domenica 19 luglio 2009

Ma cosa è davvero Goldman Sachs? (quarta e ultima parte)


La vasta e fittissima rete di relazioni intessuta negli ultimi decenni da Goldman Sachs nei cinque continenti ha raggiunto negli ultimi tempi dimensioni inedite e tali da consentirle, forse unico caso tra le pur potentissime multinazionali della finanza e dell’industria, una capacità di influenza tale da non rendere del tutto ipotetica o fantasiosa l’idea che sia finita per essere una sorta di luogo di compensazione di interessi tra di loro apparentemente contraddittori, così come si presta a essere un’istituzione molto più efficace e rapida nel suo agire di consessi quali la commissione trilaterale o il gruppo Bildberg che, al confronto, finiscono per assomigliare di più a raduni di ex alunni di scuole prestigiose ed esclusive che a quella sorta di governo planetario cui vorrebbero più o meno dichiaratamente assomigliare.

Per fare qualche piccolo esempio della capacità che la banca statunitense ha di condizionare o, quanto meno, di influenzare le scelte dei governi e delle autorità monetarie in patria e altrove nel mondo, mi soffermerò brevemente sul caso italiano, sulla rete di riferimento di Goldman negli USA nei poco meno di due anni trascorsi dall’avvio della tempesta perfetta e nella davvero emblematica vicenda del salvataggio della AIG, chiarendo sin d’ora che si tratta solo di squarci, a volte casuali, di un velo molto fitto che avvolge l’operatività complessiva della banca.

Per quanto riguarda l’Italia, non è un mistero l’attribuzione di una consulenza prima a Romano Prodi e poi a Gianni Letta, in entrambi i casi quando i due erano liberi da impegni di Governo, mentre ancora più emblematica è la parentesi svolta da Mario Draghi al vertice della presenza di Goldman in Europa e nel comitato esecutivo globale della banca, una parentesi che si è collocata tra la fine del suo impegno decennale come Direttore Generale del ministero del Tesoro con delega sulle privatizzazioni e che si è conclusa con la sua nomina a Governatore della Banca d’Italia e alla successiva assunzione della guida di quel Financial Stability Forum, poi allargatosi e trasformatosi in Financial Stability Group, cui è stata affidata dal G8 e dal G20 la riscrittura delle regole da applicare alla finanza globale, ma è altrettanto nota la presenza diretta o in via consulenziale di uomini Goldman sia nei governi presieduti da Prodi che in quelli guidati da Berlusconi.

Per dare un’idea della presenza di Goldman nell’amministrazione USA, anche in questo caso senza differenza alcuna tra amministrazioni democratiche e repubblicane, non basterebbe un libro, per cui mi limiterò a citare il caso degli ex ministri del Tesoro Robert Rubin e Hank Paulson (nonché di tre dei quattro vice di quest’ultimo), dell’ex presidente del New York Stock Exchange e poi esecutore testamentario di Merrill Lynch, John Thain, così come non si contano gli ex uomini di vertice di Goldman passati a guidare le principali banche e compagnie di assicurazione statunitensi o alla guida delle presenze statunitensi di banche e compagnie di assicurazioni basate altrove.

Mentre nulla si sa di come trascorra le sue giornate il ‘soldato’ Paulson dopo la fine del suo intensissimo impegno al vertice del dicastero del Tesoro, molto si discute sulla sua decisione di porre al vertice della di fatto nazionalizzata AIG Edward Liddy, un uomo che ha percorso quasi tutti i gradini della scala gerarchica in Goldman Sachs e che da poco si godeva una meritata pensione dopo aver guidato una compagnia di assicurazione e che non ha potuto esimersi dall’accettare la richiesta pressante di Hank in cambio di uno stipendio da un dollaro l’anno, ma che già sta meditando l’uscita dopo aver garantito in poche settimane il rimborso pressoché integrale in favore delle banche statunitensi e straniere, Goldman ovviamente in testa, che hanno ricevuto buona parte dei 180 miliardi di dollari ricevuti da quel TARP fortemente voluto dallo stesso Paulson.