lunedì 7 settembre 2009

Come fu sventato l'Armageddon della finanza!


Il lungo week end dedicato alla festa del lavoro negli Stati Uniti d’America, con la chiusura odierna dei mercati a stelle e strisce, cade esattamente a un anno di distanza dall’inizio delle cinque settimane che videro la seria possibilità di un default sistemico nel mercato finanziario globale, una eventualità sventata solo attraverso una sorta di mutazione genetica della filosofia neoliberista sopravvissuta, anche se alquanto ammaccata, al primo anno di vita della tempesta perfetta, una svolta di 180 gradi rispetto agli assiomi che vedevano sempre più mercato e sempre meno Stato, seguendo i quali avremmo assistito a quella sorta di Armageddon della finanza presente negli incubi del trio Bush-Paulson-Bernspan, uno scenario sventato solo dall’adozione di misure che non avevano precedenti nella storia del capitalismo finanziario.

Tutto ebbe inizio nel week end di inizio settembre 2008 che vide la nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, le due istituzioni cui fa capo poco meno dell’immenso mercato del morgane immobiliare statunitense, qualcosa come 11 mila miliardi di dollari, una decisione che rendeva effettiva la responsabilità pubblica per l’enorme massa di titoli emessi dalle due entità, denominati GSE, portando lo stock effettivo del debito pubblico a stelle e strisce a superare il prodotto interno lordo, anche se, ovviamente, si tratta di un rischio potenziale che non è stato contabilizzato, ma che è ben presente a coloro che detengono, in patria e all’estero, titoli rappresentativi del debito statunitense.

Come ricorda efficacemente un lungo articolo dell’Associated Press apparso nel fine settimana e dedicato proprio a quelle cinque terribili settimane, il Dow Jones era allora a 11.200 punti e il mercato, inconsapevole di quanto sarebbe avvenuto successivamente, brindò alla decisione governativa riportandosi in poche sedute alla soglia degli 11.500 punti, un sollievo destinato a durare lo spazio di un mattino perché fu subito chiaro che ulteriori e più gravi decisioni sarebbero state necessarie, anche se era davvero difficile avere un’idea chiara che le stesse sarebbero state prese a distanza di un solo week end, con il fallimento di Lehman Brothers, la nazionalizzazione del colosso assicurativo AIG e l’accollamento dei guai di Merrill Lynch a Bank of America, un passaggio attraverso forti pressioni del sistema della riserva federale e del Tesoro sul numero uno di BofA e sulle quali ha indagato a lungo il Congresso, ma che non hanno impedito a Obama di rinnovare il mandato di Bernspan.

Con il ricorso di Lehman Brothers alla protezione offerta dalle legge fallimentare statunitense, un trauma amplificato dalle immagini televisive dei dipendenti della investment bank che lasciano la sede con i propri scatoloni, si apre davvero quella fase nella quale nessuno poteva essere sicuro della solidità dei propri investimenti, una situazione ben rappresentata dalla riduzione a sole due delle Big Five dell’investment banking, oramai ridotte alla potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs e a Morgan Stanley, mentre due delle grandi banche universali, Bank of America e J.P. Morgan-Chase erano state già chiamate a occuparsi di altre entità finanziarie, la prima di Countrywide e Washington Mutual, mentre la seconda si era fatta carico della prima vittima della tempesta perfetta, Bears Stearns,.

Wells Fargo e Citigroup, invece, sarebbero giunte pochi giorni dopo a un passo dalle vie legali per disputarsi l’onere o l’onore di occuparsi, oltre che dei propri, anche dei guai della quarta banca statunitense, Wachovia Bank, che sarebbe poi stata assegnata a Wells Fargo, una banca molto meno coinvolta di Citi nel marasma della finanza strutturata.