martedì 21 luglio 2009

Doppio messaggio di Geithner alle banche USA!


Esauritasi quasi del tutto la nuova ondata della tempesta perfetta iniziata a metà dello scorso mese di giugno e rientrata in coincidenza con le prime sedute della scorsa settimana, i corifei della ripresa sempre dietro l’angolo hanno nuovamente ripreso a intonare i loro mantra ispirati a un ottimismo alquanto di maniera, anche perché basta mettere ordinatamente in fila le criticità vecchie e nuove per comprendere agevolmente come nessuna di queste sia stata non dico risolta, ma neppure aggredita nelle sue cause più profonde, una constatazione forse amara ma che riguarda il persistente meltdown immobiliare, sia nel comparto residenziale che in quello commerciale, il settore del credito, in particolare nelle sue componenti meno volatili, per non parlare della produzione industriale e dell’occupazione, entrambi giunti a livelli così bassi come non se ne vedevano da decenni.

Poco importa agli analisti e ai commentatori più embedded che nel fine settimana siano state chiuse altre banche statunitensi, una chiusura di saracinesche che ha coinvolto entità basate in almeno tre Stati, o che la CIT Company, una finanziaria trasformatasi alla fine dello scorso anno in holding bancaria solo per ricevere 2,3 miliardi di dollari dal TARP, non fallirà soltanto perché i suoi maggiori creditori, Pimco in testa, hanno deciso di trasformare i bonds in loro possesso in una linea di credito a più lunga scadenza al non proprio amichevole tasso di interesse del 10,5 per cento, una condizione alquanto vessatoria e che la dice lunga sull’effettivo stato di salute di CIT che, almeno in teoria, sarebbe abilitata a rifornirsi di fondi offerti dal sistema della riserva federale a un tasso che oscilla tra lo zero e lo 0,25 per cento.

Più di un brivido è corso per la schiena dei fruitori di media radiofonici e televisivi con sede al di fuori degli Stati Uniti d’America, perché in molti notiziari la notizia del possibile fallimento di CIT è stata data definendola Citi Group, un errore anche comprensibile vista la somiglianza degli acronimi, ma che ha fatto pensare che stesse fallendo una banca che ha un total assets che supera di enne volte i 75 miliardi di dollari della povera CIT, anche se va detto che ai finanziamenti di questa tutt’altro che trascurabile entità è legata la sopravvivenza del milione di grossisti e dettaglianti che la utilizzavano come la propria banca principale.

Al di là degli equivoci, la vicenda della CIT Company ha assunto un’importanza che va molto al di là delle sue dimensioni e delle stesse conseguenze derivanti dal suo, almeno fino alla tarda serata di domenica scorsa, scontato fallimento, in quanto è stata l’occasione per il nuovo ministro del Tesoro USA, Timothy Geithner, per dire che si voltava pagina rispetto agli interventi di ogni ordine e dimensione effettuati dal suo predecessore Hank Paulson e da Bernspan, un cambiamento di rotta che ha avuto il suo peso nell’ammorbidire i maggiori creditori di CIT che sapevano benissimo di avere tutto da perdere e ben poco da guadagnare costringendo i vertici della compagnia a varcare la soglia del tribunale fallimentare!

Poiché Geithner è giovane e ambizioso, non credo proprio che la nuova dottrina del Tesoro potrà non essere applicata alle banche di maggiori dimensioni, le stesse che, come già fecero nel caso di Lehman Brothers, stavano già chiudendo i rubinetti alla povera CIT, non distinguendo sempre tra finanziamenti e disponibilità proprie della entità concorrente depositate presso di loro, così come credo che Tim, ma da qualche giorno anche Larry Summers, stia mettendo in guardia il gotha bancario a stelle e strisce rispetto alla strana idea che un rimborso parziale dei finanziamenti pubblici ricevuti consenta loro di riprendere a distribuire bonus come e più di prima!