sabato 27 giugno 2009

Ma è giusto che sia il solo Bernspan a stare sulla graticola del Senato? (seconda parte)


Avevo lasciato ieri il solo Bernspan ad affrontare non solo le domanda incalzanti dei componenti della commissione bancaria del Senato, una solitudine dovuta all’uscita di scena degli altri due componenti del rinomato trio Bush-Paulson-Bernspan, due che, peraltro, avevano più che validi motivi per fare quello che hanno fatto nei primi diciassette mesi della tempesta perfetta, in particolare l’ex (?) investment banker Hank Paulson che i più malevoli pensano sia stato spedito alla guida del Tesoro dai suoi ex partners della potente e ancor più preveggente Goldman Sachs proprio perché evitasse in ogni modo che il potere politico, di fronte al meltdown della finanza più o meno strutturata, decidesse di prendere misure in favore di Main Street e non di Wall Street, come invece è puntualmente accaduto.

Non vorrei dimenticare, nell’elenco di quanti sono riusciti a sottrarsi alle loro più o meno gravi responsabilità, dell’oramai celeberrimo Effe O Ixs, al secolo Christopher Cox, un sodale di vecchia data del clan Bush, inopinatamente messo alla guida della Securities & Exchange Commission, una delle Authority che, sotto la sua sonnolenta e molto disattenta guida, tutto ha fatto meno che evitare che accadesse quello che invece è puntualmente accaduto, un uomo che forse era stato scelto proprio per l’assoluta mancanza di competenze specifiche in materia e che si sarebbe completamente appoggiato ad Hank, visto dai più come il suggeritore occulto delle improvvide decisioni con le quali la Sec sterilizzò l’azione dei ribassisti, ma solo nei confronti delle 19 entità protagoniste del mercato finanziario a stelle e strisce, una mossa che ha fatto guadagnare di più David Einhorn e compagni del pur cospicuo malloppo che avevano accumulato nei mesi in cui avevano shortato lo scortabile!

Ma che dire dei luogotenenti prima in Goldman e poi al Tesoro di Paulson o di quell’ex alto dirigente di Goldman, poi divenuto presidente del New York Stock Exchange e, infine, chiamato, con un ingaggio da calciatore di lusso, come salvatore dell’alquanto decotta Merrill Lynch, quel John Thain che si è rivelato molto utile nel confezionamento del ‘pacco’ rifilato da Paulson e Bernspan al povero numero uno di Bank of America e che, quando il povero Lewis osò fare qualche obiezione e pretese almeno uno straccio di due diligence sui molto malmenssi conti della banca che pure stava pagando 50 miliardi di dollari (anche se carta contro carta), si unì ai due per convincerlo, con le buone e, pare, anche con le cattive, a fare il bravo ragazzo e a non farla troppo difficile con la storia dei diritti degli azionisti di Bofa.

Ma il personaggio che ha svolto il lavoro più ingrato e oscuro è certamente l’allora presidente della Fed di New York che, a dire dei bene informati, è stato il vero artefici dei salvataggi bancari realizzati in quei diciassette mesi, così come pare abbia avuto un ruolo tutt’altro che secondario nella improvvida decisione di fare fallire Lehman Brothers, quel Timothy Geithner, già distintosi, nei panni di dirigente, ai tempi dei ministri del Tesoro di Clinton, Robert Rubin e Larry Summers, e che è stato prescelto per diventare, nientepopodimeno, che il successore del povero Hank sulla potrona più alta del dicastero del Tesoro, una decisione che la dice davvero lunga sul carattere del tutto bipartisan del gruppo di potere che decise di scommettere, nella lunghissima corsa per la nomination a candidato del partito democratico per le presidenziali 2008, su un giovane senatore di Chicago che sembrò loro molto, ma molto più malleabile della ex first lady di Bill Clinton, Hillary Rhodam Clinton, una di cui tutto si può dire, meno che sarebbe potuta diventare plastilina nelle mani di vecchi marpioni come Rubin, Summers, Buffett e gli altri massimi esponenti di quello che, forse un po’ ingenuamente, è stato definito il Dream Team!