lunedì 8 settembre 2008

Il capitalismo finanziario si getta nelle braccia dello Stato!


Tanto tuonò che finalmente piovve! Dopo settimane, se non mesi, di voci sul possibile intervento pubblico nei due colossi semipubblici del mortgage statunitense, Fannie Mae e Freddie Mac, due entità mal gestite e tecnicamente fallite, ieri, a mercati chiusi come d’obbligo, il ministro del Tesoro statunitense ed numero uno di Goldman Sachs, Henry Paulson, ha finalmente messo la parola fine a questo fouiletton estivo ed ha comunicato urbi et orbi che il governo federale aveva preso il controllo di Fannie e Freddie, estromesso i precedenti vertici ed i due board of directors e nominato i due nuovi capi delle due aziende.

Al vertice di Fannie Mae è stato chiamato Herb Allison, un ex Vice Chairman di Merrill Lynch, mentre a guidare Freddie Mac è stato nominato David Moffett, in precedenza Vice Chairman di US Bancorp, due veterani dell’investment banking e del retail banking che non hanno avuto, tuttavia, posizioni da presidente o amministratore delegato nelle due banche nelle quali hanno operato per tanti anni.

Una volta tanto, Paulson ha potuto dire la verità e, cioè, che le due entità sono così grandi e così interconnesse con l’intero sistema finanziario che un loro fallimento avrebbe determinato gravissime conseguenze sia negli Stati Uniti d’America che nel resto del mondo, il che, tradotto in termini più semplici, significa semplicemente che il loro stato era esattamente quello del too big to fail che per decenni ci era stato detto, quasi con fastidio, essere un criterio che non sarebbe mai stato più utilizzato, tesi divenuta un mantra nell’era del neoliberismo, della globalizzazione e della finanziarizzazione, la nuova era che avrebbe dovuto mandare in soffitta tutto quanto non rispondeva alle ferree logiche del mercato.

Sempre secondo Paulson, l’eventuale fallimento di Fannie e Freddie avrebbe colpito duramente la stessa possibilità dei cittadini americani di procurarsi mutui, finanziamenti per l’acquisto dell’automobile e di ottenere credito per i loro consumi anche mediante gli altri vari e più disparati sistemi attualmente in uso, forme di finanziamento che sono l’essenza stessa del modello consumistico americano e che ha consentito di coltivare l’illusione che potesse esistere uno sviluppo infinito.

Secondo le prime e parziali stime, l’intervento del governo sarebbe di 200 miliardi di dollari circa, necessari a rilevare le cosiddette preferred shares di Freddie e Fannie in mano alle banche statunitensi ed a qualche banca globale per 36 miliardi, nonché, pare, a riconoscere qualcosa anche a quanti sono in possesso delle azioni ordinarie, non si sa ovviamente quale sarà la valutazione né delle prime né delle seconde

Per indorare la pillola del nuovo, durissimo, colpo inferto alle tasche dei contribuenti, quel rigiratore di frittate di professione che risponde al nome di Henry Paulson non ha trovato di meglio da dire, se non che le conseguenze derivanti dalla decisione di lasciare Fannie e Freddie al loro destino sarebbe complessivamente costato molto di più, senza, peraltro, sentire il bisogno di fornire alcuna spiegazione di questa affermazione che è in sé lapalissiana ma anche molto discutibile, soprattutto se si scende in quei fastidiosi dettagli che Henry amavama molto chiedere ai suoi collaboratori quando era ancora al vertice di Goldman.

Entrambe le istituzioni verranno poste sotto il controllo della Federal Housing Finance Agency, la nuova agenzia fedrale creata dal Congresso a giungo di quest’anno per regolare, appunto, le attività di Fannie Mae e Freddie Mac.

Dispiace che non vi sia alcun cenno alla sopravvivenza di un’altra istituzione consorella delle due testé salvate, Sallie Mae, che svolge un ruolo insostituibile nel finanziamento dell’acquisto delle case da parte degli studenti universitari che spesso non avrebbero i requisiti per ottenere mutui o finanziamenti dalle banche normali.

Quello che non risulta assolutamente chiaro è quale sarà la sorte degli oramai famosissimi GSE, quei titoli obbligazionari emessi, per la non piccola somma aggregata di 5.200 miliardi di dollari da Fannie e Freddie e che, come ci ricordava qualche tempo fa Allen Sinai, rappresentavano un qualcosa come 65 volte il patrimonio delle due entità aggregate insieme, un livello di leva che fa impallidire quello che caratterizzava le Investment Banks statunitensi prima che le cose volgessero decisamente al peggio e che, nel peggiore dei casi, vedeva l’indebitamento non collocarsi al di sopra delle 33 volte il capitale.

La cosa più divertente della conferenza stampa domenicale di Paulson è data dalla cura con la quale il nostro ha in ogni modo evitato di tirare la croce addosso ai due precedenti numeri uno di Fannie e Freddie, rispettivamente, Daniel Mudd e Richard Syron, quasi che non dipendesse da loro il disastro totale cui sono giunte queste due entità negli anni della loro gestione, disastri certamente aggravati dal fatto che stiamo vivendo la più grave crisi finanziaria dalla fine della seconda guerra mondiale, ma che affondano le loro radici in quel misto di arroganza e stupidità che già tanti altri disastri hanno provocato in aziende di ogni settore!

Non credo che l’impatto dell’ancora non del tutto disgelato piano di salvataggio di Fannie e Freddie potrà essere rappresentato dalla più che scontata reazione positiva immediata dei mercati borsistici statunitensi e mondiali, quanto piuttosto dall’eventuale allentamento delle tensioni sui mercati interbancari che potrebbe risentire favorevolmente dell’abbandono della favola mercatista e della ripresa dell’interventismo statale in funzione non solo di salvataggio ma anche di maggiore regolazione degli eccessi che, come si è avuto ampiamente modo di vedere in questi lunghissimi tredici mesi, alla fine finiscono per creare problemi anche, in queta fase almeno direi soprattutto, a coloro che li hanno originati.

Se avevo ancora qualche dubbio sulla reale gravità della situazione nel mercato finanziario globale, devo dire che le parole di Trichet e di Almunia nel meeting di Cernobbio hanno contribuito a fugarli, in quanto, lette come è doveroso in controluce, fanno intendere che la strada per uscire da questo lungo tunnel è davvero molto, ma molto lunga e che le stesse date per un’eventuale ripresa prossima ventura possono essere tranquillamente posposte di almeno un anno rispetto a quell’estate dell’anno prossimo da loro indicata come probabile.

Ricordo che il diario della crisi è presente anche sul mio blog http://www.diariodellacrisi.blogspot.com/ e che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.