mercoledì 20 luglio 2016

La Corte europea di giustizia assolve il bail in


Era molto atteso il pronunciamento della Corte europea di giustizia sul ricorso della Slovenia contro le nuove norme sulla risoluzione delle banche in crisi e soprattutto sul bail in, quel salvataggio dall'interno che, entro il limite dell'otto per cento del totale dell'attivo della banca in questione, chiedeva sacrifici in primis agli azionisti e agli obbligazionisti subordinati, ma anche ai depositanti per quanto eccede la soglia garantita dei 100 mila euro, misure che, secondo i critici, fanno sì che si inneschi un meccanismo perverso che porta alla fuga di questi soggetti ai primi segnali di possibile default, anche perché per non tutti è valso quello che è accaduto agli azionisti della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca entrati in possesso  e a prezzi molto elevati di azioni non quotate e che potevano essere riacquistate solo dalla banca emittente cosa che, dopo una breve fase iniziale non è stato più possibile per nessuno, con il risultato che, dopo le fallite quotazioni in borsa, quelle stesse azioni sono arrivate a valere 10 centesimi!

Cosa ha dunque deciso la Corte? Ha stabilito che il bail in si inserisce perfettamente nella normativa europea vigente, non violandone alcun principio, il che in un'Unione europea che è di fatto un libero mercato più un'unione monetaria con parti ancora disomogenee di unione bancaria non stupisce, mentre è l'altra parte della sentenza che ha fatto allargare i cuori dei banchieri dell'area dell'euro ed è quella dove si dice che in circostanza eccezionali, il che dopo la Brexit è quasi lapalissiano, i governi possono non applicare il meccanismo anche se, alla fine, l'ultima parola tocca alla Commissione europea, ovviamente sentita la BCE.

Ma quale è la banca italiana che più ha subito le conseguenze della pronuncia della Corte? In primis il Monte dei maschi di Siena che sa che anche se riuscirà a vendere i 10 miliardi di circa di sofferenze richiesti dalla missiva della Nouy rimarrà con il cerino acceso in mano di dover fare un aumento di capitale da almeno due o tre miliardi di euro, il che, con l'attuale situazione di mercato, appare quanto meno improbabile senza un aiuto da parte dello Stato, ma anche Unicredit che ha portato a caso, regnante il nuovo Chief Executive Officer, un miliardo di euro da cessioni ma deve colmare il gap tra il Tier 1 attuale e quello richiesto da Francoforte per almeno cinque o sei miliardi di euro e, anche in questo caso, senza aiuti da parte dello Stato si tratta di una vera e propria missione impossibile.

In una precedente puntata del Diario della crisi finanziaria, ho detto che lo stock di depositi bancari che eccedono la soglia dei 100 mila euro ammonta alla stratosferica cifra di 425 miliardi di euro, una somma che francamente stupisce visto quello che accade ai piani alti della graduatoria delle banche italiane, ma la verità è che nessun banchiere, né in terra di Siena, né in terra milanese ha alcuna voglia di rendere noti i deflussi di capitale provenienti dai depositi eccedenti quella soglia critica, deflussi che non devono però essere irrilevanti e che, almeno in prospettiva potrebbero essere in grado di determinare conseguenze non di poco conto, come testimonia peraltro la risposta dei mercati alla decisione della Corte!


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