giovedì 11 giugno 2009

Come sarà il mercato finanziario europeo dopo la tempesta perfetta (seconda parte)


L’ipotesi che, alla fine della fiera, resteranno solo tre grandi banche nel paese attualmente governato da Gordon Brown per conto di Sua Maestà Elisabetta II è non solo molto probabile, ma molto in linea con quanto è avvenuto nei principali paesi membri dell’Unione europea, paesi come la Germania, la Francia e alla Spagna, che, pur caratterizzati da una pletora di banche e banchette pubbliche e private, vedono l’attività bancaria concentrata su due o al massimo tre grandissimi gruppi caratterizzati come banche universali a operatività più o meno globale, una situazione non molto dissimile da quella italiana, anche se da noi, accanto ai due gruppi principali, esistono ancora almeno quattro gruppi di rilevanti dimensioni, ma che, molto probabilmente, vivranno ulteriori fasi di concentrazioni in un futuro prossimo venturo.

Così come non vi è dubbio che la posizione anomala del sistema britannico su diversi aspetti della vita economica e sociale abbia subìto serissimi colpi dalla tempesta perfetta, anomalie che riguardano sia il controllo bipartito sul sistema finanziario, sia la pervicace auto esclusione dalla moneta unica europea, una scelta certamente popolare tra i sudditi di Sua Maestà, ma che ha reso necessario un di più di iniziativa da parte del premier per evitare a una nazione con una storia importante e una collocazione geopolitica perlomeno strabica di finire affondato sotto gli strali della speculazione, un’esperienza già vissuta nel 1992, quando la sterlina, in compagnia della lira italiana, fu costretta a svalutare drasticamente e a uscire dal sistema monetario europeo allora vigente.

Pur considerando gli indubbi meriti dello sparigliamento effettuato nel momento certamente peggiore della tempesta perfetta da un Gordon Brown quasi profetico e che si dice fosse stato ispirato da un banchiere pentito, un’azione determinata e a tal punto efficace da far modificare in corsa il piano Paulson e spingere i leaders politici dei principali paesi europei a garantire il garantibile, non vi è tuttavia dubbio che il sorprendentemente recupero del leader laburista si sia fermato di fronte alla scelta di spingersi fino in fondo, anteponendo, come a suo tempo fece Helmut Kohl, l’ingresso nell’euro alla sua stessa sorte politica, un’idea che lo ha certamente sfiorato, ma che è stata rapidamente accantonata in favore della sua innata e indiscussa predisposizione al piccolo cabotaggio, una scelta, o per meglio dire una non scelta, che rischia, anche a vedere i risultati disastrosi del suo partito nelle recenti elezioni per il Parlamento europeo, di condannarlo a quella sicura sconfitta alle prossime elezioni politiche, una malasorte per sé e i suoi che avrebbe anche potuto evitare rischiando il tutto per tutto!

E dire che lo stesso cinicissimo mercato dei cambi aveva scommesso su tale possibilità, fino a spingere la sterlina a una propedeutica quasi parità con l’euro, così come ha fatto in fretta a ricredersi, riposizionando la valuta britannica nell’orbita di quel dollaro destinato a un destino non troppo dissimile da quello di questo primo ministro di Sua Maestà che ha avuto tra le mani il biglietto vincente della lotteria e lo ha buttato via il giorno prima dell’estrazione.

Una nazione sempre più industrializzata e con la velleità di essere la principale piazza finanziaria europea quasi certamente tramontata rischia davvero di finire per trasformarsi nella Cenerentola d’Europa, sempre che non venga in mente ai sempre più litigiosi partners dell’Unione che la pervicacia britannica nell’esercitare l’opting out prevede l’esclusione dallo stesso sodalizio europeo, un’ipotesi affatto remota e che aprirebbe prospettive ancora più inquietanti e che renderebbe sempre più largo il canale della Manica.