domenica 30 dicembre 2007

Chi assicurerà gli assicuratori?


Mentre infuria la guerra per banche, è inziata ufficialmente da ieri anche la guerra tra le compagnie di assicurazione impegnate nel fornire garanzie sulle emissioni di quel mare sterminato di titoli della finanza strutturata che ormai nessuno vuole più e, per la prima volta nella sua lunga e fortunata storia di finanziere, l’ingresso di Warren Buffett in un settore non ha fatto salire anche le quotazioni dei concorrenti, ma ha portato al tracollo delle quotazioni di MBIA e Ambac i due colossi assicurativi che già da tempo versano in condizioni di estrema difficoltà e sotto il mirino delle agenzie di rating che stanno valutando un downgrade che sarebbe esiziale per la loro attività.

L’acquisto da Ing di una società specializzata nell’assicurare emissioni obbligazionarie e l’ottenimento della licenza per operare in questo settore nello Stato di New York rappresentano l’ingresso in forze del leone di Omaha nel settore più in crisi del grande mercato delle assicurazioni, con l’ambizione dichiarata di acquisire una grossa quota di mercato nell’assicurazione dei titoli emessi dalle municipalità statunitensi e dagli organismi pubblici quali le contee e gli stati su cui si basa il sistema federale, anche se, sempre in questi giorni, il finanziere ha acquistato le attività manifatturiere di una dinastia industriale che dura da tre generazioni, tanto per riaffermare il principio della diversificazione dei rischi che tanti altri sembrano avere dimenticato.

Mentre in molti ironizzano sul futuro dei top manager che sino a poco tempo fa facevano il bello ed il cattivo tempo negli Stati Uniti d’America e, più in generale nel mercato finanziario globale, prevedendo per i più la dipartita verso una nuova vita forse più piacevole, almeno per quelli che potranno permettersela, di quella stressante e dominata dall’avidità cui erano abituati, centinaia di migliaia di meno fortunati hanno già perso il posto di lavoro nell’industria finanziaria e c’è chi ipotizza che un numero almeno pari li seguirà presto sulla strada di un’affannosa ricerca di un nuovo posto di lavoro e di un ridimensionamento drastico dei consumi in base al vincolo di bilancio legato all’entità non certo stratosferica del sussidio di disoccupazione.

Sempre ieri, erano attesi due dati importanti sull’andamento del disastrato settore immobiliare, ma l’entità del tonfo delle vendite di case esistenti in novembre, piombate ai minimi degli ultimi dodici anni e che, almeno in tre delle quattro aree che compongono gli USA ha registrato flessioni su base annua a due cifre, o forse un opportuno problema tecnico ha rinviato a data da destinarsi il dato sulle vendite, sempre in novembre delle case esistenti, che, tanto per memoria, da livelli annui di oltre 7 milioni di unità nel 2005 sono previste viaggiare quest’anno sui 4,7 milioni di abitazioni vendute.

Pur se lontane dalle flessioni del 15 per cento e più registrate dalle due grandi compagnie di assicurazioni citate all’inizio, anche le variegate entità che compongono il settore creditizio hanno vissuto ieri una giornata poco felice e, fosse stato per questi due comparti, gli indici statunitensi avrebbero segnato ieri il secondo forte ribasso consecutivo, un esito evitato in extremis, seppur con una conclusione che ha visto l’ultima seduta utile per le statistiche dell’anno chiudere, come dicono gli esperti, mista ma anche alquanto mesta, in quanto non vi è operatore o analista che non sia consapevole che né gli interventi delle banche centrali, né le decisioni di governi e parlamenti, né le varie e fantasiose ipotesi di salvataggio sembrano in grado di disinnescare quella vera e propria bomba che è rappresentata dal crescente clima di sfiducia tra i risparmiatori ed i consumatori.

Anche perché tutti sono consapevoli che il credit crunch legato anche, ma non solo, alla necessità di riportare i ratio patrimoniali delle banche a livelli di sicurezza dopo le quasi certe perdite per 500-700 miliardi di dollari (che secondo l’ormai tristemente nota formula di Jan Hatzius, capo economista di Goldman Sachs si tradurranno in un taglio del credito all’economia per almeno 5-7 mila miliardi di dollari) che verranno verosimilmente contabilizzati entro la fine della crisi finanziaria non colpirà soltanto quelli che dell’effetto leva hanno fatto una religione come gli hedge fund e gli speculatori di ogni ordine e risma, ma anche le aziende industriali, le iniziative di ogni genere e, ultimi ma non certo per ultimi, i cittadini comuni.

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