giovedì 20 dicembre 2007

Ci mancava solo Morgan Stanley!


La perdita multipla rispetto alle previsioni degli analisti annunciata ieri, con riferimento al quarto trimestre di quest’anno da Morgan Stanley, una delle Big Five statunitensi che se l’era sostanzialmente cavata nel terribile terzo trimestre, è stata accompagnata dalla notizia che il fondo governativo della Repubblica popolare cinese ha deciso di investire 5 miliardi di dollari nella banca.

Al di là dell’astronomica cifra relativa alle svalutazioni legate ai titoli della finanza strutturata per 9,6 miliardi di dollari e la stessa tutt’altro che lieve perdita di 3,6 miliardi, quello che ha colpito gli analisti è il dato negativo per centinaia di milioni di dollari degli stessi ricavi, falcidiati dalle svalutazioni a tal punto da segnare un valore negativo (450 milioni di dollari), mentre, nell’ultimo trimestre dell’ormai lontanissimo 2006, morgan Stanley aveva annunciato profitti per 2,27 miliardi di dollari e ricavi per 7,75 miliardi.

Un affranto John Mack, presidente ed amministratore delegato della banca statunitense, ha preso su di sé ogni responsabilità del disastro aziendale e, caso unico nel panorama creditizio statunitense, si è precipitato a rendere noto che non si procederà all’erogazione dei previsti bonus aziendali, anche se dubito che questo bel gesto sarà sufficiente per evitargli, sulla scia di un numero ormai sempre più lungo di predecessori, un’uscita di scena più o meno ignominiosa.

Ovviamente, i dati del quarto trimestre hanno pesato significativamente sui risultati di Morgan Stanley nell’intero esercizio 2007, con profitti pari ad un terzo di quelli segnalati nel 2006 ed un calo dei ricavi complessivi aziendali contenuta nel –6 per cento, ma che evidenzia la forza della frenata finale su un volume di attività che nei primi tre trimestri procedeva ancora a tutta birra.

Con l’arrivo in forze dei capitali cinesi in Morgan Stanley e la presenza ormai molto significativa di arabi e del fondo governativo di Abu Dahbi in Citigroup (nonché quello del fondo di Singapore nel colosso svizzero UBS), l’americanità del capitale delle banche statunitensi inizia ad essere messa seriamente in discussione e questo, insieme alla prevedibile catena di salvataggi prossima ventura, rischia di segnare profondamente un paese nel quale è, ad esempio, fatto divieto ad una compagnia aerea straniera di possedere una quota azionaria superiore al 25 per cento di un vettore aereo statunitense.

Va, tuttavia, segnalato che l’interesse che Morgan Stanley si è impegnata a pagare agli investitori cinesi sul prestito obbligazionario convertibile in azioni è del solo 9 per cento, contro l’11 per cento richiesto dal fondo di Singapore a Citigroup a fronte di un impegno finanziario ben più massiccio.

Non è passata, nel frattempo, sotto silenzio la dichiarazione del noto finanziere italiano Carlo De Benedetti che ha affermato due giorni fa di aver appreso da un’autorevole fonte bancaria che l’esposizione non ancora emersa delle banche europee è pari alla ragguardevole cifra di 340 miliardi di dollari, notizia che non ha contribuito, insieme alle preoccupazioni legate alle dimensioni alluvionali delle iniezioni di liquidità con cui la BCE e le altre principali banche centrali stanno sommergendo, con scarsi risultati, il mercato interbancario, alla tenuta delle quotazioni delle azioni delle principali banche dell’area dell’euro e di quelle basate in Gran Bretagna.

Come ha ben rilevato un noto analista, il Governo britannico si è ormai cacciato in una specie di trappola nei disperati tentativi di non giungere al fallimento dell’ormai nota Northern Rock, fallimento che si tradurrebbe in una sciagura per i conti pubblici e per la stessa credibilità del governo di sua maestà, anche se al proposito continuo a porre il mantra che ripeto ormai da settimane: come mai, in luogo di una più che improbabile piccola folla di strani pretendenti, nessuna banca basata in Gran Bretagna ha ritenuto di farsi avanti per rilevare quella che era l’ottava banca del regno e la quinta per importanza nel settore immobiliare?

La strenua resistenza dei tassi interbancari dell’area euro ai più massicci interventi operati dalla BCE (o dalle singole banche centrali europee nel periodo che precede la sua nascita) denota con chiara evidenza che non viene in alcun modo meno il clima di reciproca sfiducia imperante tra le principali banche operanti nell’area, una sfiducia che la rilevante cifra sulla reale esposizione nella finanza strutturata avanzata da De Benedetti non ha certo aiutato a dissipare.

D’altro canto, dimostratasi del tutto spuntata la via del tagli ripetuto dei tassi di interesse perseguita con determinazione da Bernanke e soci, via oltretutto impraticabile alla luce della fiammata inflazionistica che ha colpito la Germania e, seppure con ritmi appena inferiori, la maggior parte dei paesi dell’area dell’euro, i membri templari e quelli moderati del Board di Francoforte stanno amaramente constatando che, anche mettendo sul piatto ben 500 miliardi di dollari in un giorno, l’effetto sui tassi, invece di essere dirompente e definitivo, si è tradotto in una sorta di solletico che, al più, permetterà di affrontare lo scavallo di fine anno senza troppi morti e feriti.

Il pensionato di lusso Alan Greenspan continua, nel frattempo, a rilasciare ben pagati vaticini in pranzi o cene delle quali è ospite di onore e, dopo aver previsto che le probabilità della recessione prossima ventura hanno ormai raggiunto la fatidica soglia del 50 per cento, ha di recente dichiarato di vedere probabile il temibile scenario della stagflazione, quella micidiale miscela di inflazione e recessione che è vista dai più con ancora maggiore preoccupazione dello scenario puramente recessivo.

Sulle voci relative ad una prossima uscita dell’attuale amministratore delegato di Intesa-San Paolo, Corrado Passera, è autorevolmente intervenuto ieri Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di Sorveglianza del colosso bancario, smentendo recisamente tale possibilità, del che non posso che rallegrarmi, anche se sarebbe meglio lo dicesse anche ad Oscar Giannino che di questa uscita parla, sul suo giornale, Libero mercato, quasi un giorno sì e l’altro pure.

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