venerdì 24 ottobre 2008

I banchieri italiani salgono sulle barricate contro i progetti di Draghi e Tremonti!


Il vero e proprio processo intentato da alcuni senatori nei confronti del Maestro Alan Greenspan, forse gli stessi senatori che il mentore di Bernspan aveva incantato per diciannove anni nelle sue due apparizioni annuali in quelle stesse aule raccontando loro quel suo verbo neoliberista ed avverso ad ogni forma di regolamentazione e deliziandoli con le sue enigmatiche risposte alle loro domande, rappresenta veramente il brusco mutamento del clima di opinione negli Stati Uniti d’America, nonché la conseguenza palpabile degli effetti disastrosi di una tempesta perfetta che ha mandato i frantumi i pilastri fondanti dell’American Dream.

Molto furbescamente, l’ex previsore di banche di investimento e clarinettista mancato ha ammesso solo quello che non era possibile non ammettere, spiegando che forse avrebbe dovuto approfondire meglio alcune sue inquietudini sulla capacità di un mercato bellamente lasciato a sé stesso di prezzare correttamente il rischio, così come ha ammesso il suo errore di sottovalutazione dei rischi rappresentati dalla diffusione di uno strumento pericoloso quale il Credit Default Swaps, originariamente nato in funzione difensiva rispetto agli investimenti in strumenti del debito di emittenti di qualsivoglia natura, per poi trasformarsi, anche grazie al sonno profondo dei regolatori, in possibilità di ottenere guadagni speculativi indipendentemente dall’esistenza di un sottostante da proteggere.

Pur non essendo assolutamente in grado di prevedere quali saranno le nuove regole del gioco che verranno sottoposte il 15 novembre prossimo venturo all’approvazione dei vari G7, G10, G20 convocati a Washington, anche se il ringraziamento della Casa Bianca rivolto a Mario Draghi nella sua veste di presidente del Financial Stability Forum chiarisce al di là di ogni ragionevole dubbio chi le ha elaborate o le sta ancora elaborando, quello che è certo che alcune di queste nuove regole avranno lo scopo di disinnescare la mina rappresentata, appunto, dai Credit Default Swaps, un mercato, lo ricordo, cifrabile in alcune decine di migliaia di dollari, il che può avvenire in modo alquanto semplice e, cioè, impedendo al consiglio direttivo dell’ISDA di qualificare come default anche i salvataggi compiuti in extremis o le nazionalizzazioni, come è accaduto nei casi di Fannie Mae, Freddie Mac, Aig e via discorrendo.

Si tratterebbe dell’ennesimo cambiamento in corsa delle poche regole sopravvissute alla selvaggia deregolamentazione dei decenni passati, costituendo un’aperta violazione dei diritti contrattuali di quanti hanno sottoscritto i ponderosi volumi che riportano le condizioni alle quali vengono regolati i CDS, redatti a cura della stessa ISDA, ma questo, come le ripetute violazioni delle leggi in materia bancaria esistenti negli USA da parte di Bernspan e complici, è esattamente quello che accade quando si pongono i topi a guardia del formaggio, utilizzando l’immaginifica espressione utilizzata qualche mese fa dal per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti; ma, come risponderebbero Mario Draghi, Hank Paulson, Effe O Ixs (al secolo, il numero uno della Securities and Exchange Commission, nonché grande amico di Bush, Christopher Cox), quando il gioco si fa duro, i duri, cioè loro, entrano in campo e al diavolo le regole!

E’ soltanto in queste ultime settimane che, nei mercati azionari di tutto il pianeta, sta avvenendo quello che sarebbe dovuto accadere nell’estate-autunno del 2007, quando tutto era sufficientemente chiaro a chi aveva occhi per vedere ed orecchie per intendere, e, cioè, il ritorno dei listini a quei livelli di tre-cinque anni orsono che sono certamente più in linea, almeno per ora, con la situazione prodotta dagli alti marosi di una tempesta perfetta che si appresta a festeggiare, il 9 novembre prossimo, il suo quindicesimo anno di vita e mentre gli analisti e gli economisti più ottimisti prevedono che sia a metà della sua vita, mentre per i pessimisti come me è davvero ancora troppo presto per capire quando potremo finalmente dire che la crisi finanziaria più grave mai verificatasi può considerarsi come un fenomeno che abbiamo oramai alle spalle.

Le misure messe in campo in Italia a tutela delle banche e delle altre maggiori protagoniste del mercato finanziario nostrano sono, al di là della opportuna non quantificazione delle munizioni accatastate dal tesoro e dalla Banca d’Italia, molto ampie e sostanzialmente in linea con gli analoghi provvedimenti assunti dagli altri principali paesi europei e dagli Stati Uniti d’America, eppure le azioni dei principali gruppi bancari sono lì ogni giorno che passa a testare nuovi minimi, situazione che riguarda, in particolare, Unicredit Group, Intesa-San Paolo, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e qualche comprimaria, una situazione che fa capire anche ai più sprovveduti tra i nostri connazionali che qualcosa deve ancora accadere e che a questo qualcosa i vertici attuali delle maggiori banche italiane e l’Associone Bancaria Italiana stanno fieramente resistendo, mettendo in campo quel che resta del loro potere di influenzare le decisioni del Governo e della Banca d’Italia.

Non so se è vero quanto riportava ieri il quotidiano La Repubblica, che ha cronisti notoriamente di casa a Via Nazionale e, spesso, ospiti nei voli che portano il Governatore di turno verso i suoi impegni ufficiali, ma, se lo fosse, tutto diverrebbe molto, ma molto più chiaro, in quanto l’eventuale decisione, a quanto pare perfettamente condivisa da Tremonti e Draghi, di innalzare il TIER 1 dal 6 all’8 per cento, rappresenterebbe, per le autorità monetarie, il cavallo di Troia che consentirebbe loro di entrare in forza nel capitale delle maggiori banche italiane, imponendo quelle regolette che i banchieri nostrani vedono letteralmente come il fumo negli occhi, ma, e forse soprattutto, sconvolgendo gli equilibri più o meno precari esistenti tra gli attuali azionisti di riferimento, Fondazioni di origine bancaria in testa!

Per dare un’idea del fabbisogno in termini di patrimonio che si verrebbe a creare nei quattro gruppi bancari sopra citati, basti pensare che per passare dal 5,7 attuale al 6,8 obbiettivo è stato necessario, nel caso dell’istituto di Piazza Cordusio al momento diretto da Alessandro profumo, 6,6 miliardi di euro, una cifra che ha messo a durissima prova le casse della Fondazione Cariverona, della Fondazione CRT e degli altri principali azionisti di Unicredit Group, un aumento di capitale che ha facilitato il rastrellamento sul mercato da parte degli uomini del Colonnello Muhammar Gheddafi di un pacchetto complessivo del 4,2 per cento, nonché un posto certo nel Consiglio di Amministrazione della banca.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.