martedì 11 marzo 2008

L'inesorabile legge di causa ed effetto

Non è certo necessario essere buddisti o appartenenti ad una delle tante tradizioni religiose che credono fermamente nell’inesorabile legge di causa ed effetto, a sua volta spiegazione ultima della reincarnazione, per comprendere che alla sventura personale in cui è fatalmente incorso l’ex sceriffo di New York, Eliot Spitzer, difficilmente sono estranee le gesta del nostro che tanti guai hanno provocato ai facoltosi abitanti del mondo della finanza, più o meno strutturata, molti dei quali hanno vissuto l’onta del carcere, mentre altri se la sono cavata pagando multe spesso milionarie o multimilionarie in sonanti, almeno allora, dollari statunitensi.

I più maliziosi tra i cronisti economici non embedded, peraltro, giurano sul loro onore che ieri, nei grattacieli che ospitano le lussuose sedi delle banche USA e le rappresentanze di quelle globali basate altrove, sono stati improvvisati festini per celebrare l’avvenimento e che i tanti televisori, normalmente sintonizzati sui canali economici, trasmettevano, in diretta o in registrata, la conferenza stampa dello sventurato Governatore dello Stato di New York, che, a fianco della avvenente consorte, si produceva in un mea culpa per quanto accaduto nella stanza 471 dell’hotel Mayflower, quando lui, definito il cliente n° 9 del Emperors Club Vip, avrebbe consumato sesso a pagamento con una hostess del citato club.

L’euforia dei traders e dealers e dei loro capi non è poi del tutto ingiustificata, ove si ricordi l’operazione compita in orario di lavoro e da un nugolo di agenti dell’FBI in pieno assetto antiterrorismo che fecero, sotto gli occhi compiacenti delle telecamere in spalla ad operatori emebedded alle truppe in azione, una retata in grande stile tra operatori e capetti tutti impegnati nel mercato del forex exchange e ritenuti colpevoli di operazioni irregolari finalizzati alla frode.

Un brivido deve essere ieri corso per la schiena del giovane epigono di Spitzer, Andrew Cuomo, appartenente alla nota casata di politici italoamericani di New York, tra i quali il più noto è certamente l’ex Governatore dello Stato della Grande Mela, Mario Cuomo, un giovane procuratore distrettuale dalle molte ambizioni e che è attualmente impegnato in impegnative inchieste contro il diffuso malaffare albergante all’ombra del Wall, ma certamente non ancora all’altezza del suo famoso e considerato incorruttibile, almeno sotto il profilo economico, predecessore.

Titolando ieri la puntata con l’inquietante “S’ode un cupo tintinnare di manette (2)”, sequel di una precedente puntata sempre riferita ai presunti delitti commessi, quella volta tra Italia e la Repubblica di San Marino, dai white collars, ero, per ovvie ragioni di fuso orario, del tutto all’oscuro di questa vera e propria nemesi storica, e mi auguro francamente che le disavventure erotiche del precedente sceriffo non intralcino in alcun modo le gesta del suo successore, così come quella di una nutrita schiera di investigatori che stanno doverosamente facendo le pulci a quel verminaio che è spesso ospitato in lussuosissimi uffici dove, tra opere d’arte vere o fasulle, donne ed uomini strapagati ed ancor meglio vestiti non dormono la notte per inventare nuove diavolerie per, come amava dire il mai troppo compianto John Maynard Keynes, gabbare gli stolti e, aggiungo io, gli sprovveduti singoli investitori o gli smaliziati, ma evidentemente non troppo, investitori istituzionali.

Mentre i potenti gestori del blasonato private equity Carlyle, stanno letteralmente cercando di metterci una pezza ai seri problemi di liquidità del controllato Carlyle Capital, alle prese con il mancato rimborso di 400 milioni di dollari, una somma che un tempo sarebbe stata un’inezia per un fondo che si permette di utilizzare l’immagine dell’ex presidente e padre dell’attuale presidente degli Stati Uniti d’America, entrambi denominati George Bush, ma distinti dall’iniziale del secondo nome, ed a cui bastava schioccare le dita per ottenere tutto il credito reputato necessario, mentre oggi corre il serio rischio di vedere messi in liquidazione assetts per 16 miliardi di dollari, rendendo reale e contemporaneo il finale di un fortunato film come è stato, nel titolo della versione italiana, “Una poltrona per due”.

Confesso di avere perso il conto del numero di sedute in rosso, più o meno intenso, vissute dai tre principali indici statunitensi dall’inizio di questo 2008, ma fosse vero che anno bisesto anno funesto?, ma, citando a memoria, credo che le stesse abbiano ampiamente sovrastato quelle conclusesi in, spesso esile, territorio positivo; così, sarei tentato di liquidare l’ennesima performance negativa di ieri sera, se non fosse per le vere e proprie debacle dei titoli finanziari, con particolare riferimento a quelli delle due principali compagnie monoline che, tra una stoccata e l’altra con le sventurate agenzie di rating che “pretendono” di fare il loro lavoro, hanno tonfato ieri per valori percentuali oscillanti tra il 10 per cento di MBI e oltre il 20 per cento di una Ambac che è ormai sulle montagne russe, essendo reduce da un rialzo che si poneva oltre il 20 per cento nella seduta di venerdì.

Preoccupati per la tenuta del proprio cuore, molti tra gli operatori non guardano più l’indice che misura la volatilità sui mercati azionari statunitensi, ma ricordo che qualche seduta fa si era decisamente portato su livelli non dissimili da quelli registrati nelle sedute che hanno preceduto lo scoppio della iperbolla dell’altrettanto ipertecnologico Nasdaq, che, non voglio infierire, scese in tempi relativamente brevi dall’empireo dei 5.200 punti a poco più di 1.500 punti e che ci ha messo lunghi anni prima di riportarsi in vista di quei 3 mila punti che ormai sono soltanto un vago ricordo, visto che si testa con sempre maggiore convinzione, e verso il basso, l’importante soglia psicologica dei 2 mila punti.

Mentre si sono perse le tracce dei numerosi Governatori che ieri erano previsti transitare nella poco ridente località svizzera denominata Basilea, la scena mediatica è stata occupata da un desolato Jean Claude Trichet che sembrava lamentarsi di come sta andando l’universo mondo, con quei livelli indesiderati dei cambi dell’euro e quei record continui del petrolio, dell’oro e degli altri metalli preziosi (sarà preoccupato per il conto che gli presenterà il gioielliere), mentre di questioni marginali come reddito, investimenti ed occupazione sembra proprio che al germanizzato presidente della Banca Centrale Europea non impipi proprio poco più di nulla, anche perché, in quella cappella neotemplare che ospita in quel di Francoforte il board della BCE, i tre termini appena citati sono considerati poco meno di una bestemmia che suscita immediate reazioni stizzite degli astanti, pari solo a quello che accade quando viene citato il nome del decisionista ed odiatissimo presidente francese, Nicolas Sarkozy.