venerdì 1 maggio 2009

Obama decreta l'impoverimento dei bondholders!

Non ho la benché minima intenzione di commentare l’annuncio solenne fatto dal nuovo inquilino della casa Bianca sullo ‘storico’ accordo tra la tecnicamente fallita casa automobilistica statunitense Chrysler e la Fabbrica Italiana Automobili Torino, un argomento che mi appassiona ancora meno della influenza suina che, pure, stando a persone molto più esperte di me in materia, potrebbe esercitare effetti quasi devastanti in una fase recessiva come l’attuale, in particolare se dovesse rivelarsi quella pandemia che molti temono.

Ma vi è una frase fuggita dal seno di Barack Obama che mi tocca proprio commentare ed è quella riferita ai poveri possessori di obbligazioni della Chrysler che proprio non se la sono sentita di accettare i sacrifici loro proposti, un atteggiamento stigmatizzato da Obama con severità davvero degna di miglior causa, anche perché i piccoli creditori della un tempo potente casa automobilistica non hanno davvero nessuno dei significativi motivi che hanno spinto le maestranze sindacalizzate e le maggiori banche statunitensi a sottoscrivere le più o meno pesanti condizioni loro imposte dai bravissimi negoziatori della difficile partita, una decisione certamente sofferta ma che è spiegabile per i primi con la necessità di mantenere il posto di lavoro, mentre le seconde non sono proprio nella condizione di dire di no ad una amministrazione che, in perfetta sintonia con quella precedente, li sta salvando senza chiedere poi molto in cambio dell’immane sforzo chiesto ai contribuenti americani!

Non credo sia assolutamente giusto, quindi, equiparare i ‘sacrifici’ dei dipendenti e dei colossi del credito con quel taglio di oltre il 70 per cento chiesto a persone più o meno comuni che hanno avuto l’unico torto di fidarsi delle promesse che il nucleo di locuste raccolte attorno al celebrato marchio di Cerberus, il private equity che ha fatto davvero carte false per appropriarsi e poi debitamente spolpare Chrysler, promesse peraltro rafforzate dalle tante banche a stelle e strisce o straniere che quei bonds hanno provveduto a collocare tra i risparmiatori americani, spesso coincidenti con quelle donne e quegli uomini che in questi ventuno mesi di tempesta perfetta hanno perso la casa, il lavoro e, in non pochi casi, entrambi e a cui ora viene anche chiesto di rinunciare a poco meno dei due terzi in una forma di investimento che ritenevano in buona fede fosse del tutto sicuro.

Poiché sono finalmente riuscito a mettere le mani su una delle pochissime copie scampate al ‘rogo’ imposto da Enrico Cuccia e company del bel libro di Fabio Tamburini dedicato alla storia del banchiere oramai scomparso, “Un siciliano a Milano”, Longanesi editore, vorrei chiarire i motivi che vedono la nuova amministrazione statunitense così propensa ad accogliere a braccia aperte la proposta non proprio generosa, né tanto meno splendida, della FIAT, una disponibilità che viene davvero da lontano, dai saldi rapporti esistiti tra l’Avvocato e le dinastie dei Rockfeller e dei Rothschild, due casate certamente molto, ma molto diverse tra di loro, ma unite da una visione del mondo che vedeva la necessità di unire le forze al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico per fare argine alla minaccia derivante dall’Unione Sovietica, una visione strategica che consentì la nascita, all’inizio del secolo scorso del National Council for Foreign Relations, un organismo privato che rappresentò un’insostibuile fucina di donne e di uomini destinati ad altissimi incarichi sia nel settore privato che in quello pubblico, ma che poi si articolò anche in organismi sovranazionali quali la Trilateral Commission e il Bildberg Group, due club davvero esclusivi e che hanno visto la presenza di un numero davvero ristretto di rappresentanti italiani, una presenza spesso non del tutto proporzionata all’incarico pro tempore ricoperto dalla persona chiamata a partecipare ad incontri annuali che si svolgono rigorosamente a porte chiuse e alle quali sono ammessi solo giornalisti amici!

L’accordo raggiunto in extremis tra la Chrysler e la FIAT non impedirà, tuttavia, un rapido passaggio della casa automobilista americana attraverso le procedure previste dal Chapter 11 della legge fallimentare statunitense, un passaggio che dovrebbe durare tra i 30 e i 60 giorni, mentre nulla è dato di sapere sui tempi di permanenza previsti per la General Motors mentre sembra certo che i detentori di obbligazioni di GM si siano oramai rassegnati a tramutare quei pezzi di carta pressoché privi di valore in azioni ordinarie della maggiore casa automobilistica americana, una scelta quasi del tutto obbligata alla luce dell’ammontare dello stock di bonds, cifrabile in qualche decina di miliardi di dollari che nessun piano governativo ha mai previsto di rimborsare in maniera adeguata.

Come ho avuto modo di ripetere in più di una puntata del Diario della crisi finanziaria, la soluzione prevista per i detentori di titoli rappresentativi del debito delle due case automobilistiche statunitensi è segnaletica di un orientamento che vede i governi dei maggiori paesi industrializzati, le rispettive banche centrali e i regolatori di ogni ordine e specie molto, ma molto determinati a scaricare il peso maggiore dei devastanti effetti della tempesta perfetta sui detentori dei titoli più o meno tossici della finanza strutturata (ma anche di quella tradizionale) sui detentori degli stessi, nonché, per quanto servirà, sulle spalle degli incolpevoli contribuenti, non sempre lasciando ai primi la possibilità di spostare, attraverso la conversione delle obbligazioni in azioni ordinarie, la posta sul numero della roulette coincidente con l’azienda debitrice!

Rispondo in anticipo alla prevedibile obiezione alla realizzabilità di questo disegno e che è data dalla certa evaporazione della fiducia degli investitori/risparmiatori derivante da questa sorta di esproprio di ricchezza individuale, una obiezione certamente sensata e ragionevole, ma che non tiene conto del fatto che la temuta evaporazione della fiducia è oramai largamente avvenuta e sia i governi che le banche centrali, così come i vertici delle maggiori entità protagoniste del mercato finanziario globale, sanno benissimo che per un periodo assolutamente non breve il mercato continuerà a essere del tutto congelato.

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo www.flipnews.org . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog