martedì 28 ottobre 2008

I banchieri statunitensi scendono dalle loro barricate dorate ed accettano l'ingresso dello Stato nel capitale delle banche!


Anche se non è servito a invertire la rotta di un mercato azionario che non è riuscito a sottrarsi agli effetti del crollo verticale registrato lunedì in importanti piazze asiatiche ed a quanto si è verificato in mattinata in Europa, è finalmente giunto l’annuncio del dicastero del Tesoro statunitense che rende noto a tutti che le fiere resistenze dei top bankers delle principali nove banche statunitense rispetto all’ingresso dei fondi federali per complessivi 125 miliardi di dollari e delle relative clausole sulle loro remunerazioni e un maggiore impegno nell’erogazione del credito all’economia erano svanite come neve al Sole e, quindi, l’operazione va avanti e si estende anche alle 20-22 banche regionali, due delle quali hanno già fatto ieri il loro outing, annunciando il raggiungimento di intese con il Tesoro per ricevere la loro parte della seconda tranche di 125 miliardi di dollari riservata da Paulson a questa tipologia di banche essenziali per i flussi di credito dalle stesse garantito alle imprese ed alle famiglie nelle rispettive aree geografiche di influenza.

Con questo annuncio, inoltre, viene chiarito che la parte dei 700 miliardi di dollari previsti dal piano di salvataggio riservata alla gestione del ministro del Tesoro facente capo all’amministrazione Bush è, di fatto, stata tutta impegnata, al netto dei 100 miliardi di dollari che il presidente oramai nelle ultime giornate di mandato pieno potrebbe stanziare in extremis, cosa che difficilmente avverrà senza un confronto sulle relative modalità di utilizzo con colui che sarà indicato dalle urne martedì prossimo, il quale non mancherà di sentire il parere del prossimo ministro del Tesoro, una carica per la quale si fanno i nomi di Paul Volker e del Leone di Omaha, Warren Buffett.

Non è di poco momento la considerazione che le cose sono andate in modo molto diverso da quanto aveva immaginato l’ex (?) banchiere di investimento opportunamente collocato dal giugno del 2006 al vertice di uno dei dicasteri più importanti dell’amministrazione Bush, soprattutto ove si consideri quanto era previsto nelle tre paginette tre da lui sottoposte ai leaders del Congresso, sicuro che, pur di evitare il rischio di un crollo sistemico dei mercati finanziari di tutto il mondo, non avrebbero scartato la carta del pacco ben confezionato che mirava esclusivamente a togliere le castagne dal fuoco delle maggiori banche statunitensi, inclusa, ovviamente, la potente e molto preveggente Goldman Sachs, acquistando, a prezzi del tutto fuori mercato, quei titoli della finanza strutturata che in larghissima parte loro stesse avevano confezionato nelle catene di montaggio funzionanti giorno e notte delle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, vendendoli agli investitori istituzionali, fondi pensione in primis, sia statunitensi che basati in tutti gli altri paesi del pianeta.

Ma il pacco avrebbe comunque trovato i suoi compratori, come in realtà è accaduto, seppur dopo qualche plateale colpo di scena e qualche regalo alle lobby di ogni ordine e grado per altri 150 miliardi di dollari, se non fosse entrato in campo il piano elaborato da un banchiere pentito ora membro pro bono del governo britannico e fatto proprio prima da un Gordon Brown a quel momento a picco nei sondaggi e poi dai suoi colleghi dell’eurozona, un piano che prevede stanziamenti multipli di quello previsto dal trio Bush-Paulson-Bernspan, ma che, soprattutto, aveva caratteristiche ben diverse, in quanto si prefiggeva lo scopo di effettuare interventi diretti nel capitale delle molto malmesse banche europee, ponendo precise e stringenti condizioni al management sopravvissuto alle eventuali, in parte già avvenute, epurazioni, garantendo, più o meno a piè di lista, i depositi e, per cinque anni, le emissioni obbligazionarie delle banche, a patto che venissero garantiti i livelli di finanziamento all’economia reale, il tutto nell’ambito di un processo di concentrazione delle principali banche europee, sotto l’accorta regia delle rispettive autorità monetarie.

L’annuncio di ieri fatto, non a caso, da un anonimo vice di Paulson e ripreso dalla oramai esausta Dana Perino, portavoce di Bush, mette il timbro ufficiale della conversione dei decision makers statunitensi folgorati sulla via di Londra, dando al piano europeo maggiori chance di riuscita, anche alla luce della nascita del piano di salvataggio asiatico da 80 miliardi di dollari partorito nel summit euro-asiatico svoltosi in quest’ultimo fine settimana di non riposo per i leaders mondiali.

Non del tutto a caso, proprio ieri il germanizzato Jean Claude Trichet a capo dei suoi neotemplari colleghi del board della Banca Centrale Europea, ha sentito il bisogno di annunciare che taglierà di nuovo il tasso di riferimento dell’area dell’euro il 6 novembre prossimo venture, e credo proprio che stavolta potrebbe decider di farlo in misura molto coraggiosa, anche perché prima di lui si muoveranno di nuovo Bernspan della Federal Reserve e King della Bank of England, le cui mosse daranno la misura della probabile entità del taglio che verrà operato dalla BCE.

Nel frattempo, ed anche in questo caso non del tutto a caso, lo yen giapponese ha preso il volo, quotando nella parte bassa dell’area dei 90 en per dollaro e rafforzandosi in modo del tutto significativo nei confronti dell’euro, della sterlina e di tutte le altre valute convertibili, in quanto è del tutto certo che non esistono margini per un taglio del tasso del risibile 0,50 per cento attualmente praticato dalla Bank of Japan, il che sta mettendo del tutto sotto pressione i carry traders, quelli che forse oggi stanno ancora peggio di quegli hedge funders apertamente minacciati da Paulson nel corso di una recente cena cui il ministro del tesoro USA ha partecipato con alcuni banchieri statunitensi, almeno secondo il racconto che ne ha fatto l’ex numero uno della oramai fallita Lehman Brothers, Dick Fuld.

Se qualcuno continua a sorprendersi per il vero e proprio crollo del prezzo del greggio e delle altre materie prime, derrata alimentari, stavolta, fortunatamente incluse, vuol dire che non ha capito proprio nulla di quello che era successo nel mercato dei derivati nei mesi scorsi, un tentativo malfatto e molto disperato delle banche e degli investitori istituzionali di rifarsi di almeno una parte delle ingentissime perdite capitalizzate, ed ancor più di quelle ancora da contabilizzare, derivanti dagli alti marosi della tempesta perfetta che non dà segno alcuno di diminuire la propria intensità pur essendo giunta al quindicesimo mese di una vita iniziata il 9 agosto del 2007, il giorno nel quale il magico mondo della finanza più o meno strutturata ha visto il cielo caderle addosso!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.