venerdì 17 ottobre 2008

Il Colonnello Gheddafi diventa il secondo azionista di Unicredit Group!


Mentre i tre maggiori hedge funds statunitensi si sono messi alla finestra e si limitano a gestire la loro liquidità tenendosi a debita distanza dall’azionario, i mercati di tutto il mondo hanno vissuto ieri l’ennesima giornata di passione, iniziata in Asia, con il calo record del Nikkei, di dimensione appena inferiore al balzo in avanti registrato martedì, proseguito in Europa, con flessioni del 5 per cento e più per i principali listini e conclusosi con l’ennesima seduta ad altissima volatilità a Wall Street, dove il Dow Jones ha perso oltre 300 punti sulle catastrofiche notizie provenienti dall’economia reale (con la produzione industriale USA in calo in settembre di poco meno del 3 per cento, un vero e proprio tonfo dell’indice della Fed di Philadelphia a -35 ed il sostanziale mantenimento dei livelli record di richieste di sussidi settimanali di disoccupazione), per poi rimbalzare nel finale ad incrementi cifrabili in poco meno di cinque punti percentuali, in linea peraltro con gli altri due listini principali di New York.

D’altra parte, anche la riunione di ieri dei capi di Stato e di governo dei ventisette paesi dell’Unione europea non ha potuto fare a meno di constatare che, pur avendo assunto, grazie al piano britannico, le misura atte a mettere in uno stato di relativa sicurezza il sistema bancario, gli effetti della tempesta perfetta hanno ormai raggiunto l’apparato industriale sempre più stretto tra un crescente credit crunch ed un sempre più evidente calo della domanda di consumi, cui ci si prepara giocoforza a rispondere con un forte incremente degli investimenti pubblici che, al di là delle scontate affermazioni di rito dei singoli commissari e dello stesso presidente Barroso, non potranno che mandare in soffitta il rigore sui parametri stabiliti a Maastricht per garantire i paesi forti dell’Unione nei confronti dell’ingresso dell’Italia ed altri paesi mediterranei nell’euro, ma oggi assolutamente inapplicabili, a meno di rendere la recessione già oggi pienamente in atto un fenomeno di lunga, se non lunghissima durata.

Tutto questo è nei prezzi delle azioni delle principali società europee, indipendentemente dal settore di appartenenza, riguardando più o meno allo stesso modo le banche, le compagnie di assicurazioni, le case automobilistiche e le altre imprese manifatturiere di ogni ordine e grado ammesse alla quotazione nei mercati regolamentati, anche se va aggiunto per onestà che molta strada verso il basso è ancora, purtroppo, da percorrere prima che si possa dire che si è raggiunto il pavimento di questa vera e propria discesa agli inferi dell’economia e della finanza globali, un tratto di strada che alcuni, peraltro i meno pessimisti, individuano in una flessione pressoché omogenea dei listini statunitensi ed europei, per quelli asiatici il discorso è certamente più complesso, nell’ordine almeno di un ulteriore 20-30 per cento in un orizzonte temporale che presumibilmente coprirà l’intero biennio 2009-2010, mentre i pessimisti si spingono anche molto oltre.

Vorrei che fosse chiaro ai miei lettori che non esistono precedenti che presentino analogie tali da consentire ad alcuno di avere certezze sulle dimensioni, l’intensità e, soprattutto, la durata della recessione già pienamente in corso, basti pensare ai diversi programmi di stop alla produzione di autoveicoli già adottati dalle maggiori case automobilistiche europee, ai programmi di concentrazione nello stesso settore negli Stati Uniti d’America, con un merger tra la General Motors e la Chrysler sempre più all’ordine del giorno, anche perché le facilitazioni da 25 miliardi di dollari varate a tempo di record dal congresso statunitense rappresentano davvero delle noccioline rispetto alle dimensioni della crisi delle tre principali case automobilistiche a stelle e strisce, come indirettamente evidenziato dalla rottura della soglia dei 70 dollari al barile registrato ieri su quel mercato del greggio che solo pochi mesi orsono toccava il record di 147 dollari ed era vista da revisori molto interessati a 200 entro Natale!

M ail maggior processo di concentrazione e di decimazione è quello in corso nel settore bancario sia al di qua che al di là dell’oceano Atlantico, un processo talmente veloce che è veramente difficile tenergli dietro e che ha visto, a solo titolo d’esempio, la scomparsa delle Investment Banks, rapidamente trasformatesi in banche normali, la scomparsa di marchi quali Bear Stearns, Lehman Brothers, Countrywide, Merrill Lynch (le ultime due entrambe assorbite da Bank of America), l’assorbimento di Wachovia Bank da parte di Wells Fargo, il fallimento di quindici banche, la nazionalizzazione di Fannie Mae, Freddie Mac e del colosso assicurativo AIG, ma non si scherza neanche in Europa, Gran Bretagna, ovviamente, compresa.

La nazionalizzazione decisa da Gordon Brown e dalle autorità monetarie di Northern Rock, HBOS-Lloyd TSB e Royal Bank of Scotland potrebbe non essere che l’inizio di un percorso al termine del quale l’intero gruppo delle principali otto banche potrebbe vedere lo Stato in posizione di azionista di maggioranza o di rilevante minoranza, mentre ,dopo l’acquisizione di buona parte di Fortis da parte di BNP Paribas, altri movimenti potrebbero avvenire in Francia, né è prevedibile che nulla in tal senso accada in germania, non fosse altro che per le ingentissime risorse messe a disposizione da Frau Merkel.

Più complesso, se possibile, il discorso che riguarda l’Italia, anche perché, dopo l’allarme lanciato dal primo ministro sui rischi derivanti da acquisizioni ostili derivanti dagli appetiti dei fondi governativi arabi ed asiatici, si è appreso ieri che due entità riconducibili al governo libico hanno moltiplicato per otto la loro partecipazione in Unicredit Group, acquisendo peraltro le azioni direttamente sul mercato ed a prezzi davvero stracciati (ma dove sarebbero finiti senza il miliardo di euro speso da Tripoli?), proiettando Gheddafi direttamente nella posizione di secondo azionista con il 4,2 per cento, dopo Paolo Biasi di Cariverona, con il 5 per cento, mentre entrambe le entità hanno già dichiarato di avere stanziato mezzo miliardo di euro in vista della ricapitalizzazione decisa di recente ed in seduta straordinaria dal consiglio di amministrazione dell’istituto di Piazza Cordusio.

Sarà interessante vedere se troveranno conferma le voci di ricapitalizzazione dell’altro grande gruppo tricolore, quell’Intesa-San Paolo che in sede di fusione decise, con il senno del poi alquanto improvvisamente, di restituire la bellezza di dieci miliardi di capitale giudicato eccessivo ai propri azionisti, voci che, per il momento, hanno affondato il titolo, mentre mancano notizie su quel che decideranno Draghi e Tremonti per il Monte dei Paschi di Siena!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.