E' di ieri la notizia che dieci hedge funds in prevalenza basati negli Stati Uniti d'America hanno ritirato in toto o in larga parte la loro liquidità parcheggiata presso il colosso finanziario tedesco dai piedi d'argilla Deutsche Bank che ha dovuto ovviamente fare fronte agli esborsi, un deflusso di denaro dei quali si ignora l'entità, ma soprattutto un danno d'immagine difficile da gestire e che ha provocato ieri sera a Wall Street una flessione di oltre il 7 per cento dell'ADR che rappresenta il titolo dell'azione della banca di Francoforte, che come accade a tutte le società straniere quotate al New York Stock Exchange non viene quotata direttamente.
Ma la notizia più inquietante è che gli stessi hedge funds hanno ridotto la loro esposizione verso la banca tedesca, una mossa che potrebbe significare, ma le informazioni disponibili non permettono di affermale con certezza, che forse gli stessi o hanno ridotto l'affidamento a suo tempo concesso a Dutsche o si sono ritirati dai contratti derivati stipulati a suo tempo con la banca tedesca guidata da John Cryan e credo, se fosse vera in tutto o in parte questa seconda ipotesi, che per farlo senza incorrere in penalità avranno addotto delle ragioni valide sul piano legale, anche se non sono così addentro alle tecnicità dei contratti derivati da poter essere più preciso su questo punto, mentre quello che è certo è che dieci importanti controparti nell'attività tradizionale o in quella che più desta preoccupazioni nel caso Deutsche hanno salutato e se ne sono andate.
Sempre in serata, Deutsche ha emesso un comunicato chiaramente ispirato dal Chief Executive Officer, nel quale cerca di correre ai ripari spiegando che i suoi grandi clienti nell'attività tradizionale e in quella CIB sono molto sofisticati e fanno scelte come quelle rese note ieri per ragioni le più disparate ma che niente hanno a che fare con lo stato di salute della banca, che, ovviamente, è "molto solido" al di là di tutto quello che sta apparendo sulla stampa di tutto il mondo, delle preoccupazioni di governi e banche centrali, nonché di quelle del Fondo Monetario Internazionale che segnala che l'ammontare di derivati e titoli tossici in dotazione di Deutsche rappresentano un ammontare monstre e pari a quindici volte il PIL della Germania.
Ho più volte detto in numerose puntate del Diario della crisi finanziaria pubblicate negli ultimi mesi su quelli che definivo i guai di Deutsche Bank, ma anche di altre banche globali europee, segnatamente di quelle britanniche e di quelle francesi (un paese questo che, non del tutto a caso, ha "piazzato" Christine Lagarde, ex ministro dell'economia e in precedenza consigliere di amministrazione di uno dei colossi bancari francesi, da due mandati alla guida del Fondo Monetario Internazionale e l'esponente di punta della Banque de France, Daniele Nouy, alla guida del Consiglio di Vigilanza presso la BCE), mentre delle due grandi banche spagnole si sa poco se non che sono state beneficiarie, insieme a tanti altri pezzi importanti del sistema bancario spagnolo, degli aiuti provenienti dal Fondo Salva Stati, che l'ammontare del nozionale dei derivati di Deutsche è inquietante, essendo pari a 52 mila miliardi di euro, ma che a bocce ferme il "rischio" sia intorno ai 20 miliardi di euro, parlo dei derivati e non dei titoli tossici di classe 3 dei quali non è noto l'ammontare, una cifra cioè elevata ma gestibile per una banca che ha un attivo di bilancio pari o superiore ai mille miliardi di euro.
Ma avvertivo al contempo che c'era una condizione perché le cose andassero in quello che sarebbe il più roseo dei modi e che questa consisteva nel fatto che per questa massa di derivati, che credo francamente non abbia pari in nessuna parte del nostro pianeta, non insorgesse quello che viene definito rischio di controparte, un rischio che non si verifica soltanto quando una controparte di un contratto derivato va in default, ma anche, e forse soprattutto, se la stessa controparte, sulla base di un forte deterioramento del profilo reputazione o delle prospettive economiche della banca con cui a contratto un impegno, decide di ritirarsi forte del fatto che l'eventuale causa verrebbe discussa a Londra o a New York due paesi tradizionalmente non teneri nei confronti di una banca che, facendone una più di Carlo in Francia, ha creato imbarazzo e rischiato seriamente di far accendere un faro sull'intero settore creditizio e finanziario da parte delle autorità poste al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico.
L'altro aspetto della vicenda che ha riguardato i dieci hedge funds, e farei notare il piccolo particolare che gli stessi si sono mossi contemporaneamente quasi ne avessero discusso tra di loro, quello del ritiro della liquidità depositata presso la banca di Francoforte rappresenta anche esso un forte campanello di allarme e che in me ha suscitato il ricordo relativo alla prima fase della Tempesta Perfetta e che è quello dell'assalto agli sportelli di Northern Rock nella civilissima Gran Bretagna, anche se è ovvio che non siamo ancora a questo e sono certo che le autorità federali tedesche, l'Unione europea e la vigilanza bancaria presso la BCE troveranno una soluzione, che se includerà anche l'FMI farà sì che a occupare le giornate della Troika sarà la Germania e non più solo la sventurata Grecia!