giovedì 17 novembre 2016

La difficile disfida tra Trump e l'Impero del Dragone


Per chi segue dall'inizio le cronache della terza ondata della Tempesta Perfetta sul Diario della crisi finanziaria, non è una novità che una delle maggiori bolle speculative scoppiate o in procinto di farlo è proprio l'economia, ma ancor più la finanza, di quella che ostina a chiamarsi Repubblica Popolare Cinese, ma che è sempre di più una delle patrie predilette del neoliberismo più spinto, con conseguente nascita come funghi di una pletora di multimiliardari in dollari, lo sviluppo di 26 zone, Shanghai in testa, che stride con le condizioni della Cina più profonda, una diseguaglianza reddituale e patrimoniale che ha pochi confronti nell'Occidente industrializzato e una crescita export driven e caratterizzata da decine di migliaia di transplant giapponesi, statunitensi ed europei che hanno cambiato la faccia dell'economia cinese, industrie poco interessate al pur immenso mercato locale, ma giunte lì per trovare un "ambiente" favorevole e per poter esportare a rotta di colo verso i mercati più ricchi.

Come sempre, o almeno spesso, accade, il "piazzamento" di circa 2000 miliardi di euro di merci cinesi in Giappone, Stati Uniti ed Europa ha iniziato a creare reazioni molto forti e virulente, soprattutto tra quella manodopera più o meno specializzata che si è trovata espulsa, spesso definitivamente, dal mercato del lavoro e ha visto le merci che produceva tornare sul mercato con l'etichetta Made in China ed ha iniziato a dare vita ad un movimento di resistenza che ha trovato asilo nei partiti e movimenti che spesso vengono frettolosamente e etichettati come populisti, ma che minacciano di giungere al potere in Francia, Germania, Austria, Olanda e sono già saldamente insediati nei paesi membri dell'Unione Europea che un tempo erano vassalli dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ma sono stati determinanti anche nella vittoria, seppur non di larghissima misura, della Brexit e, dulcis in fundo, del tutto determinanti nella recente elezione di Donald Trump, un "non politico" che ha minacciato apertamente le multinazionali e le migliaia di transplant provenienti dagli USA, nonché ha perorato fortemente la causa dell'introduzione di dazi molto, ma molto pesanti per indurre le imprese espatriate a fare ritorno in patria, il che corrisponde più o meno a fare rientrare il dentifricio uscito in eccesso nel tubetto dal quale è uscito.

Donald Trump ha battuto Billary su questo punto ed è su questo che la destra e l'ultra  destra a stelle e strisce hanno strappato Stati tradizionalmente democratici, decisivi per la conta finale dei super delegati che eleggeranno a breve Trump come 45° presidente degli Stati Uniti d'America: blocco dell'immigrazione e cacciata dei clandestini, super dazi alle importazioni cinesi e norme volte a contrastare i transplant, appunto e sa che qualcosa di concreto in questa direzione deve fare per non essere uno dei pochi presidenti che si ferma al primo mandato e che perde tra due anni le elezioni di Mid Term, anche se la guerra all'export cinese dovesse tradursi in quel boomerang che molti paventano e senza considerare la tutt'altro che velata minaccia proveniente dal Governo di Pechino che minaccia di buttare sul mercato gli oltre 1.200 miliardi dollari in Treasury Bonds che possiede e che ha già ridotto, in tempi non sospetti, di 100 miliardi di dollari, così come è utile ricordare che le esportazioni USA verso la Cina superano di poco i 100 miliardi di dollari, mentre le importazioni da quel lontanissimo Paese ammontano a 440 miliardi di dollari.

E Donald lo deve fare anche perché tutto questo è fondamentale per l'altro fronte che intende aprire e che consiste nel consentire alle banche più o meno globali di liberarsi dei lacci e laccioli imposti dopo lo scoppio della Tempesta Perfetta e che lo porterà a nominare un banchiere alla carica di Segretario di Stato al Tesoro e sembra che in questa partita stiano crescendo le possibilità del candidato della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs!

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