lunedì 9 maggio 2016

Ma il sistema bancario italiano è davvero solido?


Dal settembre del 2007 ho tenuto il diario di bordo del sistema finanziario all over the world sommerso dagli alti mari della tempesta perfetta nelle sue tre fasi principali, della quali la terza, quella che stiamo vivendo a partire dai mesi a cavallo del capodanno di questo anno di disgrazia 2016, risulta a mio avviso la più pericolosa e spero di averlo spiegato nelle puntate con le quali ho dato il via alla ripresa del Diario della crisi finanziaria dopo tre anni di voluto silenzio, e, in tutte e tre queste perigliose congiunture, ho sentito sempre un mantra dalle autorità monetarie e da quelle politiche italiane e questo mantra recitava che il sistema italiano era solido e per questo non era stato necessario ricorrere alle massicce ricapitalizzazioni facilitate dalla mano pubblica che in altri paesi europei avevano salvato i rispettivi sistemi creditizi e finanziari dal collasso; ma quanto c'è di vero in questo ritornello che non diventa più reale solo perché è stato ripetuto fino alla noia da governi di destra e di centro sinistra che si sono succeduti alla guida del nostro Paese?

Se la vigilanza sul sistema creditizio italiano fosse ancora attribuita alla Banca d'Italia, sottoscriverei questa apodittica affermazione, ma sin dal 2014 le cose in materia sono radicalmente cambiate e la vigilanza sulle banche dell'eurozona è stata attribuita all'ex responsabile della vigilanza della Banca di Francia, Daniéle Nouy, che si avvale come braccio operativo di Frau Koening e che, dopo una fase relativamente breve di studio, ha fatto chiaramente chiarito con gli atti e con le interviste che l'aria era radicalmente cambiata e che le banche dovevano rapidamente attenersi alle prescrizioni delle draft con cui si intima, pena ricorso alla procedura di risoluzione, di riportarsi su parametri europei per quanto riguarda l'adeguatezza patrimoniale e la massa dei Non Performing Loans espressi in percentuale dei crediti sani che, per le banche italiane, è attualmente intorno a valori doppi se non tripli  di quelli della media dell'eurozona.

Ovviamente, una pulizia, anche non radicale, dei bilanci delle banche italiane che, seppure a fatica, hanno superato gli stress test della Banca Centrale Europea nella passata edizione (mentre per la prossima si attende a breve il risultato) comporterà, nella maggior parte dei casi, di procedere ad aumenti di capitale necessari per restare nell'ambito dei parametri patrimoniali imposti e che, in alcuni casi, possono essere aumentati fino a valori intorno al 20 per cento, come si vocifera per un importante gruppo creditizio nostrano.

Ma quello che preoccupa davvero è lo stato delle casse  del Fondo interbancario dei depositi, ossia l'organismo che deve garantire i depositi fino alla ormai arcinota soglia dei 100 mila euro, che pochi giorni fa, per bocca del suo direttore, ha dichiarato che i 300 milioni in cassa sono tutti impegnati per le obbligazioni subordinate delle quattro banche medie tecnicamente fallite e che le disponibilità precedenti sono state interamente utilizzate per garantire, appunto, i depositi di quelle stesse banche nella soglia garantita dei 100 mila euro. Ricordo sommessamente che, secondo la Banca d'Italia, i depositi fino a 100 mila euro a livello di sistema sfiorano i 500 miliardi di euro e non oso immaginare cosa accadrebbe se ad andare in procedura di risoluzione fossero una o più banche di grandi o grandissime dimensioni!

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