In grande difficoltà nella quotidiana battaglia per assicurare livelli sufficienti di liquidità sul mercato interbancario, da qualche giorno le banche centrali, in primis la Banca Centrale Europea, sta cercando di fare la voce grossa contro gli speculatori impegnati a scommettere, one way, sul calo del dollaro, che, in effetti, ha ripreso ieri vigore contro l'euro e lo yen, portandosi, d'un solo balzo, nella parte bassa dell'area 1,47 e 110.
Passati i tempi in cui a Cesare Geronzi, allora in Banca d'Italia, bastava alzare il telefono per avvertire, attraverso Florio Fiorni, allora ultra potente direttore finanziario dell'Eni, la cosiddetta banda dei sette di smetterla di speculare sui cambi perché avevano francamente esagerato (chi non ricorda, anche se il direttore finanziario dell'Eni a quel tempo si chiamava Gabrielli, il venerdì nero della lira?), i templari di Francoforte si sono resi conto di avere le armi un po' spuntate e, passate poche ore, sia l'euro che lo yen si sono riportati sul loro ormai abituale trend rialzista, anche perché ai carry traders che stanno perdendo miliardi di dollari poco importa dei desiderata della BCE, della Fed o della Bank of Japan.
Con i tassi sul mercato interbancario che, almeno in Gran Bretagna e nell'area dell'euro, avanzano inesorabilmente verso i massimi toccati dopo il 9 agosto scorso e le banche destinatarie dei generosi finanziamenti a tre mesi della BCE che continuano a tenersi stretti gli stessi, nel timore, forse non infondato, di prestare i soldi a qualche banca che rischia di fare il botto, non restava agli intoccabili ed ultra autonomi membri del board dell'istituto di Francoforte che fare un po' di ammuina sul marcato dei cambi, incuranti della antica saggezza dei traders che sanno bene che l'unico errore che va accuratamente evitato è quello di mettersi contro il trend, soprattutto ove le ragioni a supporto del trend sono più che fondate e l'onda viene ormai cavalcata da fondi governativi con munizioni, purtroppo, denominate in dollari che sembrano scottare tra le dita degli arabi, dei cinesi e dei giapponesi che, tutti assieme, vantano attività per migliaia e migliaia di miliardi di dollari.
In Italia, in luogo del trend be your best friend e del suo contrario, si usa un'espressione un pò scurrile che non riporto ma che tutti conoscono, anche se va ricordato che personaggio del calibro di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, in linea con i loro sventurati omologhi britannici, ignorarono del tutto questo assunto e, svenatisi o meglio svenatici per decine di migliaia di miliardi di lire, dovettero poi alzare le braccia e accettare una pesante svalutazione della lira, e della sterlina inglese, e l'uscita ignominiosa dallo SME, un'uscita che ha avuto il suo bel peso nel successivo rientro nel sistema valutario europeo, anche a causa di quel 1995 che vide la lira a quota 1.250 contro il marco tedesco durante il governo di Lamberto Dini, e che ci portò a pietire un cambio della lira con in nascituro euro ad un livello di 1936, 27 che corrispondeva ad un cambio di 990 lire contro il marco che si collocava del 23 per cento circa al di sotto del cambio di lungo periodo tra la nostra valuta e quella tedesca.
Purtroppo la storia è tutto fuorché maestra di vita e sia i templari della BCE che i loro colleghi delle altre tre principali banche centrali sono solo all'inizio di un percorso accidentato e costoso che li porterà, e purtroppo ci porterà, ad altri bagni di sangue, apparentemente ignari che un euro a 1,70 dollari ed un dollaro nell'area compresa tra i 90 e i 95 yen sono perfettamente adeguati ai fondamentali delle rispettive aree economiche e che, in realtà, anche a questi livelli, la valuta statunitense continuerebbe a presentare margini tutt'altro che disprezzabili.
Vorrei, per inciso, ricordare al Professor Marcello de Cecco, che nei suoi articoli sul supplemento finanziario di Repubblica sembra avere cambiato e parecchio idea, quanto sosteneva (in un'affollatissimo dibattito svoltosi presso la Facoltà di Economia dell'Università di Napoli) oltre trenta anni orsono sul dollaro e su una politica valutaria statunitense che definiva la fabbrica del formaggio verde e che aveva consentito l'acquisizione di non disprezzabili attività economiche europee ed asiatiche a prezzi di assoluto saldo.