venerdì 30 novembre 2012

Le mani di Draghi sulle banche europee


Le dichiarazioni di Mario Draghi sulla vigilanza bancaria unificata che va applicata indistintamente a tutte le banche hanno gettato lo sconcerto nel mondo bancario tedesco che sperava fossero esenti le banche pubbliche, fortemente difese dal governo che sperava fossero soggette ai controlli da parte della Banca Centrale Europea solo le banche di maggiori dimensioni. 

Non sono solo le banche tedesche a temere la nuova vigilanza, ma le altre, italiane comprese, tacciono e sono in attesa di capire cosa cambierà rispetto al controllo finora esercitato dalle banche centrali nazionali.

I tempi per l'entrata a regime della nuova vigilanza sono, tuttavia, alquanto lunghi e si prevede che non sarà operativa prima della fine del prossimo anno. Ma Draghi ha anche invitato i paesi membri dell'euro a altre forme di condivisione nella politica economica e in quella sociale, con chiaro riferimento alla necessità di riforma del mercato del lavoro, in particolare in Italia e Francia.

I mercati hanno vissuto ieri una giornata di festa sulle prospettive di un accordo negli Stati Uniti d'America sulla questione del debito, anche se in realtà le posizioni di democratici e repubblicani sono ancora distanti.

giovedì 29 novembre 2012

A che punto è la tempesta perfetta?


Ho già pubblicato in passato una puntata con questo titolo, ma credo sia il caso di tornare sull'argomento visto che vi è stata una sorta di mutazione genetica della crisi finanziaria da sommovimento legato al problema dei titoli della finanza strutturata a crisi del debito dei paesi dell'area euro e, come vedevamo ieri, del paese che è stato l'epicentro della tempesta perfetta, gli Stati Uniti d'America.

Al di là dei problemi di finanza pubblica che sono ora al centro dell'attenzione al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico, la questione è capire che fine ha fatto la montagna di titoli della finanza strutturata posti al di sopra e al di sotto della linea di bilancio delle banche più o meno globali, al netto dell'enorme mole di titoli acquisiti a titolo definitivo dalla Federal Reserve e a titolo temporaneo dalla Banca Centrale Europea.

Se si considera che la massa iniziale di questi titoli veniva stimata intorno ai 75 mila miliardi di dollari, che molti sono stati messi a perdita nelle enormi svalutazioni fatte negli anni scorsi e che una parte sono passati nelle mani della Fed, non è azzardato pensare che siano rimaste in pancia alle banche titoli per qualche decina di migliaia di miliardi di dollari.

Va tuttavia detto che vi è stata una gestione attiva di questi titoli consistente, in buona misura, nello spacchettamento dei titoli più complessi, giungendo a titoli più gestibili e che potrebbero prevedere qualche forma di realizzo, ma tutto questo è un'altra storia che potrà essere disvelata solo in un prossimo futuro.

mercoledì 28 novembre 2012

La crisi del debito a stelle e strisce


Come soleva ripetere Giulio Andreotti, ad ogni giorno basta la sua pena, e questo è particolarmente vero per questa epoca sommersa dagli alti marosi della tempesta perfetta.

Non si è riusciti a tirare un sospiro di sollievo per lo scampato rischio di default della Grecia, che già tutte le preoccupazioni sono andate alla crisi del debito in corso al di là dell'Atlantico, dove si corre seriamente il rischio, ove falliscano i difficili negoziati tra democratici e repubblicani, di andare a tagli pesanti alla spesa pubblica.

Non vi è paese, come gli Stati Uniti d'America, dove gli effetti della crisi finanziaria si sono scaricati sul bilancio pubblico, appesantendo defict e debito, per non contare le megagalattiche iniezioni di liquidità decise da Bernspan con acquisti a fermo di titoli, spesso titoli spazzatura, a differenza della BCE che ha operato delle pronti contro termine seppure della durata di tre anni.

Con il rapporto debito/prodotto interno lordo giunto in breve tempo al 100 per cento, meno di Grecia e Italia ma molto di più dei paesi europei virtuosi, e il deficit fuori controllo, gli Stati Uniti affrontano una crisi fiscale senza precedenti e gli europei, stanchi di essere bacchettati da Oltreoceano, stanno alla finestra a vedere i risultati dello scontro in corso a Washington.




martedì 27 novembre 2012

La Grecia è salva?

 
                                                  

La riunione di ieri dei ministri delle finanze dei diciassette paesi membri dell’eurozona, il cosiddetto eurogruppo, è stata, sotto il profilo della durata, la fotocopia di quella della settimana scorsa e anche ieri i ministri sono rimasti inchiodati alle loro sedie per dodici ore consecutive, ma ben diverso è stato il risultato, in quanto alla fine si è trovato un risultato che ha accontentato tutti, compresa la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, che insieme all’Unione europea formano la Troika.

L’accordo prevede una maggiore gradualità nel piano di rientro del rapporto debito/prodotto interno lordo che dovrà passare dall’attuale 170 per cento al 124 per cento nel 2020 e al 110 per cento nel 2022, concessioni sui prestiti bilaterali, rinvio delle restituzioni e moratoria sugli interessi, restituzione dei profitti fatti sui bond greci dalle banche centrali dei paesi dell’eurogruppo, insomma un mix di misure che sgrava la Grecia dell’equivalente di 40 miliardi di euro.

Dulcis in fundo, viene autorizzato il pagamento in tre tranche di quei 44 miliardi di euro di aiuti, di cui 31 a dicembre, che però, insieme al resto dell’accordo, verranno ratificati solo il 13 dicembre prossimo in una nuova riunione dell’eurogruppo, data scelta per dare modo a diversi parlamenti nazionali, tra i quali quello tedesco, di ratificare l’accordo raggiunto.

Insomma, è un po’ come un gioco dell’oca nel quale si va avanti, ma poi si torna indietro, anche se ritengo che vi è in tutti la consapevolezza della posta in palio e che il 13 dicembre ci sarà il disco verde per la salvezza della Grecia e dell’euro.

Da oggi riprende la pubblicazione del diario della crisi finanziaria e ringrazio i lettori che hanno avuto la pazienza di aspettarmi dopo la lunga pausa che mi sono preso per riflettere sulla crisi del debito in Europa, una crisi che sarà ancora lunga e con forti conseguenze sull'economia reale, i redditi e l'occupazione.