domenica 6 aprile 2008

Sarà uno split che vi seppellirà!

La proposta dell’ex CEO dell’extracomunitaria UBS, supercolosso creditizio e finanziario multinazionale nato dal merger tra due importanti banche svizzere avvenuto negli anni scorsi, di espellere, splittare è il termine tecnico in gergo derivante dal to split anglossassone, le attività proprie dell’attività di Corporate & Investment banking dalle attività creditizie tradizionali e quelle di wealth management che resterebbero nella banca vera e propria, lasciando l’altro troncone al suo alquanto prevedibile destino.

La lettera formale inviata da Arnold Luqman, non è uno pseudonimo, in quanto l’ex top manager di UBS si chiama proprio così, è pervenuta all’angosciato Board dell’un tempo invincibile banca affidataria dei patrimoni dei ricchi, vecchi e nuovi, di quais tutti i paesi del globo, e, visto il consenso che l’ex banchiere ancora riscuote dagli azionisti di UBS, verrà certamente presa nella dovuta considerazione, anche perché non è certamente bastato a placare l’ira dei solitamente tranquilli stakeholders della banca il siluramento in diretta di quel Chairman che in una recente assemblea era stato a stento sottratto all’ira dei partecipanti che volevano capire perché si fosse irrimediabilmente rotto quel giocattolo della finanza strutturata che era stata per lungo tempo la gallina dalle uova d’oro della banca elvetica.

Ma l’idea di Luqman è tutto meno che qualche cosa di originale, visto che da settimane se non da mesi i vertici delle alquanto disastrate compagnie di assicurazione monoline statunitensi, quelle MBIA ed Ambac, solo per citare le due maggiori, stanno resistendo in ogni modo alle pressioni degli squali che si aggirano alle loro spoglie avendo avvertito l’odore del sangue, e che chiedono loro perentoriamente di splittare il ramo che gestisce le garanzie prestate alle emissioni di titoli della finanza strutturata, quei titoli che solo da un quinquennio le monoliners hanno accettato di assicurare, fatalmente cedendo alle lusinghe e le sirene dei capi delle Big Five e delle CIB delle banche più o meno globali, firmando così la propria condanna a morte a certo tempo data.

Il problema per le compagnie monoline, ieri, ed oggi per le investment banks e le banche globali è rappresentato dal fatto che la soluzione proposta rischia di essere anche peggiore del problema che vorrebbe risolvere, in quanto non vi è alcun dubbio che le entità progettate rischiano seriamente di nascere già morte, affondate da quelle colline o montagne di carta maleodorante che nessuno vuole più, nemmeno se offerta a prezzi di assoluto saldo, con la solita eccezione delle discariche a cielo aperto aperte dalle banche centrali, che continuano a fingere che si tratti di titoli degni di ogni rispetto e da valutare, anche in base all’incredibile rating di cui tuttora godono, al valore nominale, o quasi.

Tanto è vero che vecchi volponi come il leone di Omaha, Warren Buffett, non hanno neanche perso tempo a corteggiare i vertici di MBIA e di Ambac, da loro considerate già defunte, ma hanno costituito compagnie specializzate nuove di zecca che si offrono di acquisire le vecchie garanzie ai munibonds, termine con cui si designano i titoli emessi dalle municipalità, contee, stati ed entità controllata da questi soggetti pubblici statunitensi per cifre stratosferiche, così come hanno iniziato a presentarsi alle aste delle nuove emissioni, offrendo garanzie a prezzi stracciati grazie al semplice fatto di non essere gravati da rischi di altro genere per centinai se non per migliaia di miliardi di dollari.

Ma il problema per UBS, Goldman Sachs, Lehman Brothers, Merrill Lynch, Morgan Stanley e per le altre banche globali basate in Europa o in Asia, si presenta con caratteristiche di maggiore complessità, perché l’intreccio tra le attività tradizionali e quelle caratteristiche delle CIB è ormai divenuto troppo stretto per essere sciolto, quasi una fratellanza siamese di mattoliana memoria che prevederebbe una lunghissima operazione chirurgica, al termine della quale, molto probabilmente, nessuna delle due entità risultanti sarebbe in grado di sopravvivere decentemente.

Questo a causa di quel processo inarrestabile di finanziarizzazione che ha permesso di cartolarizzare tutto il cartolarizzabile, non certo solo i mutui più o meno sub prime di cui tanto si è discusso, anche invano, in questi mesi, ma anche quanto viene prodotto dall’universo mondo vagamente denominato credito al consumo, per non parlare dei titoli derivanti dai Leverage Buy Out delle locuste dei private equity, le anticipazioni fornite alle imprese commerciali ed industriali, via Commercial Papers, il mare magnum, stimato in 40 mila miliardi di dollari, dei corporate bonds, l’universo parallelo partorito dall’avida mente di Milkien dei junk bonds (al momento in difficoltà, ma molto meno di quanto lo siano gli LBO, CDO, Commercial Papers e via discorrendo).

Non so se sia esagerato parlare di nodo gordiano, ma certamente si tratta di un viluppo realmente inestricabile sul piano degli assetts e di una prevedibile, e difficilmente sostenibile, emorragia sul piano non proprio secondario dei flussi di ricavi da destinare alle due entità di nuova generazione, una lotta per appropriarsi della maggior parte del flusso che non verrebbe sedata neanche dalla polizia privata controllata dal Chief Operating Officer o da una figura similare.

L’altro aspetto che rende veramente esiziale il progetto è rappresentato dal fatto che la crescita impetuosa delle attività in qualche modo riconducibili alle divisioni CIB o di quelle proprie delle investment banks, vere CIB delle CIB, è stata tale di tale intensità, a partire almeno dal 1985, che risulta davvero difficile trovare donne ed uomini in grado di svolgere efficientemente ed efficacemente le attività previste da quello che Luigi Spaventa ha definito il modello originate and hold, contrapposto all’imperante originate to distribuite, e poiché una banca, anche quelle globali o le investment banks, è sostanzialmente rappresentata dal capitale umano e dal potenziale relazionale e reputazionale, l’operazione suggerita alle monoliners dagli squali della finanza e ad UBS da Luqman appare veramente di difficile realizzazione.

Se, pur in presenza degli elementi che ho cercato di esporre di sopra, mi soffermo sulla proposta di splittare le CIB, lo faccio in gran parte per l’entità da cui proviene la proposta, quella UBS che, insieme ed un po’ in ritardo dalla preveggente Goldman Sachs, ha operato il più massiccio disinvestimento dalle attività della finanza strutturata e lo ha fatto sin dall’ultimo scorcio del 2006, appena due mesi dopo il drammatico appello che l’anziano David Viniar rivolse ai suoi attoniti partners di Goldman, appello che diede istantaneamente il via al maggior fuga dai titoli della finanza strutturata mai verificatosi in tempi così rapidi, anche se né Goldman Sachs, né tanto meno UBS sono riuscite a liberarsi di tutta la montagna di titoli in loro possesso.

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria del 19 c.m. è disponibile nella sezione video (alla voce videoinformazione) del sito Free Lance International Press www.flipnews.org