eventualità insopportabile per una banca globale come Deutsche.

Ma di tutto questo Weidmann evidentemente non si preoccupa, perché la sua unica fissazione è contrastare il Quantitative Easing di Mario Draghi con accuse al limite del risibile che però rischiano di fare breccia nei cuori dei Governi dell'Europa del Nord che temono che la BCE si sia spinta troppo oltre nell'inondare il mercato di liquidità, tutto questo incurante del fatto che la Germania è la prima beneficiaria degli interventi di Draghi e compagni, e questo ha inciso sui tassi negativi cui è giunto il decennale, al punto che non ci sono praticamente più Bund da acquistare sul mercato, così come sostiene che la politica dei tassi a zero sia negativa per le banche dei loro paesi, non vedendo che il problema è quello del blocco di fatto del mercato dell'Euribor, basato sul semplice fatto che le banche non si fidano le une delle altre, e sopportano sensibili oneri proseguendo nella loro pratica di depositare overnight presso la BCE. gran parte delle somme ricevute dalla stessa.

Per quanto riguarda le accuse all'Italia siamo altrettanto al limite della provocazione, perché Weidmann sa benissimo che la flessibilità che l'Italia ha ottenuto è nei limiti delle regole e che ci sono paesi come la Spagna, il Portogallo, la Francia che non rispettano neppure la regola del 3 per cento del deficit sul PIL, così come sa che buona parte dell'incremento del debito è legato a impegni internazionali e alla scelta del ministro dell'Economia di mettere fieno in cascina approfittando dei tassi bassi, mentre la Germania da sei anni non rispetta la regola del 6 per cento come massimo avanzo commerciale consentito, e che, dopo un blando richiamo della Commissione, ora è arrivata addirittura a sfiorare l'otto per cento.

Ma c'è un argomento sul quale Weidmann, come il falco Schauble e la stessa Merkel si sono dimostrati molto comprensivi con l'Italia, ed è quella richiesta alla Commissione UE di valutare l'eccezionalità della situazione che si è aperta anche con la Brexit e che punta a non considerare aiuti di Stato eventuali interventi volti al rafforzamento delle banche, una richiesta che, se accolta, tornerebbe molto utile come precedente alla Germania nel caso di tracollo di Deutsche e/o di Commerz, due banche per le quali potrebbe servire un supporto finanziario nell'ordine delle centinaia di miliardi di euro!

P.S. Le dichiarazioni di ieri del ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, confermano le indiscrezioni che vedevano in una sua perentoria telefonata all'ex AD di MPS, Fabrizio Viola, le ragioni delle repentine dimissioni di quest'ultimo. In quanto poi al fatto che l'avvicendamento favorirebbe l'adozione di un nuovo piano industriale e la cessione delle sofferenze, temo che questo sia vero in quanto ci si avvicinerebbe di più alle indicazioni di J.P. Morgan respinte da Viola.

martedì 20 settembre 2016

Profumo di massoneria in MPS e Banca Etruria


Dire che a Siena e ad Arezzo l'influenza della massoneria si faccia molto sentire sull'economia ma in particolare nelle banche è davvero un segreto di Pulcinella e lo dico a ragion veduta perché ho lavorato in una grande banca che allo scoppio dello scandalo della loggia massonica Propaganda 2 di Licio Gelli, residente fino alla sua morte avvenuta in tardissima età in Arezzo in quel di villa Wanda, scoprì di avere l'ex direttore generale, quattro direttori centrali e il numero uno dell'entità che si occupava di gestire i patrimoni dei grandi clienti più alcuni funzionari di vario livello iscritti a questa loggia che la commissione parlamentare sciolse e dichiarò essere estremamente pericolosa per la stessa sicurezza dello Stato, una posizione, quella della commissione d'inchiesta, molto coraggiosa ma che sortì pochi risultati perché in quel porto delle nebbie che era allora il tribunale di Roma, ma fu così anche in altre sedi giudiziarie, non si pervenne a nessun risultato significativo, anche perché dalle liste era emerso che gli iscritti rappresentavano un ampio spettro delle aziende di Stato, delle forze armate, della magistratura e che una regola non scritta della P2 prevedeva che dietro ogni iscritto in posizione di potere ci doveva essere una persona volutamente non iscritta in pole position per prenderne il posto in caso di scoperta degli elenchi, così alla fine a pagare il conto fu la povera Tina Anselmi, inflessibile presidente della Commissione, che vide a breve terminare la propria carriera politica.

Ovviamente lo scandalo della P2 riguardo anche altri di quelli che a quei tempi si chiamavano istituti di diritto pubblico, tra i quali lo stesso Monte dei Paschi di Siena,  e una delle cose che Commissione presieduta dall'encomiabile Onorevole Anselmi non fece fu purtroppo proprio quella di non andare a fondo sugli atti compiuti dai confratelli che avevano direttamente o indirettamente la possibilità di concedere credito per verificare se li avevano deliberati ed erogati in base ad uno scrupoloso esame del merito creditizio o per altre e più oscure ragioni e se il nocciolo duro delle perdite su crediti delle ex banche pubbliche e di non poche tra quelle private in qualche caso dominate da logge massoniche antagoniste di quella di Gelli si sia originato proprio da queste concessioni di credito che spesso sorvolavano su particolari quali il merito creditizio del richiedente, le garanzie reali e personali, insomma all'insegna del "basta la parola".

Ora con le dichiarazioni di Ferruccio De Bortoli, giornalista "scomodo", grande editorialista e già direttore di quel Corriere della Sera che fu costretto a lasciare dalla sera alla mattina su pressione della politica, quando dice che sente odore di massoneria nelle vicende del Monte dei Paschi di Siena e, prima della provvidenziale liquidazione, della stessa Banca Etruria, dichiarazioni corroborate, come rivela oggi il Fatto Quotidiano, anche dall'ex presidente di MPS, Alessandro Profumo che in luogo del termine massoneria usa quello di poteri più o meno oscuri e di come, appena arrivato a Siena e resosi conto che molte cose non tornavano, aveva proceduto a quello stesso ricambio dei direttori centrali che aveva operato con successo al Credito Italiano quando da capo della pianificazione e controllo di gestione era divenuto improvvisamente amministratore delegato per decisione dell'allora presidente Lucio Rondelli, ma che, visto che le cose non cambiavano a Rocca Salimbeni, si vide costretto a lasciare dopo soli tre anni la banca senese, e, ma questo lo aggiungo io, lasciando solo l'amministratore delegato Fabrizio Viola a cavare le castagne dal fuoco fino al suo licenziamento nei giorni scorsi, un licenziamento determinato da circostanze talmente oscure e maleodoranti che anche un ex Goldman Sachs come Massimo Tononi ha preannunciato la sua intenzione di dimettersi al termine dell'assemblea che dovrà deliberare l'aumento di capitale ormai certamente targato J.P. Morgan Chase!

Testimonianze di questo intreccio tra massoneria e affari erano peraltro emersi con forza, quando il vice presidente di Banca Etruria, Boschi noto per lo più per essere il padre della ministra per le riforme nel Governo Renzi, aveva incontrato il faccendiere Flavio Carboni, considerato il padre della P3, per avere consigli sul possibile nuovo direttore generale di quella banca già allora tecnicamente fallita e per la quale per fortuna proprio in questi giorni sono giunti ai risparmiatori truffati i primi rimborsi, mentre su MPS mi limiterò a notare che l'ex presidente della Fondazione prima e della banca poi, Mussari, doveva avere appoggi veramente potenti per far dimenticare a una città orgogliosa delle sue tradizioni il fatto di non essere neppure senese.

venerdì 16 settembre 2016

USA chiedono 14 miliardi di $ a Deutsche per i subprime


Quando ho letto la notizia relativa alla richiesta delle autorità federali statunitensi che, nell'ambito di una vertenza legale, chiedono al colosso creditizio dai piedi di argilla Deutsche Bank 14 miliardi di dollari per chiudere la vicenda del suo ruolo molto attivo  in quella che fu una vera e propria tragedia e che innescò la tempesta perfetta nel 2007, quella dei mutui subprime, o meglio, del loro impacchettamento in titoli della finanza strutturata che, grazie alle alchimie degli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali operanti negli Stati Uniti d'America, ottennero dalle più importanti società di rating del pianeta quella tripla A che consentì a questi titoli di essere acquistati a mani basse dai fondi pensione, dalle compagnie di assicurazione e da altri investitori istituzionali tranquilli sia per l'altissimo rating, ma anche per la clausola di riacquisto che i venditori degli stessi allegramente inserivano nei contratti sottoscritti.

Questa notizia mi fa dunque tornare indietro nel tempo di nove anni e ricordo perfettamente quell'estate del 2007 che si aprì con il default di due o tre entità finanziarie statunitensi per motivi di liquidità di cui nessuno allora capiva i motivi, ma che accesero un campanello d'allarme nella mia mente e in quella di un piccolo numero di economisti e di analisti che avevano compreso che si era di fronte ad una spirale perversa tra calo vistoso dei prezzi delle case e conseguente difficoltà dei mutuatari, spesso titolari di un primo e di un secondo mutuo sulla stessa abitazione, a far fronte alle rate che, spesso, come nel caso dei subprime (che poi significa mutui concessi a cliente al di sotto degli standard di affidabilità creditizia), dopo un periodo di grazia solitamente pari ai primi cinque anni, schizzavano verso l'alto in base alle previsioni del mutuo stesso che l'aspirante proprietario di casa spesso nemmeno leggeva convinto che, dopo il periodo di grazia, sarebbe avvenuta una rinegoziazione delle condizioni capestro!

Ma la più grave crisi finanziaria dalla fine del secondo conflitto mondiale sarebbe stata anche disinnescata se i massimi vertici dell'economia e della politica non fossero stati il presidente degli Stati Uniti d'America, quel George W. Bush coinvolto nello scandalo delle Saving and Loans qualche anno prima in buona parte per ragioni legate ai mutui erogati con estrema leggerezza, il ministro del Tesoro, quell'Hank Paulson che da numero uno di Goldman Sachs sapeva benissimo che quei titoli comprendevano in minima parte i mutui ma erano infarciti di altra roba, sempre inventata dalle fabbriche prodotto, titoli che sarebbero venuti giù tutti insieme in presenza di una certa percentuale di default della componente mutui, facendo scattare le clausole di riacquisto a carico dei venditori degli stessi titoli con conseguente default di chi li aveva venduti, e il presidente della Federal Reserve, quel Benjamin Bernanke, in arte Bernspan per l'influenza esercitata su di lui dal suo predecessore Alan Greenspan, uno studioso di storia dell'economia e specializzato nelle crisi finanziarie, uno studioso abituato a conversare con i suoi amati studenti percorrendo gli stessi vialetti che era uso calcare Albert Einstein. 

Ebbene questi tre personaggi avrebbero potuto disinnescare la bomba se non fosse intervenuto a stretto giro di posta il blocco totale della liquidità al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico, blocco intervenuto il 4 agosto del 2007 e richiese altre banche centrali direttamente coinvolte, BCE, Federal Reserve e BoE, interventi per svariate centinaia di miliardi ma che non risolvere la diffidenza reciproca delle banche, non sapendo ognuna quanto fosse intasata di titoli più o meno tossici l'altra, una situazione che, in modo più o meno evidente permane tuttora e costringe le banche centrali a fare da "stanza di compensazione" delle banche da loro sorvegliate.

Ovviamente, quando le cose iniziarono a peggiorare, scomparve un'intera categoria di entità finanziarie, quelle specializzate proprio nell'erogazione dei mutui, subprime e normali, che non potevano assolutamente reggere alle richieste di riacquisto dei mutui erogati e ceduti a banche di varia dimensione, soprattutto quando la caduta del valore degli immobili iniziò a diventare rovinosa e rischiò, cosa che in pochi casi si realizzò, di portare al fallimento delle stesse banche che avevano acquistato quei mutui, con il risultato che iniziarono allora a catena le procedure di foreclosure che a loro volta spinsero ancora più giù i prezzi delle case e la crisi iniziò a toccare fortemente anche quei ceti medio alti che, con il secondo mutuo, aveva trasformato le loro case in un bancomat per pagare gli studi dei figli, le rette del club, la nuova automobile e quant'altro.

Il resto è storia, con il crollo del mercato immobiliare e milioni di americani espropriati delle loro case, milioni di disoccupati aggiuntivi, la nazionalizzazione di Fannie Mae e Fannie Mac, il fallimento di centinaia di banche e, the last but not the least, il non proprio inevitabile fallimento di Lehman Brothers, ma anche la trasformazione in banche ordinarie delle Big Four, Big Five quando Lehman era ancora in vita, la alquanto forzata acquisizione di Merrill Lynch da parte di una molto riluttante e di per sé pencolante Bank of America. Lo studio di queste vicende, in particolare del caso Lehman, getta un ombra sul ruolo dirompente che sta giocando nella vicenda dell'aumento di capitale e dell'azzeramento delle sofferenze del Monte dei Paschi di Siena proprio la J.P. Morgan Chase di Jamie Dixon, l'unico dei banchieri della prima fase della Tempesta Perfetta riuscito a non annegare negli alti, a volte altissimi, marosi della stessa.

A quanto si sa, Deutsche Bank rifiuta di pagare questi 14 miliardi di dollari, 12,5 miliardi di euro al cambio attuale, e inizia così una trattativa tra i suoi agguerriti legali americani e il Governo statunitense, trattative che porteranno probabilmente ad una cifra inferiore, ma pesa ancora la richiesta fatta ad un giudice federale di nominare una personalità indipendente incaricata di valutare cosa è nascosto nei capaci forzieri delle sue due enormi divisioni di Corporate & Investment Banking, con il piccolo corollario della stranezza di avere non una ma ben due CIB! 

giovedì 15 settembre 2016

Padoan e J.P. Morgan dietro l'uscita di Fabrizio Viola da MPS


In un lungo e ben informato articolo, il giornalista de La Stampa Gianluca Paolucci, appositamente inviato in questi giorni in quel di Siena, ha raccontato i retroscena di quello che è stato un vero e proprio licenziamento in tronco  dell'amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena, quel Fabrizio Viola che aveva preso le redini della banca senese letteralmente stremata dalla sciagurata acquisizione di Banca Antonveneta costata oltre nove miliardi di euro e che aveva portato in dote un pacco di miliardi di crediti già o poco dopo andati a male, una banca senese piena di scandali, dai derivati Santorini e Alexandria alla banda del 5 per cento guidata dall'allora capo della divisione finanza per non parlare della mai chiarite circostanze della tragica morte  del direttore centrale addetto alla comunicazione, David Rossi e che aveva proprio quest'anno riportato la banca all'utile e affrontato con estrema energia il nodo dei derivati citati sopra e ,messi in piedi per coprire il buco bilancio derivante da quelle scelte dell'allora presidente Mussari e del direttore generale Vigni, scelte per le quali i due insieme ad altri sono sotto processo.

Quello che emerge dal resoconto di Paolucci è che a determinare l'uscita di Viola è stata in buona sostanza una telefonata ultimativa del ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, nella quale quest'ultimo, forte anche della sua posizione di primo azionista di MPS con il 4 per cento delle azioni, senza preamboli o giri di parole, gli comunicava, a nome suo e del presidente del Consiglio, un caldo suggerimento a farsi da parte, in quanto gli investitori istituzionali per partecipare all'aumento di capitale di MPS avrebbero preteso un cambio al vertice esecutivo della banca, una richiesta che, a metà del guado di un aumento di capitale molto impegnativo e della cessione di sofferenze lorde per oltre 27 miliardi al Fondo Atlante, lasciava chiaramente capire, come è poi stato dimostrato dai fatti, che era già stata individuata una persona che di quel gradimento avrebbe invece goduto e che non avrebbe avuto difficoltà ad ottenere un colloquio con la vigilanza della Banca Centrale Europea, cosa avvenuta per il designato Morelli a tempo di record tale la preoccupazione della Nouy che andasse tutto a carte quarantotto, ma che aveva un vantaggio sugli eventuali, pochi se non pochissimi, competitors ed era quello non solo di aver lavorato fino al 2010 al Monte dei Paschi come responsabile della direzione finanziaria, quella che si occupa tra l'altro del controllo di gestione  e della redazione del bilancio, uscendone sbattendo la porta, ma, e forse soprattutto, di aver lavorato in  precedenza in J.P. Morgan Chase, mentre, dopo l'uscita da MPS, aveva assunto l'incarico di amministratore delegato di Bank of America Merrill Lynch in Italia. Il clima di accerchiamento è poi dimostrato dal fatto che poco dopo riceve una gelida telefonata del presidente di MPS, Tononi, un ex Goldman Sachs se di Goldman si può mai essere ex, che gli chiede, anche lui senza particolari giri di parole, di farsi da parte nel più breve tempo possibile.

E già, perché J.P. Morgan Chase in questa storia dell'aumento di capitale da cinque miliardi di euro chiesti al mercato da MPS ha un ruolo fondamentale e una visione molto diversa da quella di Fabrizio Viola e da quella di UBS, l'advisor della banca senese dal 2012, quindi dall'inizio dell'era Viola in quel di Siena, una visione molto diversa e che prevede, ad esempio, l'eliminazione del diritto di opzione in favore degli attuali azionisti, quindi il loro azzeramento, in più, come riporta Paolucci, chiede ma non ottiene che le commissioni per essa previste siano slegate dal risultato.

Nonostante sia stata battuta su tutta la linea, la potente banca globale con sede negli Stati Uniti sgomita a tal punto da indurre all'uscita nel luglio scorso della pur potente UBS e quindi procede praticamente da sola nel sondaggio delle entità finanziarie che potrebbero partecipare all'aumento, informando subito il Governo italiano che non ha riscontrato di fatto interesse e suggerendo che uno dei motivi potrebbe risiedere nella rigidità della posizione di Fabrizio Viola che non avrebbe accettato i suggerimenti della banca americana, un qualcosa che probabilmente ha spaventato Piercarlo Padoan e Matteo Renzi e li ha spinti ad accettare l'ulteriore suggerimento riguardante il possibile successore di Viola a Rocca Salimbeni, complice forse anche la recente visita in Italia del numero uno di J.P. Morgan Chase, Jamie Dixon, uno dei pochi banchieri a stelle e strisce sopravvissuti agli alti marosi della Tempesta Perfetta!

Ieri Marco Morelli è stato formalmente cooptato nel consiglio di amministrazione della banca di Rocca Salimbeni e, nominato amministratore delegato e direttore generale, mentre, dopo l'assolutamente irrituale colloquio svoltosi a Francoforte nei giorni scorsi, è in attesa del benestare formale della vigilanza a sorpresa, ma, al contempo, con un vero e proprio colpo di scena, sono arrivate le dimissioni irrevocabili del presidente Tononi che dovrebbe far posto a qualcuno maggiormente gradito dal Governo e da J.P. Morgan Chase.

Fabrizio Viola, nel frattempo, ha reso noto che resterà a disposizione fino al 15 ottobre per garantire un passaggio delle consegne sostanziale e non formale, mentre è stato reso noto che la buonuscita sarà di tre milioni di euro, una delle più basse ricevute da un ad di banche italiane di grandi dimensioni.

mercoledì 14 settembre 2016

Rifacciamo il punto sulla Tempesta Perfetta


Tante cose sono successe da quando, nel febbraio di questo anno di disgrazia 2016, ho iniziato a parlare della terza ondata della tempesta perfetta, quella che fa seguito al disastro della finanza più o meno strutturata iniziata il 4 agosto del 2007 ( ma della quale si erano avvertiti sinistri scricchiolii nei mesi precedenti e che nel giugno del 2006 avevano indotto il più famoso banchiere del pianeta, Henry "Hank" Paulson di Goldman Sachs a lasciare un lavoro da 100 milioni di dollari l'anno per diventare il ministro del Tesoro degli Stati Uniti d'America con una mission ben precisa che era quella di salvare l'industria finanziaria da interventi troppo drastici che, in effetti non ci sono poi stati), una fase che ha visto una vera e propria ecatombe di banche a finanziarie negli USA e nel resto del mondo e che ha visto il 4 agosto 2007 un blocco completo del mercato dell'EURIBOR, un mercato che ancor oggi è sostanzialmente fermo ed è sostanzialmente sostituito dalla attività della Banca Centrale Europea e una fase che vide lo scoppio quasi contemporaneo della bolla immobiliare, di quella dell'azionario e di quella del petrolio.

E' letteralmente impossibile quantificare i costi di questa prima fase della Tempesta Perfetta, perché mai si era vista , almeno in tempo di pace, una simile distruzione di ricchezza che nel solo settore immobiliare è pari a trilioni di miliardi di dollari, certo in molti casi solo sulla carta, ma con effetti molto concreti su milioni di famiglie americane e che poi ha contagiato anche l'Europa, mentre sono certe le svariate migliaia di miliardi spese dai governi di tutto il mondo per impedire fallimenti a catena della banche, per nazionalizzare Fannie Mae e Fannie Mac, almeno una banca britannica, per non parlare degli accolli di banche tecnicamente fallite imposti a banche in buona salute e per sottacere delle perdite degli azionisti che, nei soli Stati Uniti, hanno visto passare l'indice Dow Jones da valori superiori a 16 mila dollari a livelli anche inferiori ai 10 mila.

C'è una particolarità nella prima ondata della tempesta perfetta ed è data dal fatto che sia il mercato azionario a stelle e strisce che il prezzo del petrolio continuarono a crescere, e di molto, per molti mesi dopo l'inizio della più grave finanziaria dal secondo dopoguerra, e ,mentre dell'azionario ho detto, quella della corsa del prezzo del petrolio fino a 147 dollari al barile e successivo sprofondamento a 40 dollari è una storia che richiederebbe una trattazione a parte sulla capacità di quelle che un tempo erano chiamate le Big Five, le cinque ex Investment Banks statunitensi, poi falcidiate proprio dalla tempesta perfetta, di fare il bello e il cattivo tempo non solo sul mercato del petrolio e delle altre materie prime energetiche, ma un po' su tutto quello che viene trattato nei mercati regolamentati in tutto l'orbe terraqueo. 

Poi fu la volta della seconda fase, iniziata quattro anni più tardi e che è consentita sostanzialmente nello scoppio della bolla dell'obbligazionario, con particolare riferimento ai titoli rappresentativi del debito sovrano, una crisi che ha mietuto vittime al di là e al di qua dell'Oceano Atlantico, risparmiando i titoli di paesi come la Cina che saranno protagonisti della fase successiva della Tempesta Perfetta qualche anno più tardi, anche in questo caso le perdite, per chi non è riuscito a mantenere i titoli fino alla scadenza, sono state ingentissime, basti pensare al caso italiano che ha visto lo spread del BTP decennale nei confronti del Bund passare in quattro mesi da 100 a 575 punti base.

A proposito della terza fase della Tempesta perfetta, so benissimo che quando ho iniziato a parlarne le cose sembravano andare benissimo, ma delle bolle che allora avevo individuato e che erano rappresentate dall'azionario, con particolare riferimento alle banche e con focus articolare su quelle italiane, sul prezzo del petrolio e sulla Cina, almeno due, nonostante movimenti convulsi dei trader legati a Goldman Sachs e alla vasta flotta che vede Goldman come la sua stella polare, sono scoppiate e cioè le banche e  il prezzo del petrolio e sinistri scricchiolii si avvertono nell'azionario a stelle e strisce e nell'immobiliare di quel grande paese, mentre per quanto riguarda la bolla creditizia cinese io, insieme a non pochi analisti, sono placidamente seduto sulla riva del fiume!




martedì 13 settembre 2016

Ora Goldman Sachs scommette sul referendum italiano?


Non sono rimasto molto sorpreso quando ho letto su un sito che rilancia articoli di altre testate la notizia che Goldman Sachs e J.P. Morgan Chase hanno commissionato una serie di sondaggi e di analisi sulle possibilità che nel referendum italiano sulla riforma costituzionale, un passaggio elettorale che si terrà in una data ancora imprecisata ma compresa tra il 15 novembre e il 5 dicembre di questo anno di disgrazia 2016, ricevendone un responso che dice che le probabilità di un successo del no sarebbero pari al 65 per cento, una percentuale che il sito italiano traduce nella possibilità che la percentuale dei no sia pari al 65 per cento, mentre lo studio si limita a dire che la vittoria dei favorevoli alla bocciatura della riforma Boschi sarà vincente, a partire dal 50 più uno per cento sino ad una percentuale non meglio definita, con il 65 per cento di probabilità.

Per chi ha avuto la pazienza di leggere Ma cosa è davvero Goldman Sachs? sul Diario della crisi finanziaria, il fatto che l'ex Investment Bank statunitense e la rivale, si fa per dire, banca che ha ereditato il marchio del defunto John Pierpoint Morgan non stupisce affatto che le due abbiano deciso di commissionare uno studio per valutare in anticipo le possibilità di vittoria dei due agguerriti schieramenti che si contrappongono in Italia nella verifica referendaria della riforma costituzionale, anche perché è a tutti evidente che un'eventuale bocciatura della riforma costituzionale porterebbe dritti dritti alle dimissioni di Matteo Renzi con conseguenze difficilmente quantificabili sulle quotazioni di borsa e sulla stabilità politica del nostro Paese.

Goldman, in effetti è una banca che deve gran parte dei propri introiti alle scommesse che fa quotidianamente sugli indici azionari, le materie prime energetiche, i titoli di Stato di quasi tutti i paesi del pianeta e, the last but not the least, sulle materie prime alimentari, per non parlare poi delle scommesse sulle scommesse via derivati più o meno strutturati e fa tutte queste scommesse avendo il vantaggio sui maggiori concorrenti derivante dal fatto che assume o stipula contratti di consulenza con una parte considerevole dei potenti della terra quando questi ultimi hanno lasciano il proprio incarico pubblico, e nel fare questo è assolutamente bipartisan, reclutando quindi gli esponenti più importanti del governo e dell'opposizione dei vari paesi.

Ovviamente, le due grandi banche globali non tengono per sé queste informazioni ma le girano ai loro maggiori clienti, tramite newsletters, incontri diretti individuali o per piccoli gruppi e comunque questi dati e queste notizie pervengono direttamente o indirettamente anche alle altre banche più o meno globali, banche che guardano a Goldman Sachs come alla nave ammiraglia della flotta della finanza più o meno strutturata come è accaduto prima e dopo dell'avvio della tempesta perfetta, seguendola nelle sue evoluzioni sui mercati quasi fosse la loro stella polare.

Detto questo, vorrei entrare un po' più nel merito delle rilevazioni e dello studio conseguente perché ho una certa memoria di altre tornate elettorali, ad esempio le elezioni europee del 2014, date nei sondaggi come un ravvicinatissimo testa a testa tra il partito democratico e il movimento cinque stelle e conclusesi, come ognuno di noi ricorda, con un'affermazione netta del partito di Renzi che ha distanziato il movimento di Beppe Grillo con un sonoro 41 per cento a 21, un risultato che portò i cinque stelle addirittura al di sotto delle politiche del 2013, un ricordo che è importante in quanto i cinque stelle non sono solo il maggior partito dello schieramento che si oppone alla riforma costituzionale, ma anche quello che più si è speso questa estate in una campagna elettorale altrimenti alquanto sonnolenta.

Prevedo che, almeno per ora, né Goldman né altre banche globali azzarderanno scommesse  mettendosi a vendere i nostri titoli di Stato o le blue chips del nostro mercato azionario, o almeno non lo faranno in misura incrementale rispetto a quanto fanno da anni, anche perché i loro sondaggi e i nostri che vedono un piccolo vantaggio dei no sui si segnalano al contempo un numero tale di indecisi che ogni previsione, allo stato dei fatti, risulta francamente molto, ma molto azzardata!

lunedì 12 settembre 2016

Perché Viola ha dovuto lasciare il Monte dei Paschi?


La tempistica dell'uscita di Fabrizio Viola dal Monte dei Paschi di Siena è davvero molto, ma molto strana, per il semplice motivo che la banca senese è nel bel mezzo di una maxi operazione di aumento di capitale e in piena trattativa con il Fondo Atlante per una operazione di pulizia del bilancio da 9,2 miliardi di euro di sofferenze che corrispondono a qualcosa di più di 27 miliardi di euro di sofferenze lorde, un'operazione che nel giro di pochi mesi dovrebbe azzerare le sofferenze della terza banca italiana che resterebbe "solo" con venti miliardi di euro di crediti deteriorati, nei quali ritroviamo le partite incagliate, i ritardi nei rientri oltre un certo tempo del ritardo stesso e via discorrendo.

E' come cambiare il pilota di un'auto da corsa mentre sta andando a 250 chilometri all'ora o sostituire un chirurgo nella fase più delicata di un'operazione a cuore aperto, comunque un qualcosa che non ho mai visto accadere nel sistema bancario italiano, un sistema che seguo da oltre 35 anni, ma non mi risultano fattispecie analoghe neppure in altri paesi confrontabili con il nostro e allora credo proprio necessario fare un passo indietro e tornare al momento in cui dagli uffici della vigilanza della Banca Centrale Europea è partita la lettera che intimava al Monte dei Paschi di Siena di azzerare, entro il 2018, le sofferenze nette in essere, una richiesta tassativa della Nouy che implicava oneri per la banca nell'ordine di tre miliardi di euro circa e che avrebbe quindi richiesto un aumento di capitale almeno pari a quella cifra.

La risposta di Viola a questa richiesta della vigilanza europea ha lasciato tutti di stucco, in quanto non solo non ha approfittato dell'arco temporale offertogli dalle due arcigne signore alla guida dell'organismo con sede a Francoforte e che permetteva di spalmare la cessione delle sofferenze dal 2016 al 2018 e ha annunciato la cessione pressoché istantanea delle sofferenze ad un Fondo Atlante che faticava a reperire le somme necessarie, ma annunciando al contempo un aumento di capitale non di tre bensì di cinque miliardi di euro, coinvolgendo nella azzardata richiesta Mediobanca e J.P. Morgan Chase.

Nel corso dell'estate, la banca d'affari milanese e il colosso creditizio statunitense hanno messo al lavoro uno stuolo di professionisti alle loro dipendenze che hanno contattato centinaia di entità finanziarie raccogliendo risposte più o meno evasive e ben poche adesioni, in quanto il mercato era in attesa di capire dove avrebbe portato l'azzardo dei vertici della banca senese, altrettanto è accaduto alla Cassa Depositi e Prestiti che ha cercato di convincere gli emiri del Qatar a impegnare una parte del loro fondo sovrano nell'operazione; tutte difficoltà che i soggetti impegnati nell'operazione hanno rappresentato sia ai vertici del Monte dei Paschi che al ministro dell'Economia, nonché, probabilmente, allo stesso presidente del consiglio.

L'amministratore delegato di MPS cerca allora di correre ai ripari e parla della possibilità di ridurre l'aumento di capitale a tre miliardi, offrendo ai soggetti istituzionali che detengono obbligazioni subordinate della banca di convertirle, su base volontaria, in azioni della stessa, ma non prendendo in considerazione la possibilità di rateizzare la cessione degli oltre nove miliardi di euro di sofferenze in due o tre tranche, opzione che avrebbe consentito di spalmare nell'arco di tempo considerato anche la richiesta al mercato per quanto riguarda l'aumento di capitale.

A questo punto, sia il Governo che i presidenti di MPS e CDP, Tononi e Costamagna, peraltro accomunati dalla comune esperienza in Goldman Sachs, si rendono conto che, nonostante i rischi che questo comporta, è necessario dare un segnale forte di discontinuità al mercato sostituendo l'amministratore delegato e facendo slittare di qualche mese l'aumento di capitale che così non si incrocia più con la delicata scadenza del referendum e, così, dopo un burrascoso colloquio tra Tononi e Viola, si giunge al comunicato in cui si parla dell'uscita di Fabrizio Viola.

D'altra parte, la prospettiva era quella di un fallimento dell'operazione di aumento di capitale che apriva a due scenari: l'intervento statale o l'apertura della procedura di risoluzione della banca più antica d'Italia con annesso bail in.