lunedì 10 novembre 2008

L'atto di accusa di Sarkozy contro l'amico americano preannucia un G20 di fuoco!


Trovo francamente esilaranti i commenti di buona parte della stampa mondiale sulla tranquilla e cooperativa transizione tra il non compianto ex presidente George W. Bush e l’appena eletto Barack Obama, non fosse altro che per l’annuncio dell’intenzione del neo eletto di cancellare, appena insediato ed in forza di provvedimenti immediatamente esecutivi, ben duecento leggi fortemente volute dal suo predecessore su materie delicate quali l’aborto e la ricerca sulle cellule staminali, nonché la ferma determinazione ad approfittare a piene mani dello spoil system, sostituendo almeno ottomila esponenti di ogni ordine e grado appartenenti a svariati enti federali, un insieme di prime mosse che, nella migliore delle ipotesi, può essere definita una rivoluzione tranquilla, ma pur sempre una rivoluzione.

Certo, fino al 20 gennaio 2009, il presidente, purtroppo, continuerà ad essere l’ultimo rampollo della dinastia dei cespugli, così come è altrettanto certo che il giovane presidente letto non presenzierà all’attesissimo vertice del G20 (a proposito, non si può che essere contenti che, dopo un’intensissima attività di lobbing, anche la Spagna di Zapatero ha conquistato un posto a tavola), ma non vi è dubbio alcuno che il suo fantasma aleggerà nell’ampia sala di Washington dove troveranno posto i 21 capi di Stato e di governo, affiancati da centinaia di volenterosi ed efficienti sherpa, non fose altro che per l’impressione che ha fatto vedere schierati insieme ad Obama il fior fiore dell’intellighenzia economica ed investitori del calibro di Warren Buffett, un’apparizione davanti ai media di tutto il mondo tesa ad infondere il messaggio che la nuova amministrazione vuole dare luogo ad una vera e propria inversione ad u nella politica economica, in quella fiscale, ma, soprattutto, che non si accontenterà di riforme di facciata per quel casinò a cielo aperto che è oramai divenuto il mercato finanziario statunitense, al pari di quello globale!

Non è peraltro, certamente un caso che il decisionista presidente francese, Nicolas Sarkozy, abbia deciso, ad esito elettorale acclarato, di portare sino il suo affondo agli amici americani, annunciando urbi et orbi che il sistema uscito dai faticosissimi negoziati di Bretton Woods e che sancirono la supremazia assoluta del dollaro e degli Stati Uniti d’America è definitivamente finito quel 17 settembre dell’anno di disgrazia 2008, quando si è lasciata fallire una banca del calibro di Lehman Brothers senza sentire il bisogno di fare nemmeno una telefonata ai partners europei, una decisione davvero esiziale, in quanto la storica banca d’investimento, al pari delle altre consorelle a stelle e strisce sopravvissute alla tempesta perfetta oramai divenuta banca commerciale, era una sorta di piovra i cui lunghissimi tentacoli sono difficilissimi da recidere in modo indolore, come hanno avuto modo di sperimentare sulla loro pelle banche, compagnie di assicurazione, fondi pensione, fondi di investimento, malcapitati risparmiatori/investitori ovunque basati nel globo terracqueo.

L’implacabile atto d’accusa del bellicoso e mai domo presidente francese rischia di avere un effetto ancora più dirompente di quella decisione del suo lontano predecessore che rispondeva al nome di Charles De Grulle, che ebbe il merito di mettere allo scoperto il bluff insito in un ordine monetario internazionale basato sulla superstizione della convertibilità della valuta statunitense in oro, al cambio di 35 dollari per oncia, chiedendo ed ottenendo la conversione di un miliardo di dollari in lingotti, ma allo stesso tempo costringendo un infuriato presidente pro tempore degli Stati Uniti d’America, ad approfittare della chiusura ferragostana dei mercati valutari per dichiarare conclusa l’esperienza dell’convertibilità del dollaro in quel relitto barbarico rappresentato dal metallo giallo.

Ho letto con la dovuta attenzione l’editoriale domenicale dell’ex (?) direttore del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalari, un uomo che spazia tra le questioni teologiche, la politica, ma che continua a nutrire un’autentica passione per il suo primo amore: l’economia, in questo caso rappresentata dal possibile esito del prossimo G20/G21 e del quale preconizza un più che probabile esito inconcludente, ma dimostrando, nel frattempo e forse non del tutto a caso, una totale sottovalutazione di quel sussulto di consapevolezza che oramai pervade le cancellerie e le banche centrali di tutto il mondo, la consapevolezza, cioè, che di fronte al baratro sul ciglio del quale ci ritroviamo tutti quanti, nessuno escluso, non è più tempo di comunicati finali preconfezionati e che, volenti o nolenti, da quel vertice dovranno uscire le prime scelte chiare in termini di riregolamentazione, intervento massiccio ed irto di condizioni degli Stati nel capitale delle banche e forse anche di alcune compagnie di assicurazione, forti interventi diretti, o via istituzioni finanziarie occupate manu militari, di interi settori industriali, misure a sostegno della domanda delle famiglie e chi più ne ha ne metta!

Credo proprio che i decision makers mondiali siano perfettamente consapevoli del fatto che tutto questo andava fatto ieri e che quindi non esiste più nemmeno il più esile diaframma temporale per continuare a gingillarsi tra possibili alternative meno incisive, pena una ripresa selvaggia del meldown dei titoli azionari prodromico a default a catena di quegli stessi soggetti che si dovesse decidere di lasciare al loro destino in base a quello sputtanatissimo principio neoliberstico, che in quanto a dimostrabilità fa il paio con gli assunti dei neoconservatori statunitensi, che il mercato, lasciato a sé stesso, raggiunga il migliore degli equilibri possibili.

Così come ritengo assolutamente non fondata e francamente al limite del cinismo l’opinione del professor Guido Rossi, un giurista che ha occupato, via via, un’infinita serie di incarichi aziendali ed istituzionali, quando, quasi fosse un passante immune da qualsiasi responsabilità, si oppone strenuamente all’intervento dei fondi statali nelle banche, giungendo a sostenere che,peraltro, di questo non vi sarebbe assolutamente alcun bisogno, prendendo per buone le rassicurazioni dei banchieri sullo stato di salute delle banche da loro gestite!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.