giovedì 10 luglio 2008

La legione straniera di Goldman Sachs


L’annuncio della nomina del nuovo amministratore delegato di Wachovia Bank, la quarta banca statunitense ad onta del nome un po’ polacco, fornisce un’indicazione molto eloquente dello stato di disperazione imperante tra le maggiori entità operanti nel mercato finanziario globale a meno di un mese da quel 9 agosto del 2007, il fatidico giorno nel quale ha preso avvio la tempesta perfetta ancora in corso e la cui fine viene ormai spostata sempre più in avanti nel tempo anche da parte di coloro che allora pensavano che non sarebbe durata più di tre, massimo sei mesi, salvo ricredersi in queste settimane di fronte all’evidenza della virulenza di quella che dai più viene definita la terza ondata della più grave crisi finanziaria dal secondo dopoguerra.

L’assunzione al vertice di Wachovia di Robert Steel, sino ad ieri sottosegretario al ministero del Tesoro statunitense, ma che, al pari del ministro Henry Paulson, vanta un brillante cursus honorum nella potente e molto preveggente Goldman Sachs, fornisce, al contempo, l’idea di quanto sia grave la crisi e di come la più importante Investment Bank del mondo, oltre ad essere un luogo dove vengono ideati e messi in atto lucrosi programmi di investimento a livello planetario, sia anche una sorta di scuola di altissimo livello che forma le donne e gli uomini che dovranno poi farsi carico di presiedere banche centrali, banche di investimento e banche più o meno globali, compagnie di assicurazioni, hedge funds, oppure assumere incarichi di rilievo nei governi di paesi più o meno industrializzati.

Ovviamente, in una istituzione discussa ma di grande prestigio, avviene anche il processo inverso, con l’immissione, direttamente ad altissimi livelli, di quanti si sono distinti come civil servant o hanno operato in altri ambiti imprenditoriali, come nel caso del direttore generale del Tesoro, padre di tutte le maggiori privatizzazioni effettuate dal governo italiano negli anni Novanta, il professor Mario Draghi, successivamente guida europea di Goldman, per poi essere richiamato in Italia per assumere la prestigiosa carica di Governatore della Banca d’Italia, incarico alquanto forzatamente lasciato in fretta e furia da Antonio Fazio, travolto dallo scandalo dei furbetti del quartierino e, più in generale, crollato sotto il peso delle sue responsabilità nell’opera di pervicace interdizione delle scalate tentate nel 2005 da due banche straniere nei confronti di altrettante banche italiane, delle quali erano peraltro da lungo tempo azioniste di riferimento.

Non è un caso se una delle maggiori accuse che vengono mosse alla colossale banca di affari statunitense è proprio quella di disporre di una rete di informazioni e di influenza che non ha paragoni in nessuna parte del mondo, un sistema talmente articolato e capillare che rende obsoleto e poco aderente alla realtà anche il concetto di insider trading, in quanto, in pochi casi come in quello della banca fondata da due tedeschi decisi a tentare la fortuna oltreoceano, la dimensione delle relazioni e degli affari di Goldman Sachs coincidono in un elevatissimo numero di punti con la politica e l’economia dell’intero pianeta, una realtà incomparabile anche con quella che caratterizza le uniche due banche confrontabili e che sono l’extracomunitaria UBS e il colosso creditizio statunitense Citigroup, entrambe a loro volta presenti in un numero di paesi appena inferiore a quelli che sono rappresentati al palazzo di vetro delle nazioni Unite.

D’altra parte, che si tratti di una realtà aziendale anomala à ben testimoniato dal fatto che Goldman è, forse, l’unica Investment Bank al mondo ad avere non uno, bensì ben due, Chief Operating Officer, entrambi gratificati nel 2007 dalla bella somma di 70 milioni di dollari, costando in due più del numero uno Larry Blankfein che di milioni di dollari ne ha presi quell’anno ben 100, potendosi permettere di acquistare un mega appartamento nel più esclusivo condominio di New York per la misera somma di 25 milioni di dollari, mance al portiere e spese condominiali escluse, ma ben più dei 56 milioni di dollari percepiti dal provvidenziale Chief Financial Officer, David Viniar, il top manager sessantaduenne che, nel lontano settembre del 2006, a due mesi dalla nomina di Paulson a ministro e contemporaneamente a quella di Steel a sottosegretario, decise che era ora per la banca di girare le proprie posizioni e vendere il vendibile di quella montagna di titoli della finanza strutturata che aveva, direttamente o indirettamente, in corpo.

Pensate che nessuno è mai riuscito a capire l’esatta distinzione dei compiti dei due strapagatissimi COO di Goldman, anche perché sono convinto che sia destituita di ogni fondamento la tesi che vorrebbe l’uno incaricato di sorvegliare le mosse dell’altro e, ovviamente ma incredibilmente, varrebbe l’inverso, mentre ritengo più veritiera l’ipotesi che, in presenza di un’operatività estremamente sofisticata e complessa quale è quella che caratterizza Goldman una sola persona incaricata di facilitare e controllare il tutto sarebbe finita ai matti.

Non sono in pochi ad essere giunti alla conclusione che il prestito alla politica di due importanti manager di Goldman non sia stato del tutto casuale, così come gli stessi ipercritici arrivano a pensare che qualche influenza sulle tanto drastiche ed allora incomprensibili scelte della banca le informazioni acquisite da Paulson e Steel le abbiano pure esercitate, anche alla luce del fatto che il disastro dei titoli della finanza strutturata è iniziato ben prima della terribile estate del 2007, così come è vero che certamente UBS e forse qualche altra banca globale si sia messa nella scia di Goldman solo pochi mesi dopo, portando le vendite complessive nell’ordine delle decine, se non delle centinaia di miliardi di dollari.

Già, perché non è facile omprendere capire il motivo della brusca e pressoché totale disaffezione degli investitori di ogni ordine, specie e rango nei confronti dei titoli della finanza strutturata se non si guarda alla maxi svendita operata da Goldman e da altri big player, senza che, almeno in apparenza, nulla di rilevante fosse accaduto nel mercato finanziario globale, circostanza ben testimoniata dal fatto che, almeno nei primi mesi di offerte massicce, le altre banche si sono disputate a prezzi non certo di saldo quanto veniva posto in vendita da Goldman e dalle sue poche imitatrici, ma che, successivamente, l’interrogativo sui reali motivi di questa politica ha iniziato a serpeggiare nelle sale tappezzate di mogano dei consigli di amministrazione delle banche e delle compagnie di assicurazione di tutto il mondo, per non parlare poi di quello che deve essere accaduto ai vertici di quei fondi di investimento e di quei fondi pensione che, secondo le ultime e molto accreditate stime, sarebbero destinatarie dei due terzi del conto finale della tempesta perfetta, ossia di qualcosa che si aggira sui 900 miliardi di dollari su un totale di 1.400 miliardi di altrettanti e svalutatati dollari.

Sono proprio curioso di capire dove andrà a parare l’intenso e molto patriottico lavoro investigativo in corso negli Stati Uniti d’America, un lavoro che coinvolge giorno e notte centinaia, se non migliaia di donne ed uomini che fanno capo al Federal Bureau of Investigations, alla Fed, alla Sec, alle Authority sulle compagnie di assicurazione (una per ogni stato), alla borsa merci di Chicago, nonché uno stuolo di pubblici ministeri, in particolare quelli operanti nel distretto di Brooklyn, compete sulle eventuali malefatte di “quelli” di Wall Street.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.