lunedì 23 maggio 2016

I guai nostri e i guai degli altri: Unicredit e Deutsche Bank


In questa analisi della terza ondata della tempesta perfetta che ha preso le sue mosse a cavallo tra il 2015 e questo anno di disgrazia 2016, sto prestando particolare attenzione al sistema bancario italiano ed europeo, anche se non sottovaluto quanto sta accadendo oltreoceano con l'esplosione delle sofferenze nel credito al consumo e la ripresa delle attività delle fabbriche prodotto delle banche globali a stelle e strisce con nuove e pericolose invenzioni escogitate dagli apprendisti stregoni che le popolano, e questa attenzione al sistema bancario è data da un lato ai problemi nostrani in materia di Non Performing Loans, crediti deteriorati per i quali la vigilanza della BCE ci chiede l'avvio di un'opera di pulizia, mentre per quanto riguarda le banche globali europee, Deutsche Bank in testa, continuano a permanere rischi reputazionali e ancor di più rischi legati alla montagna di derivati e titoli tossici che le stese hanno in pancia.

Si è tenuta giovedì scorso l'assemblea di bilancio della Deutsche Bank davanti a 5 mila azionisti molto nervosi, non solo e non tanto perché per il secondo anno consecutivo rimarranno all'asciutto e il gruppo  ha registrato una perdita di 6,8 miliardi di euro, ma anche perché la banca è sommersa da 7.800 azioni giudiziarie con contenziosi che vanno da cifre esigue  ad altre che prevedono sanzioni per miliardi di euro, molte delle quali già pagate al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico.

Ha un bel dire il bravissimo Chief Executive Officer di Deutsche, John Cryan (rimasto solo al comando dopo l'uscita di scena del co CEO, Jurgen Fitschen), che "noi siamo meglio della nostra reputazione", perché è universalmente noto che per una banca, al di là dei dati reddituali patrimoniali, la reputazione è tutto e non è stato visto bene l'allontanamento di Gerog Thoma, l'uomo incaricato di presiedere una commissione incaricata di fare piena luce sugli scandali e del gruppo e che è stato costretto alle dimissioni per le critiche ricevute da membri del consiglio di sorveglianza che lo accusavano di eccessivo zelo. Resta e pesa la richiesta della vigilanza BCE di portare i requisiti patrimoniali dall'attuale 10,7 per cento all'alquanto  proibitivo 12,25.

Partono da qua le analogia con il caso Unicredit, anche esso alle prese con una richiesta di forte rafforzamento patrimoniale da parte della vigilanza europea, ma alle prese anche con problemi di governance interna che si intrecciano a quella richiesta, vista la contrarietà del CEO Federico Ghizzoni a procedere ad aumenti di capitale, aumento che, secondo le stime degli analisti, dovrebbero essere nell'ordine dei 5-8 miliardi di euro e che diluirebbero in modo significativo la quota delle tre fondazioni un tempo padrone indiscusse del colosso creditizio milanese.

L'eventuale uscita di Ghizzoni apre poi un capitolo a parte di questa storia, perché è prassi consolidata nel sistema bancario italiano che un cambio al vertice venga annunciato solo quando è stato deciso e, particolare non secondario, quando è pronta una soluzione di ricambio!

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