mercoledì 30 gennaio 2008

Un chevalier bleu, blanc et rouge pour Socgen?


Come era largamente prevedibile, lo smacco, prima ancora della perdita, subita da Société Générale, trovatasi in un imprecisato giorno di gennaio dell’anno di grazia 2008 alle prese con contratti derivati non autorizzati per un valore complessivo di 50 miliardi di euro, poco meno della sua capitalizzazione di borsa a quello stesso momento, avrebbe portato al più rilevante financial bailout in terra europea, nell’ambito peraltro della più grave, prolungata e profonda crisi finanziaria mai verificatasi dal secondo dopoguerra, una crisi che ha visto la luce il 9 agosto del 2007 proprio a partire da una crisi di reciproca sfiducia tra le banche operanti nel mercato interbancario dell’area dell’euro e che fu temporaneamente disinnescata dall’intervento di un oscuro dirigente italiano della BCE che ebbe appena il tempo di informare della sua decisione i membri del board, tutti in quel momento impegnati a godersi le meritate vacanze estive.

Il presidente della repubblica francese, il più che decisionista Nicolas Sarkozy, la ministra dell’economia, Christine Lagarde, ed altri autorevoli membri dell’esecutivo francese hanno giocato, e stanno giocando in queste ore, un ruolo tutt’altro che secondario nel sostanziale esautoramento dell’ancora per poco presidente di Socgen e del suo traballante consiglio di amministrazione, rei ai loro occhi di alto tradimento per non aver informato tempestivamente il governo, ma solo, e forse con qualche ritardo, la Banca di Francia di quanto stava accadendo, così come un ruolo non secondario gli stessi stanno giocando nel definire quale sarà la soluzione per uscire da una situazione che, ripeto, è più dannosa sul piano dell’immagine di Socgen e della Francia che su quello, pur importante, dei conti aziendali della seconda banca francese.

Non è sfuggita a nessuno la dura presa di posizione ufficiale contro l’eventualità di scalate straniere ed ostili, ma soprattutto l’accento sembrava posto su straniere, volte ad acquisire il controllo, peraltro a prezzi di saldo, di Socgen, così come non è passata inosservata l’indiscrezione del Wall Street Journal, quell’autorevolissimo quotidiano finanziario statunitense che, almeno in questa tempesta perfetta, non ha davvero sbagliato un colpo, sullo studio del dossier da parte di una importante banca francese del dossier relativo alla banca altrettanto francese attualmente coinvolta nella tempesta.

Così come non è un mistero per nessuno che, a poche settimane dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi, sembrava giunto a buon punto il progetto di un merger tra BNP Paribas e Socgen, un’operazione non meglio definita nei contorni operativi e, in particolare, sotto il tutt’altro che secondario profilo delle questioni di governance, ma che, ed anche questo è largamente noto, venne bloccata per l’inopportunità del momento scelto e per le barricate erette da Bouton e compagni che vedevano, a torto o a ragione, la loro banca fare la parte dell’acquisita e si legarono, metaforicamente parlando, alle loro dorate poltrone.

D’altra parte, le ultime dichiarazione del bricconcello Kerviel, che restano sempre le dichiarazioni di un imputato, non agevolano la posizione dei suoi diretti superiori da lui apertamente chiamati in causa, né tanto meno quella del presidente Daniel Bouton e dei consiglieri di amministrazione sospettati di insider trading in base alla denuncia presentata da un centinaio di piccoli azionisti della banca, una denuncia che è uno degli elementi alla base dell’indagine parallela promossa dall’organismo francese deputato alla vigilanza sulla correttezza dei comportamenti di coloro che operano nel mercato azionario del paese transalpino.

Ad accrescere i sospetti sul fatto che sarà proprio questo l’esito finale dell’affaire Socgen, è infine giunto il no comment della potenziale banca acquirente, un commento che quegli smaliziati dei giornalisti economici, anche quelli embedded, hanno il vizio di non prendere mai alla lettera, considerandolo, addirittura, come una sorta di conferma.

Come ho ripetuto più volte in questi mesi, una delle conseguenze principali della tempesta perfetta è data dall’accelerazione di quel processo di concentrazione nel settore bancario che è peraltro in corso da qualche decennio, un processo che sta andando alla grande in terra statunitense, ma che rischia di portare alla nascita di un numero ristretto di campioni nazionali nei paesi dell’area dell’euro, dopo aver fatto passi da gigante negli anni passati in Gran Bretagna.

Se questo è vero in generale, non si può dimenticare che pochi paesi europei, come la Francia, hanno una sorta di fissazione nella creazione di campioni nazionali in tutti i settori strategici, quali la difesa, la ricerca aerospaziale, la grande distribuzione e, in ultimo ma non per ultimo, banche ed assicurazioni, così come è a tutti nota l’idiosincrasia di Sarkozy per quelle locuste dei private equity e per quegli approfittatori di crisi altrui che sono rappresentati dai fondi di investimento governativi arabi ed orientali, ma sarebbe meglio dire dei fondi di investimento facenti capo ai governi stranieri in generale.

D’altra parte, anche negli USA vi è una spasmodica attesa per importanti financial bailout che, dopo le superstiti entità operanti nel sempre più malandato settore del mortgage (i dati recenti sulle vendite delle case nuove ed esistenti, così come quelli sugli espropri sono davvero terrificanti), dovrebbe, il condizionale in questo caso è davvero d’obbligo, riguardare le due principali compagnie di assicurazione monoline, MBIA ed Ambac, anche se non è dato di vedere chi avrà le spalle sufficientemente forti per accollarsi queste due entità dalle prospettive così negative.

Nel frattempo, sulle note dell’orchestra del celebre transatlantico in procinto di affondare dopo aver urtato un iceberg, i mercati azionari worldwide si sono presi una giornata di pausa rispetto alla pulsione ribassista, anche perché è diffusa la convinzione che, dalla riunione di oggi e domani del Fomc della Federal Reserve, spunterà il pusher Bernanke con la solita dose di taglio dei tassi sui Fed Funds, ma le banche puntano anche ad un deciso taglio del tasso ufficiale di sconto, una decisione che, per quanto incomprensibile alla luce del recentissimo taglio di ben 75 punti base deciso in teleconferenza, convincerebbe anche i più scettici tra gli analisti che, in quanto a stare dietro la curva dei tassi, Bernanke e compagni non sono secondi a nessuno, nemmeno al Maestro e predecessore Alan Greenspan.

Nessun commento: