sabato 12 luglio 2008

Fannie Mae e Freddie Mac saranno nazionalizzate in questo week end?


Con il classico un colpo al cerchio ed uno alla botte, abbiamo assistito ieri alla schizofrenia oramai imperante nel mercato finanziario statunitense, costola fondamentale di quel mercato finanziario globale che sembra sempre più risentire dell’approssimarsi della scadenza del primo anniversario dell’avvio della tempesta perfetta, una modalità schizoide che ha visto il secondo fallimento da molto anni di una banca, la IndyMac Corp., le cui passività in termini di depositi sono state passate alla Federal Deposit Insurance Corporation, l’equivalente del Fondo interbancario di garanzia italiano, che garantirà integralmente i depositi sino a 100 mila dollari, mentre per quelli eccedenti è tutto da vedere, così come per i detentori di titoli rappresentativi del debito della banca, con lo spiacevole corollario della ovvia e totale polverizzazione delle azioni ancora in mano a quanti si sono distratti e non se ne sono liberati per tempo.

Al di là dell’ovvia considerazione che quella che è stata messa in atto per IndyMac non è che la procedura prevista quando le richieste dei depositanti di una banca si fanno troppo pressanti e minacciano la sopravvivenza della stessa, credo proprio che la repentina chiusura della banca con sede a Pasadena (California) indurrà i depositanti a verificare l’entità dell’outstanding dei loro depositi (che, non solo negli USA, ma un po’ in tutto il mondo sono garantiti solo fino ad un ammontare che varia da paese a paese, ma che raramente eccede l’equivalente dei 100 mila dollari previsti nel paese a stelle e strisce), i detentori di bond bancari cercare di liberarsene in fretta e furia (e costi quel che costi), ma, e forse soprattutto, gli azionisti liberarsi dei loro pacchetti in quanto nessuno, ma proprio nessuno, è in grado oggi di capire quale sia il vero stato di salute delle varie entità operanti in un mercato finanziario globale caratterizzato da un grado di interrelazioni e scambi di partecipazioni come l’attuale.

Ovviamente, da lunedì la banca assumerà un altro nome e sarà direttamente gestita dal FDIC, ma con le limitazioni in termini di obbligazioni rispetto all’attivo ed al passivo esistenti nei termini sopra ricordati, salvo i diritti previsti per l’iscrizione dei creditori al passivo che lascia qualche speranza solo nel caso che vi sia ancora qualcosa di buono nei 32 miliardi di assett che risultavano dal bilancio trimestrale relativo al 31 marzo di questo orribile anno di grazia 2008, anno bisesto e veramente funesto.

Nella stessa giornata, a fare da evidente contrappasso alle apparentemente regole del mercato, è circolata con forza la notizia che questo week end sarebbe stato estremamente laborioso, in quanto si sarebbe dovuto decidere sulla sorte dei due colossi semipubblici Fannie Mae e Freddie Mac, impegnati direttamente o come prestatori di garanzie in qualcosa come 5.300 miliardi di dollari di mutui residenziali (la metà circa del totale erogato in territorio statunitense), mutui erogati a fronte di 3.200 miliardi di GSE, che solo la superstizione imperante in passato assimilava ai Treasury Bonds, ventilando per gli stessi una garanzia statale che semplicemente non esiste, o meglio, non esiste ancora.

Secondo gli autorevoli analisti del settore finanziario, nel week end in corso si sarebbe dovuto semplicemente decidere che cosa fare per salvare le due mega istituzioni, al fine di evitare che le stesse vengano travolte dal panico dei depositanti e dei creditori che, a vario titolo, si trovano esposti nei loro confronti, mentre, come al solito, nessuno pare prendersi troppa pena per gli azionisti, i quali per non sapere né leggere né scrivere, hanno venduto a rotta di collo sin dall’avvio delle contrattazioni i loro pacchetti, spingendo Fannie Mae a perdere sino al 50 per cento del valore segnato in chiusura della seduta precedente (alla fine la flessione è stata contenuta al 22 per cento) e Freddie Mac a segnare un -52 per cento, ridottosi nell’after hour ad un ben più confortevole -5 per cento, con volumi assolutamente record che hanno toccato, per entrambe le entità, qualcosa come 400 milioni di azioni.

Risulta adesso più chiaro il senso delle parole pronunciate dall’ormai solito duo Bernspan-Paulson davanti alla Commissione bancaria del Congresso USA e, soprattutto, le ragioni che li avevano spinti a chiedere che vengano dati ai regolatori, cioè a loro stessi, maggiori poteri in merito alle procedure volte ad una ordinata liquidazione di banche di investimento o di banche commerciali che vengano a trovarsi sull’orlo del fallimento o siano già tecnicamente fallite, ma era ai due colossi che rapresentano il vero perno del’immenso settore del mortgage statunitense che i due stavano pensando.

Ma perché i due massimi esponenti della politica economica e monetaria federale hanno chiesto ai deputati quello, come ben sapevano, non era nelle possibilità dei medesimi rappresentati del popolo in scadenza concedere? Semplicemente per preparare la strada ad un intervento diretto del presidente Bush che, come è a tutti noto, è plastilina nelle mani dei rappresentanti del vero potere esistente negli Stati Uniti d’America, quel complesso militare, petrolifero, finanziario ed assicurativo che, volta per volta, decide chi è l’uomo più adatto a rappresentarne gli interessi, non importa se credibile politicamente o meno, se nero, giallo o bianco, purché, come ben diceva il non troppo compianto, Deng Xiao Ping, sia, come il metaforico gatto, realmente in grado di acchiappare il topo.

Spero non crediate che gli attoniti ma molto scafati deputati ed i loro ancora più esperti colleghi senatori (sapevate che l’anzianità media di carica dei due rappresentanti per Stato è superiore a quella esistente nella camera alta di tutte le democrazie rappresentative, Camera dei Lord, per ovvii motivi, esclusa?), siano caduti in quella sorta di rappresentazione non degna neppure della peggiore performance della più scadente compagnia d’avanspettacolo, sapendo benissimo che si trattava di un passaggio obbligato in vista di decisioni fatali che sarebbero state prese, come impongono le ferree regole ancora esistenti nel mercato, a stretto di giro di posta, anche al fine di non dare modo a quegli sprovveduti che hanno ancora a che fare con entità coinvolte nel meltdown immobiliare di portare a casa quel poco che resta dei loro soldi.

Non sono assolutamente in grado di sapere quale sarà il coniglio che l’ormai affiatato duo di prestigiatori tirerà fuori in queste 48 ore dal fatidico cappello, ma state certi che sarà molto arduo capire quali saranno le vere ricadute del trucco che gli stessi ed i loro molto esperti collaboratori adopreranno, mentre quello che è certo che a pagare, ala fin fine saranno, come sempre accade in situazioni emergenziali del genere, i contribuenti americani, nel solito modo ineguale.

Non vorrei infierire sul morale dei miei pochi ma affezionati lettori, ricordando che, sempre ieri, le azioni di un buon numero di banche dell’Europa più o meno continentale hanno subito l’onta di variazioni negative delle rispettive azioni che si sono spinte sino al 10 per cento, con pesanti flessioni che hanno colpito le già depresse compagnie di assicurazione sempre operanti nell’area europea, mentre l’euro testava gli 1,60 dollari ed il petrolio schizzava a 147 dollari al barile.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.