mercoledì 11 marzo 2009

Mentre Citigroup torna in nero, il Banco Popolare si mette nelle mani di Tremonti!


Mentre guardavo l’andamento dei mercati finanziari sul fuso europeo e su quello americano nella giornata di ieri, non potevo fare a meno di riandare con la mente a quanto accadeva nel folle mese di ottobre del 2007, quando, a meno di due mesi dal blocco totale della liquidità interbancaria verificatosi l’ormai celebre 9 di agosto di quell’anno, i tre principali indici statunitensi andarono letteralmente alle stelle, con il Dow Jones che segnava il massimo di tutti i tempi al di sopra della soglia dei 14 mila punti e con il Nasdaq e lo S&P’s 500 ai massimi degli ultimi due anni, un’evidente schizofrenia dei mercati vogliosi di lasciarsi a tutti i costi alle spalle i fantasmi della tempesta perfetta che allora sembrava perfettamente controllabile attraverso le un po’ originali mosse di un duo quale quello rappresentato da Hank Paulson e Ben Bernanke, in arte Bernspan, che allora era davvero alle prime armi.

D’altra parte, i mercati azionari europei avevano spedito verso l’alto le alquanto depresse quotazione delle maggiori banche europee ben prima che il dead man walking, Vikram Pandit, il cinquantenne banchiere di origine indiana che è ancora miracolosamente legato al timone della tecnicamente fallita Citigroup, diramasse urbi et orbi un comunicato stampa che magnificava i dati relativi ai primi due mesi di questo sinora descritto come orribile 2009, dati, che opportunamente manipolati e proiettati sull’intero trimestre in corso, starebbero a indicare la possibilità che, dopo oltre cinque trimestri in profondo rosso, la potente banca basata a New York potrebbe presentare un utile addirittura superiore agli 8 miliardi di dollari, anche se la previsione è stata un po’ ‘sporcata’ dal rifiuto dello stesso Pandit a fornire dettagli sulla reale entità delle perdite sulla montagna di titoli della finanza strutturata più o meno tossici che sono rimasti sui suoi libri dopo che le autorità monetarie si sono fatte carico di titoli della specie per ben 325 miliardi di dollari, oltre alle decine di miliardi erogati dal munifico Paulson a titolo di ricapitalizzazione.

Come è noto, il nuovo ministro del Tesoro, Timothy Geithner, ha decisamente cambiato registro e ha tramutato una parte degli aiuti forniti a Citi, come peraltro alle altre principali entità creditizie a stelle e strisce, sotto forma di onerosissime azioni privilegiate in azioni ordinarie e costringendo, con la pistola alla tempia secondo il Wall Street Journal, gli altri possessori di azioni privilegiate a fare lo stesso, il che non ha proprio reso felici il principe saudita Bin Al Whaleed né i fondi sovrani arabi e asiatici che contavano molto sull’elevatissimo yield derivante dal loro prudente e lucrosissimo investimento e che ora si trovano, al prezzo di oltre 3 dollari cadauna, azioni di Citigroup dal molto incerto valore, anche perché Geithner potrebbe sempre decidersi a tramutare altre decine di miliardi di dollari in un mare di azioni ordinarie con il correlato effetto diluitivo!

Mentre vedevo le quotazioni delle azioni di Citigroup, Bank of America, J.P. Morgan-Chase e Wells Fargo schizzare verso l’alto segnando incrementi quotidiani che andavano dal 10 al 40 per cento, ho letto con sollievo i commenti dei più quotati analisti che mettevano in guardia i propri lettori dal prendere troppo sul serio il rally in corso, da alcuni di loro opportunamente definito come mercato dell’orso, per non parlare della valanga di ricoperture effettuate dalla legione di quanti sino al giorno prima si dilettavano a vendere allo scoperto tutto quanto aveva nella propria denominazione le parole bank o finance, come un tempo accadeva per le dot.com in quella roulette denominata Nasdaq, della quale forse non del tutto a caso era stato presidente quel Bernard L. Madoff ieri impegnato in schermaglie procedurali in un aula di tribunale nella parte bassa di Manhattan nel processo che lo vede accusato di avere frodato i propri clienti e amici di qualcosa come 50 miliardi di dollari, dividendi stratosferici contabilizzati ovviamente inclusi!

Prima ancora che scoppiassero i fuochi di artificio su Citigroup e le sue cinque sorelle, i mercati azionari europei avevano già avuto modo di vivere il loro martedì da leoni, con le maggiori banche europee letteralmente sugli scudi sia in Gran Bretagna, che in Germania che in Francia, ma immagino anche negli altri paesi membri dell’Unione europea, rialzi che in alcuni casi avevano anche un fondamento reale, mentre in molti altri appaiono basati più su fantasticherie che su dati reali atti a significare una qualche forma di miglioramento delle performance sottostanti, anche se è sempre vero che “così è, se vi pare”.

Ma qualcosa di reale è intervenuto nel mercato creditizio italiano, dove finalmente uno dei grandi gruppi bancari con sede nel Belpaese ha rotto gli indugi e ha reso ufficialmente noto di avere avviato le pratiche per ottenere il permesso di emettere quelli che oramai tutti definiscono i Tremonti Bonds, sì quelli che, almeno a giudizio di molti commentatori, apparivano la più realistica rappresentazione di quel mitico animale denominato Araba Fenice (che vi sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa), e che il prudente e molto navigato Pierfrancesco Saviotti, da qualche mese al timone del Banco Popolare con la scialuppa semiaffondata Italease al seguito, ha ritenuto essere molto opportuni per garantire un’ordinata, anche se alquanto onerosa, ricapitalizzazione del Banco.

Non so se era al Banco Popolare che si riferiva Silvio Berlusconi quando, da una capitale straniera, affermava che una banca italiana avrebbe fatto richiesta dei Bonds voluti dal suo per la terza volta ministro dell’Economia, ma voglio azzardare la previsione che anche gli altri quattro gruppi creditizi che con la banca di Saviotti occupano i primi cinque posto della graduatoria creditizia italiana formuleranno nei prossimi giorni analoga istanza presso il dicastero di Via XX Settembre e presso quella Banca d’Italia che dista solo qualche centinaio di metri in linea d’aria dall’ufficio di Tremonti, ma che sembra distarne in realtà qualche anno luce, almeno a sentire la ricostruzione fatta dai più maligni tra gli osservatori sui rapporti tra il Ministro e il Governatore!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .