mercoledì 26 novembre 2008

Le vere ragioni dell'inerzia di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti sul decreto salva banche!


La decisione dell’amministrazione uscente di George W. Bush di acquistare titoli della finanza strutturata collateralizzati da varie forme di debito, mutui, prestiti per l’acquisto dell’auto, prestiti a studenti e via discorrendo, nonché mutui veri e propri per 800 miliardi di dollari complessivi porta l’impegno finanziario complessivo dei vari enti federali statunitensi alla stratosferica cifra di 7 mila miliardi di dollari, un volume di fuoco potenziale che non è destinato ad essere speso integralmente, ma tale comunque da far venire il mal di testa ai, allo stato pochi in verità, cultori della religione del pareggio di bilancio.

Analogamente ad altre misure prese di recente, anche le decisioni di ieri sono finalizzate a disinnescare il micidiale meccanismo che trasforma il meltdown dei titoli della finanza strutturata in una sorta di sindrome cinese che paralizza allo stesso tempo le maggiori banche di ogni ordine e rango e le autorità monetarie, rendendo possibile quelle forme di rinegoziazione del servizio del debito che rappresentano l’unica possibilità di salvezza per quanti si trovano oggi nell’alquanto scomoda posizione di debitori per importi che in non pochi casi superano il reddito effettivo mensile e che, in assenza di correttivi, sono fatalmente destinati a perdere la propria casa, vedersi pignorata l’automobile o dover rinunciare a frequentare l’università.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale dell’ottica protestante sinora prevalente negli Stati Uniti d’America e che era supportata da una legislazione che impediva anche agli stessi giudici di modificare le a volte anche assurde norme contrattuali che avevano determinato l’innalzamento spaventoso delle rate, una logica che prevede che chi sbaglia deve inesorabilmente pagare e che è stata mirabilmente descritta da Charles Dickens con riferimento alla situazione del Regno Unito, con i debitori costretti a finire in prigione per non aver onorato i propri debiti.

Non è certo un caso se dietro questa nuova e più compassionevole visione vi siano in prevalenza donne impegnate ad alto livello nell’amministrazione di Bush Junior, come l’ottima presidentessa della Federal Deposit Insurance Corporation, che, sin dal fallimento in luglio della banca californiana IndyMac, ha imposto ai subentranti l’onere di offrire ai mutuatari la possibilità di pagare tassi del tre per cento con un importo massimo che non può comunque superare il 38 per cento del loro reddito familiare, una condizione posta a tutte le banche salvate dagli interventi statali, incluso il colosso creditizio che porta il nome di Citigroup e che viene accettata sempre più di buon grado dai top manager bancari per la semplicissima ragione che è sempre meglio recuperare quanto da loro anticipato che continuare ad ammassare case pignorate che, come conferma l’ultima rilevazione dell’indice Case-Shiller, vedono crollare il proprio valore, per non parlare del costo medio di 50 mila dollari che le banche sostengono per la procedura di foreclosure.

Non so assolutamente se il colossale impegno finanziario dell’attuale amministrazione e le prime idee rese note dal presidente eletto saranno sufficienti a costruire un’efficace diga nei confronti degli alti marosi della tempesta perfetta, ma concordo con quanti sostengono che l’estrema elasticità del sistema economico e sociale a stelle e strisce consentirà maggiori chance di rivedere la luce in fondo al tunnel, anche se resta impossibile prevedere il timing della possibile inversione di tendenza, anche alla luce dell’annunciato quasi raddoppio della flessione del PIL statunitense nel terzo trimestre e della pesantissima previsione relativa all’entità della flessione nell’ultimo quarto di questo veramente orribile 2008.

Se si volge lo sguardo allo scenario europeo, il discorso si complica moltissimo, per l’altrettanto semplice ragione che, in assenza di un vero governo dell’Unione Europea e con una moneta unica che caratterizza meno della metà dei paesi membri, è del tutto impossibile prevedere un piano di salvataggio unico avente le stesse caratteristiche e lo stesso volume di fuoco di quello adottato dagli Stati Uniti d’America, una circostanza che rende meno certi gli effetti dei mega piani adottati, a livello esclusivamente nazionale,da paesi quali la Gran Bretagna, la Francia e la Germania per complessivi 1.500 miliardi di euro e rotti, per non parlare degli oltre 2.000 miliardi previsti sommando tutti i paesi dell’Unione.

Temo che non porterà soverchia fortuna la logica imperante dell’ognun per sé e Dio per tutti, non fosse altro che per la palmare evidenza del fatto che un impegno finanziario di queste dimensioni non produce lo stesso effetto di annuncio che avrebbe se fosse gestito in modo unitario e, soprattutto, seguendo criteri uniformi, né servono, in questo contesto, a molto le accresciute prospettive di ingresso nella moneta unica delle valute di importanti paesi che hanno a suo tempo esercitato l’opting out!

Gli evidenti limiti di questa logica da rissosa assemblea condominiale assumono dimensioni drammatiche nella realtà italiana, una realtà caratterizzata da un tasso di solidarietà nazionale giunto ai minimi storici e nella quale sembra, ogni giorno che passa, prevalere la logica del regolamento di conti tra il potere economico e quello politico, al momento incarnato da una maggioranza guidata da un premier e da un ministro dell’Economia che, nonostante siano alla terza esperienza nei rispettivi ruoli, non hanno mai nascosto la propria insofferenza nei confronti delle banche e delle fondazioni di origine bancaria, un’insofferenza forse solo pari a quella da loro nutrita nei confronti di quelle grandi dinastie industriali ree di non aver appoggiato da subito e con convinzione il progetto berlusconiano di contrasto alla sinistra politica ed a quella sociale.

Il continuo rinvio del decreto che consentirebbe la sottoscrizione delle obbligazioni subordinate perpetue da parte dello Stato è tutto meno che casuale, così come lo è l’indeterminatezza delle somme impegnate da Bermonti in questo sforzo finanziario che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, è molto atteso dai beneficiari!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.