giovedì 3 settembre 2009

Mercati sempre più preoccupati!


La notizia dell’ulteriore falcidia di poco meno di 300 mila posti di lavoro nel settore privato nel mese di agosto negli Stati Uniti d’America è proprio una di quelle informazioni che possono essere lette come il classico bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda che si appartenga alla vasta schiera degli ottimisti a ogni costo o a quella di chi vuole vedere fatti concreti prima di vedere una svolta nella più grave e più globale crisi finanziaria.

Ovviamente, gli ottimisti enfatizzano il fatto che 298 mila posti di lavoro persi in agosto sono sempre meglio dei 360 mila svaniti nel mese di luglio, ma non omettono certamente di sottolineare il fatto che si tratta del dato più basso dall’orribile mese di settembre del 2008, anche se la fonte di questo dato, l’ADP, si è premurata di comunicare che prevede che verranno persi posti nel settore privato ancora per parecchi mesi.

Quello che dovrebbero essere chiaro sia agli ottimisti che ai pessimisti, molti dei quali preferiscono essere definiti realisti, è che un’economia che perde centinaia di migliaia di posti di lavoro al mese difficilmente potrà registrare un incremento dei consumi e della produzione di beni e servizi, così come dovrebbe essere condivisa la sensazione che l’apporto senza precedenti del governo e delle autorità monetarie non potrà proseguire all’infinito, pena il completo dissesto della finanza pubblica!

L’altro dato importante e atteso di ieri era quello riferito agli ordini all’industria nel mese di luglio, ma, anche in questo caso, si è trattato di un’informazione che non ha fornito un’indicazione chiara, in quanto la crescita dell’1,3 per cento si trasforma in una flessione dello 0,7 per cento al netto del settore dei trasporti, spinti per il secondo mese consecutivo dagli ordini di velivoli, mentre incontestabile è stato il forte aumento della produttività, cresciuta nel secondo trimestre del 6,6 per cento.

Anche ieri, a fronte di tre notizie che, al netto dei dovuti distinguo, avrebbero messo le ali ai listini azionari, i tre indici statunitensi hanno aperto in rosso per poi tentare una timidissima risalita in territori positivo, una reazione che dimostra come gli investitori, in particolare quelli individuali, continuano a nutrire dubbi sui livelli raggiunti dopo il crollo di metà marzo, una performance che continua ad apparire eccessivamente anticipatoria rispetto al reale andamento dell’economia statunitense.

Certo, ieri sono circolate voci, riprese da siti tutt’altro che tendenti a indulgere al gossip, sul possibile fallimento di quella che veniva definita una major bank, voci assolutamente non confermate ma che ben testimoniano dei rinnovati timori nei confronti del settore finanziario a stelle e strisce.

Un discorso a parte lo merita l’andamento cedente del prezzo del petrolio, tornato ieri nell’area dei 67 dollari al barile, dopo aver toccato i massimi dell’anno solo pochi giorni fa, una flessione che è proseguita anche in presenza di un calo delle scorte statunitensi, ma che mantiene comunque i prezzi di un 40 per cento abbondante al di sopra di quelli che dovrebbero essere in base alla domanda e l’offerta, con la seconda che ancora supera la prima di 2 milioni di barili al giorno, un gap difficilmente colmabile nei tempi brevi e che dimostra una volta di più quanto sia necessaria una regolamentazione dei mercati futuri di questa come di altre materie prime!