domenica 1 marzo 2009

Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi (ottava parte)


Le considerazioni riportate nelle sette puntate precedenti costituiscono in realtà poco più che una premessa per giungere a quello che considero indubitabilmente il cuore del problema italiano, quello, cioè, rappresentato dal Moloch del debito pubblico in senso stretto, al netto del debito previdenziale e di quello non visibile ai più, perché nascosto nelle pieghe delle tante operazioni che lo hanno reso invisibile alle statistiche ufficiali, quello, per intenderci, che viene raffrontato al deficit annuale per fornirci quel valore che va raffrontato a quel limite massimo del 60 per cento previsto dal Trattato di Maastricht, piccola località olandese nella quale gli allora paesi membri dell’Unione europea gettarono le basi per la nascita della moneta unica europea, attualmente adottata da sedici dei ventisette paesi aderenti, ma che, anche grazie alla tempesta perfetta in corso da oltre un anno e mezzo, vede allungarsi la lista dei candidati all’ingresso, Gran Bretagna, Danimarca e Svezia in primis, oltre, ovviamente, a quella parte dei new comers che sta faticosamente cercando di mettersi in regola con i requisiti richiesti dalla lettera e dallo spirito del summenzionato Trattato.

Come forse ricorderanno i miei lettori, gli undici paesi che con l’Italia erano candidati nel 1998 fecero un vero e proprio atto di fede nella capacità dell’Italia, giunta stremata ma felice al raggiungimento ‘istantaneo’ del 3 per cento nel rapporto deficit/PIL nel 1997 grazie alla cura da cavallo fortemente voluta dal ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, e dall’allora premier, Romano Prodi, di mantenersi anche nel futuro entro tale valore e di ridurre progressivamente, ma decisamente, il rapporto tra debito e PIL per convergere da valori decisamente superiori al 100 per cento alla fatidica soglia del 60 per cento, anche se nessuno è stato sinora in grado di spiegare i reali motivi che spinsero i padri fondatori dell’euro a fissarla proprio a quel livello.

La chiave di volta, mi verrebbe di dire il grimaldello, che fu alla base del successo della titanica impresa di Ciampi e Prodi è rappresentata dal cosiddetto avanzo primario, che poi non è che la differenza positiva tra le entrate e le uscite di quel perimetro del settore pubblico considerato ai fini EUROSTAT, al netto degli oneri legati al debito pubblico allora considerevole in termini di rapporto percentuale con il PIL, ma che oggi ha decisamente superato, in valori assoluti, la soglia dei tremila miliardi di quelle che Berlusconi continua a chiamare le vecchie lire.

Per quanto riguarda le vicende di quel periodo, nonché la ricostruzione della famosa notte dell’euro, rinvio alle puntate del Diario della crisi nelle quali mi sono occupato di vicende che ho vissuto nella veste di economista di sala di una importante banca italiana, occupazione che lasciai in un’altra notte ripresa in diretta televisiva e dopo aver rilasciato un’intervista ad un bravo giornalista economico del TG3 poi approdato a Canale 5, quella della fissazione delle parità fisse e irrevocabili nel maggio del 1998, sia perché assumevo l’incarico di capo ufficio studi e capo ufficio stampa della UILCA, ma soprattutto perché, in un mercato Forex di fatto ridotto a tre valute, l’attività di previsore sui cambi era pressoché superflua, anche se restava centrale quella di central banks watcher al fine di prevedere i movimenti dei tassi di interesse ufficiali.

Anche sull’ingresso nell’euro e sulle scelte di politica e economica e fiscale assunte dall’allora maggioranza di centro sinistra capitanata da Prodi, lo scontro politico tra europeisti e atlantici fu al calor bianco, anche se i danni prospettici maggiori avvennero nel corso del Governo di Lamberto Dini, frutto dello sfilamento repentino della Lega dalla maggioranza, ma anche di un’opposizione sindacale ai progetti del Berlusconi I che vide milioni di lavoratori e pensionati invadere le principali piazze del Paese, ma sta di fatto che tedeschi e olandesi scommisero su di noi sino ad accettare un rapporto di cambio tra lira e marco tedesco, fondamentale per la successiva parità con l’euro, molto più elevato dei loro desiderata, concedendo alla volenterosa Italia l’ultima svalutazione della lira e ai lavoratori dipendenti e ai pensionati un pesante burden dal quale non si sono ancora ripresi, né, a mio modestissimo avviso, si riprenderanno mai!

Svaniti in brevissimo tempo gli effetti dell’ultima svalutazione, rimase per tutti noi il mito dell’avanzo primario, un qualcosa che, formichine risparmiose come siamo, ci rese anche alquanto orgogliosi, una sorta di vincolo di bilancio sistemico che però, guarda caso, si è accompagnato, negli undici anni successivi, a livelli di crescita della ricchezza nazionale realmente infimi, in parte frutto dello sciopero degli investimenti della stragrande maggioranza degli imprenditori, in particolare di quelli medi, piccoli e piccolissimi, che si ritennero eccessivamente tartassati dal Fisco e dal proliferare di quelli che Guido Carli amava definire i lacci e i laccioli dell’economia italiana, il che, detto dal teorizzatore nonché utilizzatore pratico della corda del boia in materia di tassi di interesse, per non parlare della sua esperienza come ministro del Commercio con l’estero negli anni Cinquanta, fa un po’ sorridere, anche se, come diceva Augusto Graziani, mio relatore di laurea, in fondo Carli era un keynesiano suo malgrado.

Seppur da madri e padri di famiglia italiani ci rendiamo tutti conto dell’importanza del fatto di spendere meno di quanto guadagniamo, è altrettanto evidente che risulta difficile accettare lo stesso principio nell’attività economica d’impresa, un’attività che non del tutto a caso viene definita di rischio e che richiede il ricorso al credito bancario sia per ragioni di elasticità di cassa che per il finanziamento a medio-lungo termine di quegli investimenti che non è possibile alimentare con il solo autofinanziamento derivante dalla redditività dell’azienda, così come è arduo ritenere che solo lo Stato non debba accettare di avere un debito più elevato del ‘fatturato’, cosa che accade tranquillamente con riferimento alla Fiat, all’Enel, alla Telecom Italia e all’Eni, entità che assommano debiti di varia natura fino a due volte quanto producono annualmente, sopportando più o meno agevolmente gli oneri connessi con il servizio del debito.

Certo, se si ha del debito pubblico una visione statica e una gestione alquanto passiva, la formula applicata dal duo Ciampi-Prodi o Padoa-Schioppa-Prodi è l’unica possibile, né l’esperienza del Berlusconi I e del Berlusconi II si sono molto discostate da questa sorta di maledizione del debito che avrà molto di biblico, ma ben poco di economico, anche se va detto che qualche tentativo di marcamento e di alleggerimento Tremonti l’ha pure tentata, ma. Come ha detto il suo Maestro Reviglio nell’intervista già citata, commettendo qualche errore e qualche superficialità dettata sia dall’inesperienza che dalle caratteristiche intrinseche del personaggio!

Pur sapendo i miei lettori cosa penso dei concomitanti fenomeni di finanziarizzazione, globalizzazione e deregolamentazione selvaggia, non appartengo affatto alla vasta schiera di quanti ritengono che si possa gettare allegramente via il bambino con la relativa acqua sporca, il che mi permette tranquillamente di dire che esistono tecnicalità in abbondanza per non rassegnarsi a strangolare l’economia reale e accettare supinamente la iattura di crescere a un tasso frazionale di quello potenziale o accettare che per svariate ragioni, non escluso l’istinto di sopravvivenza, un’enorme quantità di imprenditori e relativi loro collaboratori debbano in eterno restare in quella zona grigia che è l’economia sommersa o in nero.

Sulla gestione attiva del debito pubblico ho ricevuto un interessante proposta di un centro studi privato di Novara, così come negli anni ho discusso con esperti di strumenti del debito della possibilità di trovare forme innovative che non passassero per la svendita del patrimonio dello Stato, al punto di pensare che questo passaggio è il vero Hic Rodhi hic salta di chiunque voglia assicurare un futuro diverso al nostro Paese! Ma di tutto questo parlerò più diffusamente nella puntata di domani.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .