martedì 19 aprile 2016

La corsa dell'orso del prezzo del petrolio


Come era largamente prevedibile, il vertice dell'OPEC di Doha di domenica scorsa si è chiuso senza un accordo e il petrolio e le altre materie prime energetiche hanno pagato prezzo già all'apertura dei mercati in Asia lunedì mattina, con il WTI, che nelle settimane precedenti aveva ritrovato un miracoloso prezzo di qualcosa di più di 42 dollari al barile, risprofondato verso la soglia dei 38 dollari, per poi ritornare a 40 dollari al barile, ma di strada, con il passo del gambero, ne dovrà fare ancora tanta e l'unica speranza sarà quella della vacillante offerta di petrolio statunitense, stretta tra chiusure di giacimenti e ricorsi di compagnie a stelle e strisce alla protezione dell'accomodante legge fallimentare in vigore negli Stati Uniti d'America.

Sembra proprio che i nodi al pettine della crescita mondiale, ieri parlavo del contributo dell'anemica crescita cinese (ovviamente per gli standard cui quel paese ci ha abituato in questi anni) alla possibile stagnazione secolare secondo la recente definizione del Fondo Monetario Internazionale, e già oggi vi sto tediando con la bolla scoppiata del prezzo del petrolio in virtù di un mancato accordo di cartello tra i produttori, flop peraltro largamente previsto dalla potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, una banca globale che di petrolio ha dimostrato davvero di intendersi, come quando guidò, via derivati, la carica che portò il greggio al prezzo record di 143 dollari al barile, per poi girare opportunamente le proprie posizioni per guidare il ritorno quasi repentino a quotazioni che non si discostavano dai 40 dollari al barile e guadagnò una montagna di soldi sia in una direzione che nell'altra!

Del resto, che le cose a Doha si stessero mettendo male lo si è capito quando si è saputo che la delegazione iraniana al tanto strombazzato incontro sarebbe stata guidata da un funzionario e non dal ministro del petrolio di quel paese, un malcapitato che ha potuto solo ribadire che l'Iran non avrebbe accettato nessun incontro fino a  che il paese non avesse recuperato la produzione ante sanzioni del 2011, il che significa in soldoni che intende porre sul mercato una produzione aggiuntiva pari all'attuale sbilancio che vede l'offerta superare la domanda per 1-2 milioni di barili al giorno e ai presenti non è restato che prendere atto di una situazione che non rendeva possibile nessun accordo a meno di un sacrificio forte da parte dell'Arabia Saudita e di altri importanti produttori arabi, né era pensabile che venissero in soccorso altri disastrati produttori fuori del cartello, come la Russia di Putin o il Venezuela del traballante Maduro.

In questa terza ondata della tempesta perfetta, ogni elemento si tiene con l'altro e, già a partire da questa settimana, dovremmo assistere a una nuova corsa verso i "beni" rifugio, quali l'oro, il franco svizzero e i titoli di stato di Germania e Stati Uniti, facendo tendere i rendimenti del Bund tedesco ancor più verso lo zero!

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