Questa puntata del Diario della crisi finanziaria non sarà facilmente comprensibile per il lettore che non abbia avuto l'occasione o la pazienza di leggere "Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi", un testo che raccoglie le dieci puntate di questo blog dedicate a comprendere le radici, sia quelle palesi che quelle un po' più oscure, che hanno consentito ad un Tycoon sull'orlo della bancarotta e che aveva operato sin dalle origini della sua avventura imprenditoriale basandosi sul principio che quello che la Legge non vieta espressamente è consentito di portare in modo alquanto fulmineo l'assalto al cielo della politica, di vincere a man bassa le elezioni politiche del 1994 e giungere a Palazzo Chigi per poi essere disarcionato pochi mesi ad opera di uno dei suoi più importanti alleati e, dopo un Governo "tecnico" durato ben due anni.
In poco più di un decennio, Berlusconi due volte perse (e due volte vinse contro altri e più deboli leader del Centrosinistra) contro il suo più acerrimo nemico, Romano Prodi, espressione, oltre che dei partiti che lo sostenevano, anche di quel Carlo De Benedetti da subito sponsor dell'Ulivo e poi tessera numero uno del Partito Democratico, due Governi quelli del professore emiliano che hanno visto l'entrata sin da subito nell'euro nel maggio del 1998, ma la gestione dell'avvio concreto del quale fu gestita in modo tragico dall'accoppiata Berlusconi-Tremonti ; mi fermo qui per non svelare al lettore il finale di quella che, insieme alle puntate sulle Investment Banks statunitensi travolte dalla prima ondata della Tempesta Perfetta (o sulle trecento banche USA fallite), è stata tra le più visitate di questo blog con diverse migliaia di visualizzazioni dall'Italia e dall'estero.
Le analisi contenute nel più lungo articolo da me postato e che riproporrò a breve a beneficio dei lettori più recenti, tuttavia, risalgono ai mesi a cavallo tra il 2008 e il 2009 e, nel periodo successivo, è accaduto che il Governo Berlusconi sia stato disarcionato dall'Europa con modalità che spingono a dire anche a me che l'ho avversato in tutti i modi possibili e immaginabili che si è trattato di una vera manovra orchestrata dall'allora inquilino del Quirinale e i poteri forti, che più forti non si può, operanti nelle principali capitali europee e con sponde altrettanto forti a Bruxelles, determinando la necessità del secondo governo tecnico in meno di un ventennio, quello guidato dal Professore e fresco Senatore a vita Mario Monti.
Una sconfitta questa, anche e soprattutto per non essere maturata in un agone elettorale dove avrebbe, a mio modesto avviso, comunque perso e male, che è bruciata molto ad un Silvio Berlusconi che oramai tra condanne, esposizione al pubblico ludibrio, perdita del seggio al Senato e astinenza forzata dal Potere è ridotto alla triste parodia di se stesso, ma una soluzione che non è piaciuta neanche a Carlo De Benedetti che ha visto scemare, almeno temporaneamente, le chance dello schieramento da lui appoggiato, ad opera di forze antagoniste a lui come all'ex cavaliere di Arcore, spingendolo non del tutto casualmente a chiedere e facilmente ottenere quella cittadinanza svizzera che lo mette (?) al riparo dagli esiti giudiziari, per ora molto funesti, del suo non sempre adamantino passato di imprenditore, come dimostrato dal suo coinvolgimento nell'inchiesta Mani Pulite, in cui verrà salvato da un Antonio di Pietro fulminato dal suo atteggiamento collaborativo, e, sempre per Olivetti, dalle vicende che lo hanno portato alla recente e pesantissima condanna (di qualche anno più elevata di quella subita da Berlusconi) in tandem con il fratello Franco, che, a differenza di lui, ha mantenuto orgogliosamente l'originario cognome Debenedetti.
A questo punto, le cose si complicano e il rinvio alla puntata citata all'inizio diviene quasi una conditio sine qua non per la piena comprensione del presente testo unitamente ad un libercolo del giornalista Marco Dolcetta dall'inquietante titolo "Potere occulto", un testo da prendere con molle lunghe almeno due metri in quanto scritto da un massone dichiaratamente legato a Licio Gelli, padre padrone della Loggia Propaganda 2 (mi sono sempre chiesto quale è stata la P1, mentre i magistrati sono molto attivi nelle loro indagini sulla cosiddetta P3 del faccendiere Flavio Carboni), ma anche un libro che consente di comprendere i contorni di almeno uno dei tre schieramenti che si contendono il potere in Italia e che è in questo caso è legato al remoto ruolo della Mafia nello sbarco degli alleati in Sicilia e nella successiva costituzione della Loggia Colosseum che si schiera, senza se e senza ma, con gli Stati Uniti d'America in funzione fortemente anticomunista e a prescindere dalla diverse amministrazioni che si succedono a Washington, una loggia molto potente che, in politica, appoggia la destra e nella Democrazia Cristiana sostenne, più o meno ricambiata, il sette volte Presidente del Consiglio e un numero incalcolabile di volte ministro e infine Senatore a vita, con suo scorno e nonostante le centinaia di migliaia di preferenze ricevute (700 mila nell'ultima tornata elettorale in cui fu possibile esprimerle e che aveva il famoso studio nello stesso edificio di San Lorenzo in Lucina nel quale aveva sede il gruppo giornalistico di Milano Finanza cui collaboravo agli inizi degli anni '90), sto parlando del Divo Giulio, al secolo Giulio Andreotti.
Si tratta evidentemente di uno schieramento molto potente e confluito quasi in blocco nella Loggia segreta di Licio Gelli, ma anche particolarmente inviso alla totalità delle cancellerie europee che ne conoscevano l'esistenza molto prima della scoperta delle liste di parte, solo una parte, dei suoi aderenti a Castiglion Fibocchi per merito di un molto ardimentoso ufficiale della Guardia di Finanza del quale ignoro la successiva sorte.
Un raggruppamento di potere che crea qualche evidente imbarazzo anche negli Stati Uniti che nel tempo ne prendono drasticamente le distanze, preferendo l'alternativa laica e azionista (sia nel senso dello storico Partito d'Azione i cui aderenti sono presenti pressoché in blocco in questo schieramento, sia in quello più prosaico che vede gli esponenti di questo raggruppamento fortissimi nella vita finanziaria e industriale del nostro Paese) e qui la figura centrale era, ovviamente, quella del Presidente praticamente a vita di Mediobanca, Enrico Cuccia, un uomo che, genero del potentissimo Alberto Beneduce, uomo forte dell'economia fascista e fondatore di quell'IRI di cui sarà presidente, decenni dopo, l'economista democristiano Romano Prodi, di cui Enrico aveva sposato la figlia Idea Rivoluzionaria, un uomo schivo ma che non nascondeva il suo potere quasi assoluto di interdizione e di iniziativa nell'ambito del salotto buono dell'economia italiana, un personaggio di potere che venne sconfitto, clamorosamente ma, purtroppo per l'imprenditore ravvennate molto, ma molto, temporaneamente, da Raul Gardini che gli sfilò dalle mani la "sua" Montedison, una vittoria di Pirro nel corso di una guerra che Raul pagherà con la vita!
A questo schieramento fa inizialmente capo anche Carlo De Benedetti, in unione con le ricche famiglie ebraiche che vedevano nell'altra e vera creatura di Cuccia, le Assicurazioni Generali, la cassaforte in cui mettere al sicuro i loro "risparmi", ma Carlo è ambizioso, molto ambizioso, e si lancia nella battaglia per il controllo della multinazionale Suez, una disfida più nota come battaglia del Belgio, una battaglia molto aspra e nella quale è sicuro di avere il sostegno di Cuccia e compagni che, tuttavia, lo lasciano solo nel torrido tendone di Bruxelles in cui va e perde la conta dei voti per il controllo di una società che è troppo importante per gli ambienti che contano in Europa per lasciarla a un italiano neanche appoggiato sino in fondo dai suoi "amici".
Quella amara esperienza lascerà un segno indelebile ed è a partire proprio da questa che Carlo decide di dare vita ad un suo schieramento, appoggiandosi ad una sinistra democristiana che con Ciriaco De Mita è in cerca di identità e alla sinistra tout court, accettando e imponendo al suo punto di riferimento in politica Romano Prodi la presenza come alleato anche di Fausto Bertinotti, una scelta che, insieme ad altri fattori, sarà esiziale per la permanenza di Prodi a Palazzo Chigi, finita ben due volte in anticipo, ma è la prima quella che getterà le basi per il voto dei 101 grandi elettori del PD che gli sbarra, e anche in modo ignominioso, la strada per il Quirinale e getta le basi per il secondo settennato di Giorgio Napolitano, che accetta ma pretende in cambio dai partiti che si facciano finalmente le riforme e in particolare la riforma costituzionale, che è poi quella sulla quale saremo chiamati ad esprimerci il 4 dicembre prossimo venturo e alla quale è legato a doppio filo il destino politico di Matteo Renzi e del suo Governo.
E già, perché l'ascesa politica di Matteo Renzi alla segreteria del Partito Democratico, carica lasciata con amarezza da un Pierluigi Bersani che aveva "non vinto" quelle elezioni politiche generali del febbraio 2013 che tutti i pronostici e i sondaggi (quelli stessi che non furono in grado di prevedere l'incredibile affermazione del Movimento 5 Stelle che per poco non strappò al PD pure il premio di maggioranza e che furono altrettanto fallaci in occasione delle elezioni europee del maggio 2014) e subito dopo, con la sbrigativa liquidazione del suo predecessore Enrico Letta, da allora esule volontario a Parigi, a Palazzo Chigi non è una storia che non ha padrini e anche molto forti e li ha avuti sia in Italia che all'estero, appoggi che hanno molto a che fare con il fatto che con le varie Leopolde che si sono susseguite nel tempo il nostro prometteva davvero di essere l'unico in grado di innovare la stagnante politica, per non parlare dell'economia e della finanza del nostro molto malridotto Paese.
L'espugnazione di Palazzo Chigi di Matteo Renzi, quindi, ha avuto, almeno inizialmente, il sostegno dello schieramento oramai orfano di Cuccia e di quello che fa capo a De Benedetti, ma Renzi, al pari di Prodi e, in tempi più lontani e in ambito molto diverso, al pari di Gardini, ha pensato di poter fare da solo e, nel momento più delicato della sua avventura politica, si è visto pubblicamente e clamorosamente togliere l'appoggio dell'Ingegnere e del potente gruppo editoriale saldamente guidato da lui medesimo e da Eugenio Scalfari, con un repentino cambio di posizioni che vi invito a controllare in qualsivoglia emeroteca, una giravolta che non è costata molto a Carlo, visto il suo passato e il suo presente di imprenditore duro e spietato (come, del resto, la maggior parte dei suoi colleghi), mentre ha messo in ambasce la sua anima gentile che è rappresentata dall'amletico fondatore de La Repubblica che non sa proprio come giustificare editoriali redatti a così breve distanza di tempo e così talmente diversi tra di loro e che esprimono un voto diverso, prima favorevole poi contrario, a quel banco di prova che è indubitabilmente il referendum costituzionale, prima approvata seppur con qualche distinguo che ad un intellettuale di razza non si negano mai e poi un rifiuto categorico e pretestuoso come lo è quella sinistra del PD guidata, si fa per dire, da Bersani e Speranza, mentre il suo antagonista alle primarie, Gianni Cuperlo, che nel fondo è un vero socialista e un gentiluomo di altri tempi, sulla proposta di Renzi di modificare l'Italicum è andato a vedere, accettando di far parte della commissione appena insediata dal segretario del suo partito.
Fino a qui ho ragionato sugli effetti derivanti dal contrasto e dalle temporanee alleanze tra i tre gruppi occulti di potere che si contendono la possibilità di influire pesantemente sulle sorti politiche ed economiche del nostro Paese in questo anno di disgrazia 2016, ma il problema vero, si potrebbe dire la causa, di tutto questo improvviso disamoramento nei confronti di Renzi sta nella diversa strategia che il nostro Premier e l'asso franco-tedesco vogliono seguire rispetto a quello shock rappresentato dalla Brexit, un avvenimento ancora non compreso in tutte le sue implicazioni presenti e future e che Renzi vuole affrontare con una profonda riforma di quel che resta dell'Unione europea, mentre gli altri due e i tanti Stati membri che riconoscono la loro leadership sono per un approccio che prevede solo piccoli passi e la non messa in discussione né dei parametri stabiliti nel secolo scorso a Maastricht, il che, dopo le armi di distruzione di massa della Troika in Grecia e in altri Paesi UE richiedenti aiuto, è francamente inaccettabile e, dopo una riunione dei Paesi dell'area mediterranea ben poco gradita da Berlino e alla quale la Francia era presente forse solo per sapere di che si parlava, l'Europa che conta ha deciso il pollice verso nei confronti di Matteo.
Il problema è che nessuno si è preso la briga di avvertire di questo il povero Commissario europeo Moscovici che, in margine ai lavori di FMI e Banca Mondiale aveva detto che lo sforamento del deficit/PIL italiano per il 2017 al 2,4 per cento non costituiva un problema a causa di migranti, terremoto e volontà di non favorire il populismo ben radicata nella UE, per poi, dopo aver ricevuto il documento ufficiale con il deficit ridotto al 2,3 per cento è improvvisamente e un po' improvvidamente ripartito dall'impegno italiano a non superare l'1,8 per cento, e questo mentre Spagna, la sua Francia e il Portogallo sforano da tempo la soglia del 3 per cento e lo fanno davvero alla grande; e allora tutti hanno capito che non si parlava più di numeri ma di qualcosa di molto più importante e che lo scenario di un nuovo 2011 non era più così remoto come si pensava in settembre nello scenario idilliaco dell'isola di Ventotene!
E qui c'è la vera sorpresa che è rappresentata dall'atteggiamento mieloso verso il Governo e le ragioni del sì dell'impero televisivo ancora saldamente di proprietà dell'ottuagenario Silvio, un qualcosa che, anche al netto dei problemi di salute del medesimo, non è spiegabile con un una botta di matto di "Fidel" Confalonieri, suo eterno amico e suo sodale sin dai tempi del lavoro sulle navi da crociera, una persona che, a differenza di tanti, sa bene quale è il suo posto, così come è difficile che sia una decisione presa in autonomia dai due figli di primo letto saldamente inseriti nel gruppo che certo non vogliono che si insceni una commedia come quella che ha visto il defunto Caprotti patron di Esselunga estromettere i suoi figli maggiori dalla gestione dell'azienda.
No, in tutto questo vi è qualcosa di più e solo le prossime settimane ci diranno, sempre con segnali criptici come è ovvio, se lo schieramento che faceva capo a Cuccia ed ora fa riferimento alla coppia emergente (si fa per dire vista l'età) Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti, la mente di Intesa-San Paolo il primo e il presidente della Fondazione Cariplo e persona molto influente nella Cassa Depositi e Prestiti il secondo, con lo schieramento che fa capo a un Silvio Berlusconi che oramai sembra sempre di più voler vendere al meglio la sua "roba" e godersi quel che resta della vecchiaia e la sua non piccola famiglia e che potrebbe veder bene un saldamento dei due schieramenti, forse con taglio delle estreme.
Di tutti i personaggi citati, Silvio, grazie alle sue vicissitudini, è quello che ha più compreso sulla sua pelle le implicazioni della Legge mistica di causa ed effetto e potrebbe essere spinto a fare una buona azione non tanto in favore di Renzi che ha sempre dichiarato di vedere come quel possibile figlio a lui simile che non ha mai avuto, quanto di quell'Italia che ha dichiarato di amare sopra ogni cosa nel suo primo messaggio a reti unificate nel gennaio del 1994.
Una riprova del nuovo atteggiamento dei poteri occulti europei lo si avrà pochi giorni prima del 4 dicembre quando la Commissione europea dovrà dare la pagella alla Legge di Bilancio italiana e, se non vi sarà lo stesso rinvio che è stato concesso nei mesi scorsi a Francia e Portogallo in occasione delle rispettive elezioni, allora vorrà proprio dire che Francia, Germania e i loro alleati hanno "già votato". Anche se, ove fosse fondata l'indiscrezione giornalistica che vuole già pronta la lettera di richiamo della UE sulla appena presentata legge di Bilancio, una lettera che, se spedita, prevede che il Governo italiano modifichi entro sette giorni la manovra nel senso indicato dal Commissario competente, mi farebbe dire che lo scontro è già cominciato e, in questo deplorevole caso, sarei curioso di sapere se la missiva verrà spedita prima o dopo il Consiglio europeo il cui avvio è previsto per domani!