lunedì 1 giugno 2009

Come sta cambiando la politica economica di Barack Obama.


Sgombrata dal tavolo, grazie all’intesa politica raggiunta tra Stati Uniti d’America, Germania e Russia, la grana rappresentata dalla sistemazione della Opel, la General Motors chiederà oggi, salvo sorprese dell’ultima ora sulle quali nessuno davvero scommette, la protezione nei confronti dei creditori assicurata dalla legge fallimentare statunitense per riemergere, in tempi davvero difficili da pronosticare, sotto la forma di una società che vedrà il 72,5 per cento delle azioni in mano al Governo federale, un 17,5 per cento facente capo indirettamente ai dipendenti, mentre agli ‘obbligazionisti disperati’ spetterà un iniziale 10 per cento delle azioni, elevabili in futuro in ragione di un ulteriore 15 per cento.

Al ripensamento di oltre la metà dei bondholders di fronte a un’offerta molto più generosa, ma anche di molto più rischiosa, della precedente, fa riscontro un diverso orientamento del nuovo Chief Executive Officer di General Motors e degli incaricati dal presidente Obama di seguire la ristrutturazione di buona parte del settore automobilistico a stelle e strisce rispetto a quello precedente che, in buona sostanza, puntava a salvare esclusivamente le produzioni di General Motors sul territorio statunitense, cedendo poco meno che gratuitamente sia le produzioni europee che quelle nell’America del Sud.

Una controprova efficace di questo nuovo orientamento dell’amministrazione statunitense e dei nuovi vertici aziendali è rappresentata dalla soluzione trovata per i numerosi stabilimenti europei facenti capo alla Opel, una soluzione che lascia il 35 per cento di Opel a GM, in pratica la stessa quota riservata alla russa Sbrebank e alla casa automobilistica GAZ, mentre a Magna viene riservato solo il 20 per cento, quote cui si aggiunge il 10 per cento riservato ai dipendenti della stessa Opel.

Pur non essendo disponibili i dettagli del piano sulla base del quale è stata raggiunta l’intesa, tra i quali vi potrebbe essere anche il successivo disimpegno della General Motors con contestuale cessione della propria quota in parti più o meno prefissate ai nuovi partners, la notizia fa comunque il paio con quella che vedrebbe una minore disponibilità della casa di Detroit a disfarsi degli stabilimenti e delle interessanti quote di mercato costruite nel tempo in importanti paesi latino-americani, una voce ripresa dai media e che, se fosse veritiera, rappresenterebbe il secondo smacco in pochi giorni per la FIAT, ma ancor più per il suo amministratore delegato, lo svizzero-canadese Serge Marchionne che vedeva in una delle due opzioni la possibilità di raggiungere quella massa critica da sei milioni di auto prodotte, e sperabilmente vendute, l’anno ritenuta dal top manager condizione necessaria, ma non si sa quanto sufficiente, per permettere alla FIAT del futuro di sopravvivere in modo autonomo.

Non sono assolutamente in grado di dire se i continui vertici in corso alla Casa Bianca con gli esperti in servizio permanente effettivo e con economisti e uomini della finanza e dell’industria che vengono chiamati direttamente dal presidente Obama per ascoltare opinioni esterne a quel Dream Team di cui si è contorniato sin dal periodo di transizione, ma credo proprio che qualcosa stia cambiando sia rispetto al nodo cruciale rappresentato dalle principali entità del mercato finanziario statunitense, sia sul peso da dare alla componente industriale del sistema economico di quella grande nazione, non fosse altro che per l’evidente rallentamento delle soluzioni indicate nei mesi scorsi da Timothy Geithner e dagli esperti in materia industriale, soluzioni che, nel primo caso, sembravano troppo favorevoli a Wall Street, mentre, nel secondo, apparivano destinate a rendere più o meno dei deserti le tante Main Street delle località a più alto tasso di industrializzazione.

In quest’approccio molto più industriale all’edificazione della nuova General Motors vi è sia il non piccolo dettaglio dei 50 miliardi di dollari che, alla fine della fiera, verranno investiti dallo Zio Sam, ma anche un ripensamento più profondo e meno emergenziale delle strategie per il dopo crisi, così come non vi è dubbio che il nuovo inquilino della Casa Bianca stia dando sempre più chiari segni di impazienza nei confronti del folto gruppo di tutori in materia finanziaria ed economica, molti dei quali, come a esempio il capo dei suoi consiglieri, Larry Summers, hanno pesanti responsabilità nelle innovazioni legislative che hanno favorito le degenerazioni del sistema finanziario, per non parlare di quel Tim Geithner che, da presidente della Fed di New York, ha di fatto gestito assieme a Paulson e Bernspan il primo anno e mezzo di tempesta perfetta, un’attività molto dispendiosa per il Tesoro e per il sistema della riserva federale, ma che non si è accompagnata a serie condizioni poste alle entità cosi generosamente beneficiate.

Così come non credo sia destituita di ogni fondamento, il rumor che vuole Obama molto interessato a quanto circola sul web, un luogo certo virtuale ma che ha visto sollevarsi ondate di indignazione molto reale ogni volta che venivano annunciati progetti che non denotavano significative differenze di quelli prodotti a getto pressoché continuo dall’ex (?) investment banker ‘prestato’ alla politica e che risponde al nome di Hank Paulson, un uomo certamente logorato dall’impegno al dicastero del Tesoro e del quale si sono perse le tracce dal giorno del passaggio delle consegne al giovane TIM.

Uno dei limiti maggiori della proposta di Marchionne per Opel, così, ma in quel caso è stato favorito dalla totale assenza di proposte alternative, di quella avanzata per Chrysler, è dato proprio dalla modalità da private equity più che da soggetto industriale che la ha caratterizzata, una caratteristica che è stata prontamente sottolineata sia dalle forze politiche che dagli ambienti sindacali, IG Metal in primis, giustamente attente ai rischi di ricadute occupazionali intrinsecamente connessi a un approccio del genere, un approccio che, già di per sé, è visto con estremo sospetto in un paese, come la Germania, che vede nella solidità dei progetti industriali e degli interlocutori un vero e proprio must.

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog