martedì 5 aprile 2016

Il ritorno del sarto di Panama


Credo proprio che, se avessero visto attentamente il film Il sarto di Panama, Putin, il premier cinese e tanti altri potenti della terra che hanno fatto ricorso ai servigi di un importante studio legale panamense per occultare parte delle loro più o meno ingenti ricchezze ci avrebbero pensato almeno due volte prima di scegliere questa parte del mondo.

Di paradisi fiscali, liste più o meno nere e di stati canaglia abbiamo sentito parlare tante volte, ma, come ricordavano ieri alcuni valenti economisti, raramente, io direi mai, dalle roboanti promesse di fare pulizia e di recuperare l'ingente maltolto dell'evasione fiscale che così spesso è alla base della costruzione di queste scatole societarie infarcite di prestanome dove è difficile risalire al nome del beneficiario ultimo si è passati ai fatti.

Stavolta a essere beccati con le mani nella marmellata sono i clienti di questo rinomato studio legale basato in quel di Panama ma con studi associati in decine di paesi e sempre per colpa di un dipendente infedele che, forse per lucro o per altri insondabili motivi, ha passato alla Suddeutsche  Zeitung un milione di documenti racchiusi in 2,3 terabyte di informazioni, documenti che il giornale tedesco ha poi condiviso con altre decine di testate nel mondo e tutti insieme questi organi di informazione che fanno parte di un network di giornalismo investigativo hanno messo negli scorsi mesi al lavoro oltre trecento giornalisti che hanno lavorato in tandem sui nomi più importanti mentre hanno operato singolarmente sui nomi dei clienti dei rispettivi paesi.

Sia chiaro, non è, come ha ricordato il caporedattore de L'espresso, la testata che sta svolgendo il lavoro sui circa 800 italiani che hanno costituito società off shore a Panama, che si sia partiti da liste di nomi, anche perché in non pochi casi si tratta di prestanomi, ma si è dovuto "lavorare" ogni singolo fascicolo per risalire ai reali beneficiari della società, un lavoro certosino che ha però alla fine dato i suoi frutti.

Nell'epoca della globalizzazione della finanza non è un reato portare dove si voglia i propri capitali ma c'è il piccolo particolare che tali movimenti vanno denunciati al fisco del paese di appartenenza del singolo investitore, un adempimento al quale si sono sottratte a quanto pare, tutte le persone coinvolte in questa vicenda. Dopo il clamore della notizia, ieri è stata l'ora delle smentite, alcune molto veementi e indignate, ma i giornalisti ricordano che hanno a disposizione i mandati firmati da tutti i reali beneficiari ultimi!

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