sabato 22 dicembre 2007

La Cina è davvero vicina

Se ad ogni giorno basta la sua pena, si può dire che, almeno per oggi, non vi sono stati nuovi annunci di risultati trimestrali da parte delle principali banche statunitensi, ma, tanto per non deludere del tutto le attese, è giunta l'indiscrezione sul possibile raggiungimento di un'intesa tra la disperata Merrill Lynch, sì la banca che dovrebbe svalutare poco meno di 9 miliardi di dollari di titoli della finanza strutturata nel quarto trimestre dopo l'alluvione di perdite nel terzo, e Temasek, il ricco fondo governativo di Singapore, per un'iniezione di capitali per 5 miliardi di dollari.
Avevo annunciato appena ieri l'ingresso in forze del fondo governativo cinese in Morgan Stanley, mediante un ben remunerato prestito obbligazionario convertibile per 5 miliardi di dollari che, in caso di conversione, porterebbe il braccio finanziario armato della Repubblica Popolare Cinese al 10 per cento della blasonata banca statunitense, mentre, nelle settimane appena trascorse, il fondo governativo di Abu Dhabi si era impegnato in un'operazione analoga nei confronti di Citigroup ed un altro fondo governativo di Singapore era corso in soccorso del colosso svizzero UBS, mentre, oltre un mese fa, la Citic cinese aveva investito un miliardo di dollari in Bear Stearns.
L'iperattivismo delle principali banche centrali del pianeta e questo soccorso rosso o asiatico in generale in favore delle maggiori banche commerciali e di quelle di investimento degli Stati Uniti rischiano veramente di panicare il mercato finanziario, con particolare riferimento a quella moltitudine di operatori dagli orizzonti mentali e culturali un po' limitati che iniziano a rendersi conto che attorno a loro sta accadendo qualcosa di grosso, qualcosa di veramente molto grosso e, si sa, la paura è una pessima consigliera, soprattutto quando centinaia di migliaia di tuoi colleghi hanno perso il posto a partire dalla scorsa, terribile estate.
Nessuno ormai parla più del tanto reclamizzato MLEC, il sogno presto trasformatosi in incubo partorito dalla fervida mente di Henry Paulson, un uomo che davvero una ne fa e cento ne pensa e che pensava di aver trovato l'uovo di Colombo nella progettazione di quel Conduit dei Conduit, o SIV dei SIV se si preferisce, coinvolgendo in una torrida domenica di settembre nel progetto tre delle trenta banche che aveva interpellato, banche come Citigroup, J.P. Morgan Chase e Bank of America, che, poi, pressate ognuna dai propri e giganteschi guai, hanno preso strade diverse nel percorso, mettendo al contempo una bella pietra sullo sfortunato progetto del ministro dell'Economia statunitense.
Non penso di andare lontano dal vero, prevedendo che anche l'altra grande pensata di Paulson, dall'altisonante denominazione di Hope Now, non sia destinata a prendere il volo, anche perché per ora i tanto reclamizzati call center che avrebbero dovuto dare speranza ai tormentati mutuatari, almeno secondo i resoconti di giornalisti cattivissimi, o non rispondono o forniscono notizie del tutto fuorvianti.
D'altra parte, tra poche settimane inizia quel grande rodeo che è la corsa per la nomination in campo democratico e nel più depresso campo repubblicano, in entrambi i casi con i candidati pronti a sbranarsi l'uno con l'altro, ma quasi del tutto unificati da un solo e semplice concetto: stai dalla parte della gente in difficoltà e schierati contro quel concentrato di avidità e spregiudicatezza rappresentato da un settore bancario e assicurativo per di più sempre meno made in USA.
Sul versante delle banche centrali, impegnate ormai ogni giorno a inondare di liquidità un mercato interbancario che, almeno a giudicare dai tassi, sembra sempre più come un malato a cui non fanno più effetto gli antibiotici, non desta stupore la valutazione un po' sconsolata espressa ai piani alti del grattacielo di Francoforte che ospita la sede della Banca Centrale Europea dopo la più grande iniezione di liquidità mai effettuata in un solo giorno a memoria d'uomo (348 miliardi di euro, pari a 500 miliardi di dollari), una valutazione che non può fare a meno di notare quello che tutti hanno già notato e, cioé, che la febbre non scende a dispetto delle dosi massiccie prevista dalla terapia dei dottori templari.
Sono settimane che gli osservatori più attenti avvertono che il pericolo viene certamente dal settore bancario, ma che non vi è emissione di titoli della finanza strutturata che non sia stata garantita in passato dalle più importanti aziende specializzate nel fornire tale tipo di garanzie, entità che vivono del rating loro assegnato e che oggi stanno letteralmente tremando, vedi il caso recente di MBIA, il colosso assoluto del settore negli USA, che è stramazzata dopo l'annuncio di un possibile downgrade che, solo per dirne una, potrebbe portare al default 3 mila comuni, molte contee e addirittura qualche stato di quel grande paese che sono gli Stati Uniti d'America.
Rispondo in anticipo alla più che prevedibile obiezione al quadro che ho appena delineato, basata sull'apparente schizofrenia del mercato azionario, in particolare di quello statunitense, un mercato che sembra impegnato a vedere solo le notizie buone e a scartare quelle cattive, giudicando, ad esempio, buono il balzo in avanti in novembre delle spese personali USA, non pensando a quelle centinaia di milioni di zip zip delle carte di credito che hanno finanziato tali acquisti, proprio quelle carte di credito che evidenziano un outstanding a livelli mai registrati nella storia statunitense di tutti i tempi.
Anche perché, a meno di credere che la Cina e gli altri paesi asiatici o gli investitori arabi abbiano l'intenzione di investire una parte molto rilevante dei loro cospicui tesoretti per fornire tanto di quel capitale alle banche statunitensi ed europee da evitare a queste ultime di tagliare il credito nell'ordine dei previsti 6-8 mila miliardi di dollari, è difficile che da questa tempesta perfetta si possa uscire prima che la realtà, per quanto dura e cruda, abbia preso il posto dei sogni e delle chimere di Paulson, Bernanke, Trichet e compagni.

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