giovedì 9 ottobre 2008

Dalla lack of governance alla panic governance!


Dopo la più che evidente lack of governance dei fenomeni complessi legati all’operatività dei mercati finanziari sia a libello nazionale che globale, quella a cui stiamo assistendo nelle ultime convulse settimane, ma ancor di più negli ultimi giorni, rappresenta un classico caso di panic governance, con i governi e le banche centrali dei maggiori paesi industrializzati che si muovono come uno sciame di api impazzite, guidate dall’ineffabile duo Paulson-Bernspan che ha avviato una vera e propria raffica di misure da stato di guerra dall’approvazione di venerdì scorso del mega piano di salvataggio delle banche da 700 miliardi di dollari, a inondazioni di liquidità da 900 miliardi al giorno, dalla decisione di sostituire la Federal Reserve alle banche ed agli investitori come compratrice di commercial papers, al taglio coordinato con altre sei banche centrali di entrambi i tassi di riferimento, quello sui Fed Funds ed il tasso ufficiale di sconto, che, per fare prima, sono stati portati entrambi al risibile 1,5 per cento, con un taglio, rispettivamente, dello 0,5 e dello 0,75 per cento.

Pur esprimendo la sua più totale comprensione e solidarietà nei confronti delle sette consorelle, la Bank of Japan si è dovuta sottrarre alla mossa concertata e comunicata alla stessa ora, le 13,00 italiane, in quanto, applicando la misura concordata, avrebbe portato il suo tasso di riferimento a zero, ma ha comunque fatto la sua parte, inondando stanotte il più che riottoso sistema finanziario del Sol Levante, misura che è servita a far recuperare al Nikkey 225 qualcosa delle rilevantissime perdite registrate nel corso della drammatica seduta precedente.

Nel frattempo, prosegue la corsa a promettere quello che tutti sanno non potrà essere in alcun modo mantenuto e, cioè, la totale rimborsabilità a pié di lista dei depositi bancari a prescindere dal loro ammontare e dalla eventuale simultaneità dei crack bancari che nessuno, ovviamente, si augura, ma che nessuno, altrettanto ovviamente, può escludere, non fosse altro che per il grado strettissimo di interrelazione esistente tra le banche attraverso il sempre più asfittico mercato interbancario, una promessa ripetuta ieri in modo generico da Silvio Berlusconi nella sala di palazzo Chigi dedicata alle comunicazioni ai media e, non del tutto a caso, ripetuta poche ore dopo nel teatro romano che ospita gli spettacoli della compagnia comica del Bagaglino.

Più concreti ed ambiziosi gli obiettivi esplicitati ieri dal trio costituito da Gordon Brown, dal suo Cancelliere dello Scacchiere e da quel King confermato alla guida della Bank of England nonostante la sua gestione molto pasticciata del caso Northern Rock, banca poi nazionalizzata ante litteram, in quanto almeno questi hanno messo sul piatto qualcosa come 500 miliardi di sterline, che verranno spese in piccola parte (50 miliardi) per ricapitalizzare i primi ed un po’malandati otto istituti di credito basati nel Regno Unito (Hong Kong Shanghai Banking Corporation, Abbey, HBOS, Lloyds TSB, Barclays, Royal Bank of Scotland e Standard Chartered), peraltro non tutte di proprietà britannica, 200 miliardi di sterline serviranno ad aumentare le possibilità di rifinanziamento delle banche da parte della BoE, mentre altri 250 miliardi di sterline serviranno a garantire nuovi debiti a breve ed a lungo termine emessi dalle banche.

Mentre tutti i governanti europei esprimono in privato la loro condanna della mossa del governo irlandese che ha garantito i 400 miliardi di euro di depositi bancari esistenti presso le banche di quel paese, senza peraltro escludere i depositi successivi alla data del provvedimento e provenienti da clienti di altri paesi, mossa che ha costretto, seppur con una varietà di modalità e di approcci, tutti o quasi gli altri governi europei a fare quella che il professor Luigi Spaventa ha definito una “fragile promessa”, credo proprio che, almeno stando alle numerose telefonate che, come tutti, sto ricevendo, il risultato più probabile che queste improvvide decisioni hanno sortito sia stata quella di aumentare nei già spaventati risparmiatori/investitori europei la convinzione che i loro governanti siano in possesso di chissà quali informazioni, il che, ovviamente, contribuisce ad incrementare le loro ansie ed i loro più o meno fondati timori!

D’altra parte, basterebbe pensare al fatto che l’inedita decisione della Federal Reserve, della Banca Centrale Europea, della Bank of England, della Bank of Canada, della Banca Centrale Svizzera e di quella svedese di operare in contemporanea il taglio di mezzo punto dei rispettivi tassi di riferimento, cosa che non era avvenuta neanche dopo i tragici fatti dell’11 settembre del 2001, non ha sortito in alcun modo gli effetti sperati, in quanto, dopo una iniziale e moderata euforia, i listini azionari di tutta Europa sono andati a picco, cosa che poi si è verificata anche a Wall Street, dove, dopo diversi tentativi di rimbalzo dal tonfo della seduta precedente, ha dovuto arrendersi all’evidenza e registrare l’ennesimo segno rosso nei valori che indicano la chiusura dei tre principali indici azionari statunitensi, tutti oramai al di sotto di soglie psicologiche che avrebbero dovuto rappresentare quello, che nell’orribile gergo degli analisti tecnici, quelli che vengono definiti fortissimi supporti degli indici medesimi, con quel che, sempre secondo l’analisi tecnica, inevitabilmente ne consegue nel breve e nel medio periodo.

Non credo che alla base della pessima reazione dei mercati alla raffica di decisione delle banche centrali e dei governi di mezzo mondo vi siano le interviste a raffica di quel Nouriel Rubini che, dopo essere stato per lungo tempo dileggiato dai media statunitensi con l’appellativo di Dr. Dome, è ora l’economista più corteggiato del pianeta e che, proprio ieri, prevedeva due anni di recessione e la possibilità che il Dow Jones 30 possa nel giro di pochi mesi portarsi nell’area dei 7 mila punti, esattamente la metà del suo massimo storico, segnato, ironia della sorte, a tre mesi dall’avvio della tempesta perfetta, anche perché ho l’impressione che da qualche tempo gli analisti e gli operatori siano divenuti più pessimisti della ex Cassandra.

Ritengo, invece, molto più probabile che stiano pesando le ultime stime sull’economia mondiale e su quella dei singoli paesi industrializzati, nonché l’ultima stima sulle perdite legate alla tempesta perfetta suddivise per arre geografiche, rese note dagli economisti del Fondo Monetario Internazionale, un’istituzione che, almeno da quando a dirigerla è stato chiamato il francese Dominique Strauss Kahn, è divenuta molto meno reticente e prona ai desiderata dei governanti di Washington di quanto si sia dimostrata in passato, il che non può che far piacere a chi crede in un’informazione economica almeno decente!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.