Pur essendo stata costituita nel giugno del 2014, la Vigilanza presso la Banca Centrale Europea inizia a "mordere" le banche italiane sotto il suo controllo (sono quindici, da poco ridotte a quattordici con la fusione Banco Popolare-Banca Popolare di Milano in Banco BPM e tra breve a tredici con la fusione tra Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, entrambe nelle mani del Fondo Atlante, nella Banca delle Venezie) solo nel 2016 quando avvengono gli avvenimenti più importanti che riguardano Unicredit, il Monte dei Paschi di Siena, Banca Carige, la Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, il Banco Popolare, la Banca Popolare di Milano e UBI Banca.
Come è agevole vedere, qualcosa di più della metà del campione di banche italiane sorvegliato direttamente dalla Trimurti della Vigilanza sulle banche dell'area dell'euro è stato investito da ispezioni a volte singole, a volte doppie e da un vero e proprio profluvio di missive dal tono più o meno ultimativo, esemplare quella indirizzata direttamente al ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, dove, a proposito dell'aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena oramai non garantito più dal mercato ma dallo Stato, con cinque righe cinque si comunica al destinatario che l'ammontare dell'aumento di capitale non è più quello previsto sino a quel momento e pari a cinque miliardi di euro, ma bensì di 8,8 miliardi di euro dei quali 6,6 a carico delle casse statali (due miliardi dei quali destinati a farsi carico del cambio alla pari delle obbligazioni subordinate in mano ai privati in azioni MPS).
Come è andata con le due banche venete che ora verranno fuse in una con carneficina di posti di lavoro e di dipendenze è cosa nota, così come è noto che non è bastato lo sforzo solidaristico del sistema bancario che dato vita al Fondo Atlante per risanarle a fondo e per creare una sola banca più sana ed efficiente ed è stato necessario ricorrere alle previsioni del decreto salva banca in corso di approvazione definitiva in Parlamento e che dispone di una dotazione complessiva da venti miliardi di euro.
Ma il caso esemplare è quello di Unicredit costretto dalle reiterate pressioni della Nouy e dei suoi più stretti collaboratori, tra i quali spicca l'italiano Ignazio Angeloni, a lanciare, dopo aver realizzato cessioni a raffica e ristrutturazioni in Italia e all'Estero, un aumento di capitale da 13 miliardi di euro che sta lasciando il mercato con il fiato sospeso anche se sembra abbastanza saldo il fittissimo consorzio di garanzia formato da banche italiane e straniere, così come appare alquanto salda la quotazione di borsa dell'azione dell'istituto milanese, un aumento in larga misura volto a fronteggiare le perdite derivanti dalla cessione di diciassette miliardi di sofferenze sui 57 miliardi di euro di Non Performing Loans complessivi.
Uno dei punti di snodo cruciali è rappresentato dal caso di Carige Banca che è sottoposta a una doppia ispezione della Vigilanza BCE, la prima in corso da tempo sui conti (leggi NPL's), la seconda più recente e incentrata sulla governance della banca, un iter che dovrebbe concludersi con un aumento di capitale da 1,6-1,7 miliardi di euro, anche in questo caso volto a fronteggiare le perdite derivanti dalla cessione di 2-3 miliardi di euro di sofferenze e crediti dubbi.
Rinvio il lettore alle quattro puntate del Diario della crisi finanziaria dedicate all'analisi delle principali banche italiane.