venerdì 23 ottobre 2009

Lo zar Feinberg cala la scure sui compensi!


Dopo aver lavorato a lungo in silenzio, Ken Feinberg, l’esponente del Tesoro statunitense incaricato di porre dei limiti ai compensi dei top manager delle entità che hanno ricevuto fondi pubblici dal TARP, ha iniziato a rendere note le sue decisioni che, almeno al momento, riguardano 175 posizioni di vertice di Bank of America, Citigroup, AIG, General Motors, Chrysler e le sue divisioni finanziarie delle due case automobilistiche.

La maggior parte delle posizioni vedrà ridotto della metà il compenso, che generalmente non supererà i 500 mila dollari, mentre è previsto un compenso di 10 milioni di dollari per un alto dirigente di Bank of America, ma Feinberg ha fatto sapere che ora esaminerà altre 525 posizioni, anche al fine di evitare che i compensi complessivi di persone che sono collocate a livelli più bassi siano di gran lunga più elevate di quelle dei loro superiori.

Feinberg ha anche previsto che nessuno dei dirigenti di prima linea di AIG riceverà più di 200 mila dollari, una cifra certamente dignitosa, ma che negli anni passati veniva considerata al più la paga di un trader di secondo o terzo livello.

Anche se a molti queste decisioni potranno apparire esclusivamente finalizzate a calmare l’opinione pubblica dopo gli scandali dei bonus corrisposti da AIG e Merrill Lynch mentre le rispettive aziende erano state oggetto di pesantissimi interventi di salvataggio, credo invece che si tratti di un intervento necessario per evitare quella folle rincorsa tra risultati drogati e compensi che è stata una delle cause della tempesta perfetta.

D’altra parte, si fa presto a parlare di azzardo morale quando non vengono disinnescate le cause che spingono a comportamenti rischiosi per la banca o la compagnia di assicurazione, ma estremamente gratificanti per i beneficiari dei ricchi premi e cotillions che, nel più classico dei giochi win win, verranno corrisposti in ogni caso, un problema che è stato posto all’attenzione del recente vertice del G20 di Pittsburgh da un documento che prevede di collegare le retribuzioni variabili dei top manager a risultati di medio periodo.

Qualcuno si è forse stupito delle dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia sul rischio di dare per conclusa anticipatamente la crisi finanziaria, così come la sua reprimenda sul moral hazard, ma è indubbio che, nella sua posizione di presidente del Financial Stability Board, Draghi si sia un po’ stufato di vedere che, nemmeno un anno dopo che il sistema finanziario globale si è trovato sull’orlo del collasso, sia ripreso l’andazzo di prima, con le banche che non concedono prestiti ma si dilettano a scommettere su tutto quello che viene trattato sui mercati regolamentati, dalle commodities alle valute, dalle azioni alle obbligazioni e chi più ne ha ne metta.

Come ha ben rilevato il Fondo Monetario Internazionale, le migliorate performance delle banche e delle altre entità protagoniste del mercato finanziario statunitense e di quello globale rischiano di mandare in cavalleria i propositi riformatori più volte espressi dai leaders politici e dai banchieri centrali, un’eventualità che Draghi non sembra affatto guardare con favore, anche perché, avendo operato ai vertici della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, sa perfettamente che nessuno è in grado di controllare esattamente quello che fanno gli uomini e le donne impegnati nelle sale operative.