venerdì 12 settembre 2008

Alla ricerca del terzo dossier di Henry Paulson!


Il settimo anniversario dell’11 settembre 2001 ha visto, almeno per un giorno, uniti i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America ed è, come tutti ben sanno, una ricorrenza molto triste per tutti, ma in particolare per il settore finanziario statunitense che vide un alto numero di persone facenti capo a diverse banche perire nel crollo delle torri gemelle di New York che ospitavano le sedi operative di numerose di esse.

Secondo un recente sondaggio, il terrorismo internazionale, una galassia che include l’organizzazione guidata dal saudita Osama Bin Laden che ha rivendicato quell’attacco al cuore dell’America, non è più in cima alle preoccupazioni dei cittadini statunitensi, che si dichiarano molto più preoccupati per il meltdown immobiliare, per la perdurante crisi finanziaria, per la incessante perdita di posto di lavoro, un’emorragia che le massicce assunzioni governative e lo sforzo bellico in Irak ed Afganistan non riescono più a contrastare.

Solo pochi economisti ed analisti non embedded hanno segnalato che l’innalzamento massiccio dello stock del debito pubblico statunitense, passato nello scorso fine settimana da 9.500 a poco meno di 15.000 miliardi di dollari, non è solo grave in sé, ma fa perdere agli USA, liberi dai ceppi stringenti previsti per i paesi europei dal Trattato di Mastricht, quella libertà di manovra in materia di politica economica che sempre era stata invidiata dai decision makers economici e politici dell’area dell’euro, una conseguenza del salvataggio/ nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac che lega le mani al nuovo inquilino della Casa Bianca, non importa sia Mc Cain o Obama, che si privano in un sol colpo di un margine di manovra che avrebbe consentito di dare finalmente una risposta efficace ai problemi posto dalla recessione già in corso da tempo, secondo indicatori molto più attendibili del Prodotto Interno Lordo..

Siccome è noto che i guai non vengono mai soli, è piombato ieri sul mercato un dato record relativo al deficit mensile della bilancia commerciale statunitense in agosto, che, con un rosso di oltre 62 miliardi di dollari, segna il deficit mensile più elevato negli ultimi diciotto mesi e segnala in modo inequivocabile che il recente rafforzamento del dollaro potrebbe vanificare del tutto la corsa dell’export garantita nei mesi scorsi dal vero e proprio tracollo del cambio del dollaro trade weighted.

Né migliori notizie vengono dal fronte dell’occupazione, sarebbe meglio dire da quello della disoccupazione, in quanto, contrariamente alle aspettative degli analisti, il dato sui sussidi settimanali ha solo parzialmente corretto il record registrato la scorsa settimanali, una notizia che rappresenta l’ennesima conferma delle drammatiche conseguenze del gigantesco credit crunch in atto, a sua volta diretta conseguenza dell’interruzione di quella sorta di catena di Sant’Antonio rappresentata dai titoli della finanza strutturata che hanno favorito la creazione di numerose bolle speculative oramai drammaticamente esplose.

Non vi è chi non veda quanto l’argomento clou della aspra campagna elettorale per le presidenziali USA, l’unico, peraltro, che vede in perfetta sintonia John Mc Cain e Barack Obama, è rappresentato dalla proposta di cambiamento di una politica governativa che sta facendo di tutto e di più per favorire gli interessi di Wall Street contro quello delle tante Main Street presenti in tutte le località degli Stati Uniti d’America, con l’aggravante che, anche nell’ambito del travagliatissimo settore bancario statunitense, viene operata una chiara ed alquanto feroce discriminazione tra le grandi banche, non importa se di investimento e banche più o meno globali, e quelle di medie e piccole, a volte piccolissime dimensioni, una politica orchestrata dal duo Paulson-Bernspan che mette sulle spalle del contribuente i guai delle prime, mentre lascia inesorabilmente le seconde al loro triste destino!

Come sto ripetendo da diverse puntate, il salvataggio di Fannie e Freddie, via nazionalizzazione delle stesse, ha scoperchiato il vaso di Pandora della finanza strutturata, con la più che prevedibile conseguenza di aprire contemporaneamente il secondo ed il terzo dossier che Paulson pensava di poter tranquillamente gestire nel tempo, una volta archiviato così brillantemente il primo fascicolo relativo alle due mega entità un tempo semipubbliche.

Non è certo un caso se, a parte un prevedibilissimo e non esaltante rimbalzo dei listini verificatosi lunedì, da ben tre sedute stiamo assistendo non solo ad un meltdown delle quotazioni delle azioni delle principali entità protagoniste del mercato finanziario statunitense, ma, più in particolare, al progressivo tendere a zero del valore dell’azione di Lehman Brothers, la storica banca di investimenti passata nell’ormai lontano 1969 dalla gestione diretta degli eredi degli storici fondatori alle cure di Richard Fuld, uno dei pochissimi top manager dell’Investment Banking che può vantare un’anzianità di carica che sfiora i quarant’anni; peccato che non vi sia in giro nessuno pronto a scommettere che Richard potrà coronare il suo sogno di spegnere le fatidiche quaranta candeline sulla torta e questo per il semplicissimo motivo che nessuno davvero sa cosa lo abbia spinto a convocare ieri una conferenza stampa che ha avuto l’unico risultato di mostrare al mondo intero la sua impotenza a fronteggiare lo sfacelo in cui versa Lehman.

Ciò non toglie che faceva impressione vedere che dopo il -45 per cento di martedì ed il –6 per cento dell’altro ieri, anche ieri l’azione di Lehman veniva scambiata nelle prime contrattazioni con un ulteriore flessione che si aggirava intorno al 40 per cento, un andamento a spirale verso il basso che non aveva caratterizzato nemmeno le ultime giornate di vita del defunto orso di Stearns, il tutto mentre il Credit Default Swaps relativo al debito di Lehman raggiungeva livelli di spread largamente superiori a quelli registrati da Bear Stearns nelle sue ultime ore di vita, né può servire da consolazione al disperato Fuld il fatto che il CDS relativo alla disastrata Washington Mutual, la più grande cassa di risparmio degli USA, evidenziava livelli di spread ancora più elevati di quelli di Lehman.

Ma archiviato il primo dossier ed a pochi giorni, se non a poche ore, dalla conclusione in un senso o in un altro del secondo intestato a Lehman, tutta l’attenzione degli analisti e degli operatori è concentrato sull’ormai famoso terzo dossier posto in bella vista sulla scrivania di paulson al dicastero del Tesoro, un dossier il cui intestarlo resta ancora sconosciuto ai comuni mortali, una circostanza che, se da un lato la dice lunga sul grado di trasparenza che caratterizza il mercato finanziario statunitense, sta anche spingendo quei giocatori d’azzardo che amano definirsi investitori, e che io chiamo invece senza remore eccessive speculatori, stanno buttando giù le quotazioni delle azioni delle altre sei maggiori indiziate che, lo ricordo, sono Morgan Stanley, Merrill Lynch e Goldman Sachs per l’investment banking e Citigroup, Bank of America e Wachovia Bank per le banche commerciali!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.