martedì 27 gennaio 2009

Le banche europee alle grandi manovre!


L’inatteso recupero dei leading economic indicators elaborati dal Conference Board, saliti in dicembre dello 0,3 per cento mentre erano previsti in calo della stessa misura dal consensus degli analisti, il mega merger tra Pfizer e Wyeth da 68 miliardi di dollari, parte cash e parte carta contro carta, nonché il rialzo del 6,5 per cento delle vendite di case esistenti hanno consentito un deciso cambio dell’umore degli operatori e degli investitori che hanno spinto al rialzo i tre principali indici azionari statunitensi che avevano chiuso in modo misto la scorsa ottava e non lasciavano presagire nulla di buono per l’avvio della successiva.

E’ sempre vero che alla fine è anche una questione di fortuna e credo che il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America ne necessiti di parecchia per affrontare le ciclopiche sfide che lo attendono, anche se, guardato in controluce, il dato sulle vendite di case, forse quello psicologicamente più rilevante tra i tre avvenimenti enumerati di sopra, ha molto a che fare con il calo di oltre il 15 per cento del prezzo mediano delle abitazioni che ha reso certamente molto convenienti gli acquisiti, in particolare nelle zone che hanno visto i prezzi crollare molto al di sopra del dato nazionale, il che ha portato i prezzi nelle zone più colpite dal meltdown immobiliare a valori anche inferiori del 50 per cento ai livelli precedenti all’estate del 2007.

L’offerta della Pfizer per la sua maggiore rivale, quella della Fiat per una quota di oltre un terzo della Chrysler, peraltro elevabile alla maggioranza assoluta, rappresentano eventi che vanno molto al di là del loro significato settoriale, in quanto sono la rappresentazione palmare di una volontà di crescita e di audacia che il mercato sembra gradire molto, un qualcosa che potrebbe rendere molto più efficaci i provvedimenti che Obama sta annunciando in una sovraesposizione mediatica che fa risaltare per contrasto l’incespicante eloquio e l’indecisione perenne del precedente inquilino della Casa Bianca.

Non è certo un caso se l’improvvisa ventata di ottimismo non sembra contagiare i titoli delle grandi banche a stelle e strisce che ancora risentono delle preoccupazioni per la loro solidità, minata dalla montagna di titoli più o meno tossici della finanza strutturata, un ammontare che seppure non del tutto precisato è comunque di molte volte multipla degli sforzi del sistema della riserva federale che ne ha già incamerati per un valore facciale che va dai 2 ai 3 mila miliardi di dollari, pagandoli come se fossero buoni, dando in cambio di questa carta straccia denaro sonante!

Per la precisione, e mentre mancano meno di due ore alla chiusura delle contrattazioni a Wall Street, le quotazioni delle tre principali banche commerciali e quelle delle ultime due sopravvissute investment banks sono entrate in territorio negativo, anche perché è chiaro a tutti che la strada del violento processo di ristrutturazione e concentrazione del mercato finanziario a stelle e strisce è ancora lunga e irta di pericoli, non fosse altro che per la scarsa trasparenza che ancora caratterizza i bilanci delle principali banche a oltre un anno e mezzo dallo scoppio della tempesta perfetta, un’inversione di tendenza che si è estesa agli indici principali, in quanto gli investitori non sono certo convinti che una rondine faccia primavera..

Il fine settimana ha consentito di comprendere meglio le direttrici dell’analogo processo di concentrazione in corso nel sistema bancario europeo, soprattutto in due dei tre paesi che hanno deciso di mettere in campo un ammontare di risorse pari a 1.500 miliardi di euro, una somma stratosferica che in larga parte è stata stanziata a solo titolo cautelativo per garantire, per quanto umanamente possibile, i passivi delle banche dei rispettivi paesi, ma che con gradualità viene utilizzata per favorire quelle aggregazioni tra le banche che, alla fine della fiera, dovrebbero ridursi, in ognuno dei tra grandi paesi, ad un massimo di due o tre grandi colossi contorniati dalla solita pletora di banche di minori dimensioni, replicando così il modello spagnolo che vede la presenza di due colossi creditizi multinazionali che sono in realtà il risultato di aggregazioni successive e che, a parte qualche incidente più di immagine che di sostanza, hanno dimostrato di saper reggere meglio all’impatto degli alti marosi della tempesta perfetta tuttora in corso.

L’avvicinamento in corso tra Socgen e il Credit Agricole, per ora mediante l’aggregazione delle rispettive entità specializzate nell’assett management in una joint venture che vede però la banca verde fare la parte del leone con una quota del 70 per cento, potrebbe sfociare in un vero matrimonio favorito dall’ingresso in forze di capitali pubblici, un’eventualità che il mercato ha premiato con vistosi rialzi del titolo dell’Agricole e un sostanzioso anche se inferiore balzo in avanti della quotazione di Socgen.

Un discorso a parte lo merita Bnp Paribas che ha anticipato i risultati del quarto trimestre e dell’intero 2008 che vedono un risultato dell’ultimo quarto dell’anno in rosso per 1,4 miliardi di euro, in larga parte determinato dalle rilevanti perdite della divisione di Corporate & Investment Banking e un utile netto annuale di 3 miliardi di euro, risultati salutati da un rialzo di oltre il 16 per cento del valore dell’azione anche perché nel comunicato stampa si fa riferimento ad un emissione di azioni destinata all’ingresso di capitali pubblici per un ammontare non meglio determinato e mentre si è in attesa della evoluzione dell’acquisizione di Fortis per la quale, secondo la stampa, sarebbero state avanzate due diverse ipotesi di offerta. Mentre restano coperte le carte di Frau Merkel, qualcosa si ta movendo in Gran Bretagna, paese dove sembra sempre più certo che Barclays avrà un ruolo aggregante.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .