venerdì 2 gennaio 2009

Un bilancio del 2008 e le previsioni per il 2009


L’ultima seduta del 2008 a Wall Street ha chiaramente risentito dell’effeto positivo derivante dall’allargamento dei cordoni in favore di General Motors e del suo braccio finanziario GMAC imposto ad un più che riluttante Hank Paulson dal pressing congiunto del presidente uscente e di quello subentrante, entrambi convinti che solo andando alle radici della tempesta perfetta sia possibile sperare di contrastare il micidiale effetto domino che sta facendo cadere come birilli prima le entità protagoniste del mercato finanziario globale e da qualche mese anche le principali imprese manifatturiere statunitensi ed anche quelle altrove basate.

Gli amanti delle statistiche si stanno probabilmente divertendo a esaminare le perdite catastrofiche segnate nel corso del davvero orribile 2008 che solo da poche ore ci siamo lasciati alle spalle, mentre quelli un po’ più sadici pongono i massimi segnati nell’autunno del 2007 a pietra di paragone, un esercizio che aggrava quel bilancio negativo dei vari indici azionari mondiali, che, anche tenendo conto solo di quanto è avvenuto nell’anno appena terminato registrano flessioni che vanno dall’oltre 40 per cento della maggior parte delle piazze europee al 65 per cento della borsa di Shanghai, una realtà, quest’ultima, che del mercato regolamentato e sufficientemente trasparente ha, in realtà, davvero ben poco.

La cosa che continua a stupirmi maggiormente è rappresentata dal fatto che la maggior parte degli analisti, degli economisti e dei commentatori, compreso il presidente della repubblica italiana, almeno a stare a quanto ha affermato ieri nel discorso di fine anno, continuano a datare la crisi finanziaria a partire dall’estate del 2008, quasi lo sfracello verificatosi a partire dal 9 agosto del 2007 non fosse mai avvenuto, incluso l’assalto agli sportelli dell’oramai nazionalizzata Northern Rock, i fallimenti a catena delle principali entità statunitensi operanti nel settore del mortgage, le centinaia di miliardi di dollari di perdite registrate in quei primi cinque mesi di tempesta perfetta dalle banche di investimento e da quelle più o meno globali, per non parlare di quei milioni di cittadini americani che si sono trovati senza una casa o senza un lavoro, spesso, in non pochi casi, senza né l’una, né l’altro!

Certo, quello che è avvenuto nei dieci giorni che hanno sconvolto il mercato finanziario globale dopo che Lehman Brothers è stata costretta al fallimento, coincidenti con la prima decade del mese di ottobre del 2008, hanno prodotto effetti assolutamente non paragonabili con le onde lunghe della tempesta perfetta nei suoi primi mesi di vita, fino a spingere i governi dei venti paesi maggiormente industrializzati del pianeta a mettere le mani al portafoglio per l’equivalente di svariate migliaia di miliardi di dollari, affermando, più o meno all’unisono, che la crisi era troppo seria per lasciarla nelle mani di quei banchieri centrali che, a torto o a ragione, il per la terza volta ministro italiano dell’economia, Giulio Tremonti, ha prima paragonato a quei medici che danno l’aspirina ai pazienti affetti da tumore e poi ha sprezzamene definiti topi posti a guardia del formaggio.

Purtroppo, come ho avuto più volte modo di ribadire nelle prime 450 puntate del Diario della crisi finanziaria, non vi è nulla di peggio che scambiare le cause con gli effetti, sia che si tratti delle ondate altissime dell’ottobre del 2008, sia con quelle visibili solo ad occhi un po’ esperti dell’agosto del 2007, in quanto l’adozione di misure davvero efficaci prevede un’analisi approfondita delle vere cause che sono alla base di quanto sta accadendo e che affondano le loro radici nelle scelte fatte a metà degli anni Ottanta dai leaders mondiali di allora, scelte che, in realtà, erano dettate, via Commissione Trilaterale (poi confluita nel molto misterioso ma ottimamente frequentato Gruppo Bildberg), da Big Finance, Big Oil, Big Pharma e tutte le altre big che vi vengono in mente, e che avevano implicazioni che molto probabilmente non erano affatto chiare ai governanti dell’epoca posti al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, incluso il governo giapponese che fa riferimento ad un altro oceano.

In realtà, vi è molto di autobiografico, almeno dal punto di vista del ruolo istituzionale da lui a lungo ricoperto, nella definizione dell’immaginifico Tremonti, in quanto non risulta alle cronache dell’epoca, né tanto meno in quelle relative ai due decenni successivi, che qualche governante dei paesi membri del G7 avesse levato la sua voce contro le forme che stavano assumendo i processi di finanziarizzazione, globalizzazione e deregolamentazione allora avviati, non solo e non tanto in relazione ai fenomeni stessi, ma neppure di fronte a quelli che, nei bugiardini farmaceutici, sono definiti gli effetti collaterali o quelli da interazione di farmaci assunti contemporaneamente.

Se vi è una cosa che distingue nettamente il 2008 dal 2009 è che era molto facile alla fine del 2007 prevedere cosa sarebbe accaduto alla finanza e all’economia reale statunitense e globale, così come non era impossibile prevedere l’indebolimento del dollaro nei confronti delle altre valute convertibili, così come la strana traiettoria seguita, un po’ spontaneamente, dal prezzo del petrolio e delle altre materie prime, mentre è certo che la visuale è molto, ma molto meno chiara per chi volesse oggi azzardarsi in un esercizio previsivo, non fosse altro che per la dimensione degli interventi statali effettuati e, ancor più, di quelli stanziati sulla carta, soprattutto sotto forma di garanzie più o meno totali sul passivo delle istituzioni finanziarie di ogni ordine e grado.

Rinviando i lettori alle previsioni sul dollaro e sul petrolio presenti nella puntata del 31 dicembre 2007, credo che quest’anno verrà testato il forte supporto posto a 1,60 dollari contro l’euro, mentre non appare inviolabile l’area posta al di sotto degli 85 yen contro dollaro, mentre il petrolio potrebbe quotare, in media, 50 dollari svalutati al barile.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.