lunedì 17 novembre 2008

A chi conviene il rinvio ad aprile 2009 di ogni decisione scaturito dal vertice di Washington?


Come avevo già reso noto la settimana scorsa, sto cercando di sottrarmi all’annullamento di fatto dei fine settimana che è in corso sin dall’avvio della tempesta perfetta l’ormai storico 9 agosto del 2007, una crisi della quale non si intravede in alcun modo la conclusione e che ha avuto il merito di costringere i decision makers del pianeta, nonché i principali attori del mercato finanziario globale a rinunciare a quelle pause dorate e spesso allungate nel corso delle quali godere dei tanti privilegi del loro status e spendere una piccola frazione dei loro redditi megagalattici, un’iperattività alla quale ho deciso, almeno in parte di sottrarmi, riducendo ad una sola le puntate nei giorni dedicati al riposo.

D’altra parte, la sceneggiata verificatasi nel salone affollatissimo di Washington che si è trovato ad ospitare le centinaia di persone facenti capo a vario titolo alle ventuno delegazioni che accompagnavano i capi di Stato e di governo più importanti del mondo, solennemente riuniti per dare una risposta ai problemi prepotentemente posti sul tappeto dalla più grave crisi finanziaria mai verificatasi, si commenta da sola, presentandosi come la classica montagna che ha partorito non già l’altrettanto classico topolino, ma ha deciso di non decidere e di rinviare tutto al prossimo mese di aprile dell’anno che verrà immediatamente dopo questo davvero orribile 2008, il tutto condito da un documento finale farcito di impegni solenni quanto scritti bellamente sull’acqua e da promesse da marinaio di agire di concerto, quando tutti oramai sanno benissimo che si è deciso di andare ognuno per la sua strada, mediante l’adozione di piani di salvataggio nazionali nell’ordine di decine o centinaia di miliardi di euro, dollari o sterline, a seconda delle rispettive valute e disponibilità.

Va detto, ad onor del vero, che una volta tanto i mercati avevano capito tutto con un certo anticipo, cosa particolarmente vera per il mercato azionario statunitense che ha chiuso una delle tante ottave schizofreniche con un bel tonfo malaugarante per gli augusti ospiti convenuti nella capitale dell’ex impero a stelle e strisce, un paese dove i politici di fede repubblicana, sonoramente sconfitti nel recente Election Day, non trovano di meglio da fare che mettere i bastoni tra le ruote del piano di salvataggio dell’industria automobilistica locale, apparentemente, in qualche caso sinceramente, del tutto indifferenti al possibile ricorso alla protezione della legge fallimentare dei tre colossi del settore e che rispondono ai nomi di General Motors, Ford e Chrysler, un evento che porterebbe con sé la cancellazione di un numero sterminato di buste paga dei dipendenti delle tre compagnie, ma soprattutto dell’amplissimo indotto!

La stessa ragione del rinvio dell’ora delle decisioni più o meno fatali da parte dei tremebondi vertici politici dei ventuno paesi è davvero esilarante, in quanto era noto a tutti che il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America non si insedierà prima del 20 gennaio e non sarà in grado di prendere decisioni storiche prima della fine della primavera prossima, rendendo del tutto inattuabile la proposta di rinvio a febbraio avanzata dal bellicoso ed iper decisionista presidente francese, uno che se non prende una decisione un giorno sì e l’altro pure pensa davvero di aver sprecato un giorno della sua vita, ma che si è piegato alla dura logica delle previsioni costituzionali statunitensi che prevedono la compresenza di due presidenti per la bellezza di due mesi e mezzo.

Ma siamo poi così sicuri che i capi di Stato e di governo siano così rattristati dal fatto che le prime misure concrete verranno forse decise non prima di venti mesi dopo quello che tutti oggi definiscono lo tsunami finanziario ed in un periodo nel quale lo stesso avrà fatto in tempo a fare a polpette buona parte dell’economia cosiddetta reale?

Spiace per coloro che ancora credono alle favole, in particolare a quelle nel quale vi è sempre un cavaliere azzurri che salva la principessa da un pericolo mortale e si conclude con l’immancabile tutti vissero felici e contenti, ma l’evidenza della dura realtà dei fatti induce a ritenere che Brown, Sarkozy, Merkel, Berlusconi e compagnia cantante non vogliano farsi sfuggire l’occasione della loro vita, mettendo mani e piedi nel potere economico finanziario ed industriale, potendo finalmente rimettere al loro posto quanti, tra top manager, top bankers, numeri uno di compagnie di assicurazione, locuste e compagnia cantante si erano allargati a dismisura, spesso gestendo attivi di bilancio superiori allo stesso prodotto interno lordo del paese nel quale la loro multinazionale era basata e che avevano, per di più, la pretesa davvero insopportabile per i leaders più o meno eletti dai rispettivi popoli di rappresentare loro il potere con la p maiuscola!

Non farei troppo affidamento sulla voglia di presidenti della repubblica e primi ministri quasi miracolosamente riemersi all’onore della cronaca dal profondo rosso dei sondaggi redatti non più tardi di qualche mese orsono di tornarsene buoni, buoni al loro posto, nuovamente negletti dai loro contemporanei, proprio ora che hanno la possibilità di decidere dei destini delle banche, delle compagnie di assicurazione e di tante altre entità protagoniste del più grande casinò a cielo aperto del mondo, il mercato finanziario globale, esercitando fino in fondo l’estremo potere discrezionale legato alla fase di altrettanto estrema emergenza, una discrezionalità di cui si è già fatto massimo interprete quell’Hank Paulson, l’ex (?) investment banker un tempo a capo della potente ed ancor più preveggente Goldman Sachs, che, da ministro del Tesoro statunitense, ha deciso quale Investment Bank salvare, quale affondare, accasando Bear Stearns, Merrill Lynch, tenendo nel limbo Morgan Stanley e spedendo all’inferno della procedura fallimentare la forse a lui non simpatica Lehman Brothers, peraltro dando di questa decisione una spiegazione scritta letteralmente sull’acqua.

Non mi soffermo sulle intenzioni vere o presunte, ma nenanche troppo nascoste, di Brown, Sarkozy e Merkel, ma vorrei fare notare che l’uomo più felice del momento appare decisamente essere il per la terza volta ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che ha ora pienamente modo di applicare la sua ricetta ai da lui odiati banchieri nostrani!

Ricordo che il diario della crisi è presente anche sul mio blog http://www.diariodellacrisi.blogspot.com/ e che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.