martedì 3 marzo 2009

Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi (decima e ultima parte)


Delineato lo scenario sulle tre questioni centrali della Bermonti Economics, assetto del mercato finanziario italiano, ruolo della media, piccola e piccolissima impresa e dei cosiddetti lavoratori autonomi, mercato delle telecomunicazioni in senso lato (telefono, televisioni e internet), ci si potrebbe anche fermare qui, non fosse che l’articolazione della politica economica e fiscale si interseca con questi e moltissimi altri aspetti della vita sociale ed economica del nostro Paese che non possono essere lasciati in ombra, per non parlare di quelli che nei bugiardini delle case farmaceutiche sono definiti gli effetti collaterali e le interazioni tra un aspetto e un altro dell’agire economico, come ben sanno quei benemeriti che cercano di convogliare in un modello più o meno econometrico i comportamenti più o meno razionali dei diversi attori che ogni giorno di muovono sulla scena economica italiana, europea e globale, spesso non tenendo conto del fatto che la storia economica ha già fatto bellamente giustizia dell’unica teoria, quella dell’equilibrio economico generale di walrasiana memoria, che cercava a modo suo di descrivere un mercato nel quale tutti disponessero delle stesse informazioni, ognuno agisse in modo razionale e la stessa determinazione dei prezzi relativi venisse istantaneamente risolta dalla celebre mazza del banditore!

Già, perché ogni decisione presa dall’apparente protagonista della vita economica e sociale del Paese, il Governo pro tempore in carica, comporta effetti che sono noti solo in minima parte da coloro che assumono le stesse decisioni, peraltro spesso modificate nel corso delle estenuanti e convulse sessioni parlamentari, nonché, come è emerso indubitabilmente in più di un’occasione, modificate in modo tutt’altro che marginale, dagli estensori della versione finale del provvedimento, un iter che coinvolge poco meno di mille persone della cui preparazione in materia economica e finanziaria nutro più di qualche dubbio, anche alla luce del fatto che delle professioni rappresentate nell’esecutivo e nel legislativo quella dell’economista è certamente quella che presenta un peso del tutto marginale.

Quanto poi alla capacità del Governo di influenzare la struttura dei prezzi, anche di quelli che pesano fortemente nel paniere della famiglia italiana, poco importa se consumatrice o produttrice, basterebbe fare riferimento a quelli in qualche modo legati all’energia, tariffe elettriche e del gas, nonché prezzo dei carburanti, peraltro fissati da un ristretto numero di aziende, per capire che anche un bambino dotato di pallottoliere sarebbe in grado di esercitare un’influenza maggiore di quella che gli esecutivi di centro-destra e di centro-sinistra siano mai riusciti, o abbiano mai voluto, esercitare!

Che dire poi dei prezzi e delle condizioni applicati nel mercato finanziario e relativi a depositi, impieghi, polizze, commissioni legate alla gestione professionale del risparmio altrui, e via discorrendo, ma basterebbe un riferimento al recente provvedimento in materia di agevolazioni statali all’acquisto di un veicolo più o meno ecologico per capire che i decision makers si sono banalmente dimenticati di prevedere che, per beneficiare delle agevolazioni, le case automobilistiche venissero tassativamente chiamate a fare la loro parte.

Se vi è poi un aspetto che, per motivi strettamente temporali, è stato gestito sia da Berlusconi che da Prodi, quello dell’adesione e successiva introduzione della moneta unica europea, non credo sfugga a nessuno che ci si è semplicemente dimenticati di adottare semplici accorgimenti che avrebbe impedito a tutti coloro che hanno la facoltà di determinare i prezzi del prodotto/prestazione/servizio di fare quello che poi in larghissima parte hanno fatto e, cioè, di applicare un tasso di conversione molto diverso da quello ufficiale, il che ha consentito ai proprietari di case, ai professionisti di ogni ordine e specie, ai commercianti all’ingrosso e al dettaglio, alle imprese meno aperte al commercio internazionale di dividere per mille invece che per poco meno di duemila il prezzo in lire per ottenere il nuovo prezzo espresso in euro!

Pur avendo dedicato ben due puntate del Diario della crisi finanziaria all’argomento, mi preme qui ricordare che non vi è traccia nella storia economica italiana del secondo dopoguerra mondiale di un impoverimento istantaneo di questa proporzione a danno di tutti coloro che i prezzi sono costretti a subirli, non avendo possibilità alcuna di determinarli: i lavoratori dipendenti non impegnati in attività imprenditoriali o autonome part time o in nero e i pensionati che si trovano nella stessa condizione; poco importa, da questo punto di vista, determinare con esattezza la misura dell’impoverimento, anche se va detto che stime molto, ma molto prudenziali permettono di dire che non è stata comunque inferiore al 20-30 per cento, un livello cui si giunge solo perché alcuni prezzi sono andati in controtendenza per motivi che non è assolutamente il caso di esaminare in questa sede.

Stranamente, questa questione si intreccia molto strettamente con quella del deficit statale e dello stock del debito pubblico esaminata in precedenza, ma ancor di più con quella debolezza della componente legata ai consumi della più generale domanda effettiva che è poi legata alla tassa invisibile rappresentata dall’invarianza degli scaglioni fiscali rispetto all’inflazione e al peso complessivo del carico fiscale, sia di quello legato alle imposte dirette che alle molto inique imposte indirette e accise!

Sarei molto curioso di vedere cosa accadrebbe applicando un semplice caso di what if? ai sofisiticatissimi modelli econometrici della Banca d’Italia o degli altri centri studi economici esistenti nel nostro Paese, ipotizzando un rialzo generalizzato delle retribuzioni e delle rendite pensionistiche nella misura che ho indicato come stima di quella che potremmo considerare la tassa dell’euro, una condizione accompagnata dalla restituzione del fiscal drag relativo ai numerosi anni nei quali tale doverosa operazione non è stata effettuata, assicurando anche ai più scettici tra i miei lettori che avremmo un impatto sulla domanda effettiva realmente significativo e che, unito al piano di investimenti per infrastrutture e altre opere pubbliche già immaginato dall’esecutivo, aiuterebbe, via moltiplicatore, a determinare una crescita del prodotto lordo nel medio periodo più che proporzionale, anche tenendo conto della relativa perdita in termini di ragioni di scambio.

Sono certo che una simile idea non sfiora neppure la mente di Bermonti, né farebbe parte di un eventuale programma dei cento giorni di un vittorioso (?) schieramento avverso, il che pone inevitabilmente la necessità di affrontare l’altro corno del dilemma italico, quello della ostinata e pervicace sottrazione da parte dei contribuenti appartenenti alle categorie imprenditoriali e autonome di svariate centinaia di miliardi imponibile fiscale e contributivo, con relativo aumento delle imposte e dei contributi da loro sopportati, ma che, al netto del diverso sistema di detrazione e meccanismi elusivi leciti, continuerebbe a non essere paragonabile a quello sopportato dai soliti noti, che poi spesso tali sono solo perché il loro datore di lavoro o l’ente erogatore della pensione sono obbligati a esercitare il ruolo di sostituti di imposta, ovviamente quando non li rendono complici, più o meno consenzienti, dell’evasione fiscale e contributiva da loro allegramente e molto impunemente esercitata.

Credo di avere fornito in queste dieci puntate tutti gli elementi di cui dispongo per il momento su quella che molto prevedibilmente sarà la politica economica e fiscale di Silvio Berlusconi, ripromettendomi in un prossimo futuro di riprendere l’argomento, anche se credo proprio che non sia difficile capire dove è destinata a finire l’economia italiana non prendendo, come si suole dire, il toro per le corna a causa delle contraddizioni intrinseche al blocco sociale pervicacemente coccolato dal nostro premier e dai suoi più stretti collaboratori, uno scenario che, ahinoi, ci porta dritti, dritti verso la situazione vissuta a suo tempo dall’Argentina e che, in un futuro molto prossimo, potrebbe colpire buona parte dei new comers europei!

Mi scuso con i tanti lettori stranieri del Diario della crisi finanziaria che hanno pazientato per questi dieci giorni integralmente, o quasi, dedicati alle vicende di un paese che sarà pure sempre più marginale sulla scena economica e finanziaria globale, avrà pure gran parte di tutti i difetti che ci vengono generalmente imputati dai severi osservatori stranieri, ma che rimane, wright or wrong, my Country!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .