venerdì 23 maggio 2008

Se Wall Street piange, l'Europa non ride


Come ho avuto più volte modo di ribadire in questi nove mesi, non ritengo il progressivo meltdown del settore immobiliare statunitense, con particolare riferimento alla questione dei mutui subprime, una causa della tempesta perfetta, quanto piuttosto una conseguenza del processo venticinquennale di finanziarizzazione spinta dell’economia, un processo profondo e pervasivo che ha reso emettibile e quotabile il risultato di qualsivoglia conseguenza dell’agire umano, dall’acquisto di una casa a quello di un automobile, dall’utilizzo di una carta di credito ad una promessa di pagamento, per non parlare poi di quella sorta di mostri che sono rappresentati dai titoli che mettono insieme pezzi di ognuna di queste forme di debito trasformandoli in una sorta di poltiglia indistinta cui l’agenzia di rating di turno attribuirà la massima valutazione possibile.

Detto questo, non voglio sottovalutare l’ennesimo segnale proveniente da quello che viene considerato l’indice governativo più rappresentativo dell’andamento dei prezzi nel settore immobiliare statunitense, che ha registrato oggi una flessione del 3,1 per cento, la più ampia mai verificatasi negli ultimi 17 anni e che vede una conferma della progressiva polverizzazione dei prezzi delle abitazioni in Stati tutt’altro che secondari quali sono la California e la Florida, tanto per citare quelli più appetiti dai sempre più depressi abitanti delle regioni poste all’Est ed al Centro degli Stati Uniti d’America.

Non si è ancora spenta l’eco del doppio colpo alla residua dose di reputazione dei top manager statunitensi proveniente dal doppio colpo subito ieri da American International Group (AIG), che non si è accontentata di turbare gli operatori con la quasi triplicazione dell’aumento di capitale annunciato contestualmente alla mega perdita registrata nell’orribile primo trimestre di questa anno, ma ha dovuto anche incassare il comunicato con il quale la Securities and Exchange Commission ha reso noto di aver avviato l’inchiesta sull’operato del precedente numero uno della compagnia di assicurazioni.

Come sempre più spesso accade nel corso di questa sempre più lunga crisi finanziaria, i listini azionari statunitensi hanno cercato di riprendere fiato dopo l’ennesimo record del petrolio che, come avevo facilmente previsto ieri, non si è accontentato del raggiungimento della soglia dei 132 dollari al barile, ma ha avuto l’ardire di polverizzarlo in poche ore, crescendo progressivamente sino a chiudere le contrattazioni a 135 dollari al barile e spingendo il prezzo alla pompa ormai ad un passo dalla soglia psicologica dei 4 dollari al barile.

Non nutro davvero molte speranze sulla volontà del capo della SEC, l’ormai mitico Fox, di accendere un faro su quanto sta accadendo, un giorno sì e l’altro pure nel ben poco controllato settore dei derivati sulle materie prime energetiche e sulle derrate alimentari, un faro che dovrebbe fare luce sui comportamenti delle maggiori banche di investimento che, secondo un giudizio che trova un numero sempre maggiore di sostenitori, starebbero, in allegra compagnia con gli hedge funds di ogni ordine e specie e le locuste dei private equità in piena crisi di astinenza non vedendo uno straccio di LBO degno di questo nome apparire all’orizzonte ormai da lunga pezza, cercando di rifarsi almeno in parte delle immani svalutazioni sui titoli della finanza strutturata e delle altrettanto gigantesche perdite che sono costrette a registrare ad ogni trimestre che Dio manda in terra dall’estate del 2007 speculando one way in posizione rialzista ai danni dei sempre più disperati consumatori americani e globali che vedono compromessi in un sol colpo diritti inalienabili come quello all’abitazione, alla mobilità e al cibo ad un prezzo che non sia troppo iniquo.

Qualcuno un giorno dovrà pur fornire una risposta alla stranezza dell’andamento maniacalmente rialzista dell’oro nero in uno scenario che vedeva, sino a pochi mesi orsono, un sostanziale equilibrio tra la domanda e l’offerta, equilibrio rotto solo saltuariamente da eventi geopolitica o guasti a qualche impianto, una situazione che non dovrebbe essere certo peggiorata in presenza del vistoso rallentamento della crescita statunitense e dei sempre più udibili colpi a vuoto dei sino a poco tempo fa ruggenti motori dei paesi asiatici, per non parlare poi della non proprio scoppiettante economia europea che, con la lodevolissima eccezione della Germania, non sembra proprio in una fase di forte espansione.

Se qualcuno nutriva ancora qualche residua speranza sul fatto che fosse rimasto un colpo nella pistola rovente di Bernspan e complici, il duro ed inequivocabile resoconto dell’ultima riunione del Federal Open Market Committee della Fed le ha istantaneamente fatte svanire come neve al sole, anche perché un qualsiasi ritocco verso il basso dei tassi di riferimento statunitensi provocherebbe una richiesta di ricovero coatto dell’emulo di Alan Greenspan e dei suoi colleghi e la promozione sul campo dei due coraggiosi membri dello stesso comitato che ormai da mesi si ostinano a cercare di ricondurre alla ragione Ben mani di forbice.

Non so, intanto, cosa altro stanno aspettando le sempre più screditate agenzie di rating, con la lodevole eccezione della sempre più severa Fitch’s, a degradare brutalmente le due maggiori compagnie monoline, MBIA ed Ambac, prima che, flessione dopo flessione, non si renda necessario un delisting di autorità delle loro rispettive azioni dal listino newyorkese, nel quale la seconda delle due ha già raggiunto il record di liquefazione del rispettabilissimo livello toccato appena un anno fa.

Come si usava dire un tempo, se Sparta piange, Atene non ride e non vi è dubbio che i sempre maggiori guai delle Investment Banks, delle banche commerciali e delle compagnie di assicurazione di oltre oceano vengano udite sulle rive del Tamigi e nelle principali piazze dell’Europa continentale come i lugubri rintocchi di una campana che sta suonando un po’ per tutti, seppur confortati dalla sempre maggiore credibilità della Banca Centrale Europea che continua a mantenere, via intangibilità di tassi di interesse doppi nei confronti di quelli statunitensi, una ancora efficace diga nei confronti delle sempre più pressanti spinte al rialzo dei prezzi sia al dettaglio che all’ingrosso.

Vorrei condividere con i miei pochi ma fedeli lettori l’esperienza vissuta oggi con il primo di una lunga, almeno spero, serie di incontri con le associazioni delle persone della terza età, incontri volti a fornire loro delle semplici istruzioni per l’uso che consentano loro di difendere al meglio i loro sudati risparmi, spesso oggetto delle mire di quanti ritengono sempre di sapere cosa è meglio per loro, colmandoli di spesso non richieste attenzioni che hanno provocato, in un passato non troppo lontano, delle vere e proprie tragedie; devo dire che è stata un’esperienza che mi ha ripagato delle tante fatiche di questi veramente terribili nove mesi.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/

1 commento:

Anonimo ha detto...

Piacerebbe anche a me, mi creda gentile sig. Sarli, conoscere i suoi suggerimenti per salvaguardare i risparmi che, seppur non nella terza etá bensí nella prima, mi son sudato in questi anni!
Le diró di piú: da affezionato lettore spero quotidianamente di trovare un link, oltre al validissimo discorso di qualche settimana fa, che possa offrire qualche piccola scialuppa di salvataggio dai marissimi della tempesta perfetta; non avrei esitazioni nel seguirli.
Ma fa giá molto per me/noi...e per questo le spettano tutti i meriti possibili.