venerdì 11 novembre 2016

Nella vera Costituency di Donald Trump sta scritto quello che farà nei prossimi mesi!


Con buona pace delle tante decine di milioni di elettori bianchi, disoccupati o sottoccupati a causa degli alti marosi della Tempesta Perfetta,  che hanno creduto in totale buona fede nei suoi truculenti slogan elettorali sulla fine della globalizzazione, l'impugnazione dei Trattati quali il Nafta made by Bill Clinton, una durissima campagna di dazi doganali in danno dei paesi (Cina e Messico in primis) che inondano di merci i mercati statunitensi, spesso a partire dalle migliaia di transplant che sono il risultato di chiusure a catena di fabbriche a stelle e strisce e di aperture dove più conviene, insomma una bella torta confezionata per chi, deluso per i disastrosi effetti derivanti dalla politica dei due grandi partiti tradizionali sulla propria condizione di vita, sperava veramente che il magnate newyorkese fosse davvero uno di loro e non, come appare sempre più chiaro, uno dei soliti burattini in mano dei soliti noti.

Chi sono questi noti che, un po' nell'ombra ne hanno favorito la corsa? Si tratta delle grandi banche globali, dell'industria degli armamenti privati o su scala internazionale, dei costruttori  a volte senza scrupoli, dei petrolieri, delle voracissime compagnie di assicurazioni che hanno subìto e sabotato l'Obamacare e chi più ne ha ne mette, insomma di tutti quelli colpiti o in procinto di esserlo dalle poche ma incisive riforme vene fuori dagli otto anni di Barack Obama alla Casa Bianca, in realtà in parte svuotate per accordo tra repubblicani e democratici, come la celebre Dodd-Frank sui limiti da porre al mostruoso output delle fabbriche prodotto delle divisioni di Corporate and Investment Banking delle banche più o meno globali, alla crescita a volte abnorme delle tariffe dell'Obamacare e via discorrendo; scusate la confusione espositiva, ma spesso alcuni di questi soggetti sono presenti per più di un motivo.

Ora che l'ora del voto è passata (con buona pace delle migliaia di ragazze e ragazza che hanno popolato le strade di alcune città a stelle e strisce, dopo aver semmai votato per la coppia Billary che, negli anni Novanta aveva posto le basi su cui si è sviluppata la più grave crisi finanziaria degli ultimi settanta anni) e che Donald Trump "è" davvero (sic) il 45° Presidente degli Stati Uniti d'America, le componenti più agguerrite della sua costituente elettorale non aspettano neanche la fine dell'incontro di cortesia, ma non solo, che Obama ha voluto dedicare all'individuo che questo grande milieu di banchieri, avvocati d'affari, assicuratori d'alto bordo, costruttori come lo stesso Donald ha sostenuto in ogni modo possibile e immaginabile (mi aveva impressionato una sua foto di gruppo, scattata durante la campagna elettorale, con esponenti di queste categorie che assommavano una buona parte del PIL e della ricchezza degli  Stati Uniti d'America) aveva eletto a suo alfiere per riportare l'orologio della Storia a prima di quell'orribile 9 di agosto del 2007 quando gli altissimi marosi della Tempesta Perfetta sono comparsi in tutto il mondo industrializzato, anche se sarebbe meglio dire finanziarizzato e globalizzato.

La mission di Donald è già scritta ed è ben diversa dalle mirabolanti promesse rivolte a quell'esercito di disperate e disperati vittime della finanziarizzaione e globalizzazione, elemento quest'ultima inscindibilmente legato alla prima, per cui si dimentichino l'abolizione dei trattati commerciali che porterebbe con sé l'eliminazione della libertà di movimento dei capitali, una mission facilitata dalla maggioranza assoluta nelle due camere e che richiederà mesi, massimo un anno, per tradursi in atti concreti che spesso non sono altro che atti demolitivi delle leggi faticosamente fatte approvare da Barack Obama e se i suoi tanti elettori ingannati non lo rivoteranno amen, ptrà sempre dire a quel migliaio di suoi veri grandi elettori:"Mission accomplished". Il dibattito sull'identikit del nuovo Segretario al Tesoro non mi appassiona, anche se suggerirei al famoso Jamie Dimon, numero uno di J.P. Morgan-Chase, di lasciare la mano al giovane tesoriere della campagna elettorale di Trump, un ex della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, un banchiere non più in servizio permanente effettivo e che può vedersela più facilmente con Super Mario e gli altri banchieri centrali e che potrebbe, nel 2018, prendere il posto di Janet Allen alla guida della ancora potentissima Federal Reserve!

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