venerdì 10 luglio 2009

Anche per il leone di Omaha, Warren Buffett, adesso serve un altro piano!


Dopo i leaders degli otto maggiori paesi industrializzati, riuniti in quel dell’Aquila in un alquanto surreale riunione del G8 che ieri si è allargata a G14, anche il Leone di Omaha, Warren Buffett, si dice convinto che servirà proprio un secondo stimolo alla molto malmessa economia a stelle e strisce (in realtà, si tratterebbe del quarto, includendo, come è doveroso, le due maxi elargizioni disposte a suo tempo da George W. Bush), una convinzione che sta diventando piuttosto generalizzata sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico, senza che nessuno senta però il bisogno di spiegare perché sia necessario procedere a nuovi e presumibilmente massicci interventi pubblici mentre non sono ancora stati utilizzati i 787 miliardi di dollari stanziati nell’ottobre dell’anno scorso a valere sul 2009 e il 2010.

Non voglio infierire, ma non posso esimermi dall’aggiungere che essendo, almeno secondo la maggior parte dei proponenti la nuova pioggia di aiuti pubblici, il peggio della tempesta perfetta oramai alle spalle, i governi e le banche centrali, in particolare quel sistema della riserva federale che ha fatto in questi ventitré mesi di tutto e di più, non si siedano tranquillamente sulla riva del fiume a vedere i risultati dei loro sforzi assolutamente senza precedenti e che, tra somme impiegate e impegni, superano largamente i 20 mila miliardi di dollari!

Mi stupisce che, dopo le legnate prese in questi poco meno di due anni, i decision makers del pianeta non abbiano ancora capito che non vi è nulla di peggio che fare discorsi del genere, non fosse altro che per il semplicissimo motivo che gli stessi inducono gli operatori e gli investitori, soprattutto quelli più anziani e per questo un po’ più esperti, a pensare che vi sia sotto qualcosa che è noto ai vertici politici ed economici, ma che non può essere divulgato attraverso i normali mezzi di comunicazione perché innescherebbe ondate di panic selling.

Spero almeno che Buffett abbia approfittato degli ultimi scampoli della corsa dell’orso per esercitare le opzioni per 5 miliardi di dollari che gli consentivano di acquisire azioni della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs al prezzo di 115 dollari per azione, conseguendo, almeno ai corsi toccati una settimana fa, un guadagno del 30 e rotti per cento, realizzati, per di più, nell’arco di soli nove mesi e che sarebbe musica per le orecchie di quei tanti piccoli investitori che continuano a credere nelle sue virtù taumaturgiche, ma che sono reduci da un anno che non è stato dei più felici per il valore delle loro quote nella Berkshire.

Come scrivevo nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria, il prezzo del petrolio non ha perso molto tempo a sfondare l’importantissima soglia psicologica dei 60 dollari al barile e si è portato poco al di sopra dei 59 dollari, in calo di poco meno del 20 per cento nel giro di poco più di una settimana, una brusca inversione di tendenza in quello che forse resta il mercato più speculativo del mondo e che potrebbe, proprio per il prevalere delle posizioni finanziarie rispetto a quelle industriali, innescare un vero e proprio si salvi chi può, come del resto è accaduto nell’estate del 2008 poco dopo che era stato toccato il massimo storico a 147 dollari al barile.

Il licenziamento del Chief Financial Officer di Citigroup e presidente di Citi Holdings, Gary Crittenden, potrebbe precedere di poco l’uscita più annunciata dell’anno, quella del Chief Executive Officer, Vikram Pandit, un banchiere che aveva acceso molte speranze quando prese il posto del povero Chuck Price III, ma che da mesi era definito dai bene informati sulle intenzioni del Tesoro e della Casa Bianca un ‘dead man walking’!