sabato 6 settembre 2008

Trichet svaluta i titoli della finanza strutturata!


Dietro al crollo dei mercati azionari europei che ha preceduto il tracollo immediatamente successivo di Wall Street, con perdite medie dei tre listini principali oscillanti intorno ad un rotondo 3 per cento, molti hanno visto la decisione della Banca Centrale Europea che ha sì confermato il tasso di riferimento al livello attuale del 4,25 per cento, ma ha deciso di fornire liquidità alle banche a fronte di titoli della finanza strutturata, ma non alla pari bensì applicando uno “sconto” del 12,5 per cento che resta ancora generoso rispetto ai livelli di svalutazione accettati, ad esempio, dal Chief Financial Officer di Merrill Lynch che ne ha di recente venduti per 30 miliardi di dollari circa a 22 centesimi per dollaro, ha finanziato pressoché integralmente l’acquirente ed ha anche dovuto garantirgli il riacquisto, nel, francamente improbabile, caso che le cose peggiorino ulteriormente e spediscano il valore di questi CDO addirittura significativamente al di sotto del prezzo pagato.

Ovviamente, Bernspan si rifiuta ostinatamente di prendere atto di questa triste e purtroppo palese realtà e continua ad autorizzare gli addetti alla ampia discarica aperta dalla Fed di New York continuare a considerare perfettamente buoni questi titoli, fornendo liquidità alla pari per ben 84 giorni, finanziando anche entità, come le Investment Banks che, almeno al momento, sono sottratte alla vigilanza della Federal Reserve, ma rifiuta anche ed altrettanto ostinatamente a mantenere il tasso sui Fed Funds a 225 punti base al di sotto del tasso applicato nell’area dell’euro, mentre il rispolverato tasso ufficiale di sconto, che è poi quello che rappresenta per le banche di ogni ordine e grado il prezzo del biglietto di ingresso alla discarica, continua a segnalare un differenziale negativo di 200 punti base rispetto a quello europeo.

Mentre si discute tanto dei bailouts prossimi venturi e ci si interroga appassionatamente sul who is the next?, non ho timore alcuno a dichiarare che è quello di Bernspan e dei suoi complici assisi sui loro scranni al Federal Open Market Committee il vero salvataggio, indiscriminato, continuato ed aggravato delle banche statunitensi e dei big stranieri ivi operanti, lasciando, invece, al loro destino quelle 7.200 residue banche più o meno marginali, delle quali nove sono già fallite, mentre 117 sono nella lista dei casi urgenti redatta dalla molto impoverita Federal Deposit Insurance Corporation, una lista peraltro criticata da più di un analista per l’inaccuratezza ed i ritardi che la caratterizzano, come è stato ben testimoniato dal fallimento della Indymac che è risultato palese non essere inclusa nella lista fino al giorno del default!

Suggerirei, come al solito pacatamente e sommessamente, ai due principali candidati che si contendono il privilegio di abitare alla Casa Bianca di smetterla con il trito e ritrito slogan che vede Wall Street versus Main Street, in quanto sta emergendo una chiara e palese contraddizione in seno al popolo delle banche, ala luce dell’evidente concentrazione di ogni sforzo di Bernspan e di Henry Paulson, nonché di quella pletora di Authorities statunitensi (sono talmente tante che per riunirne i membri operanti ai vari livelli occorrerebbe uno stadio) che sembrano sempre essere da una altra parte quando sta per verificarsi qualche disastro, che sia poi ambientale, finanziario o di altra natura, poco cambia nell’economia del discorso.

Cosa ci dice il tracollo dell’azione di Lehman Brothers verificatosi giovedì? Molto semplicemente ci fa capire che, nonostante l’arrivo del fondo dei pensionati dell’esercito coreano in sostegno dell’offerta della Korean Development Bank e mentre Richard Flud si sforza ostinatamente di convincere il mercato che i suoi titoli della finanza strutturata sono diversi da quelli di John Thain e che, quindi lui li può tranquillamente piazzare in una bad bank con una correzione del loro valore compresa tra il 12 ed il 15 per cento, è molto difficile qualcuno disposto a considerare Lehman qualcosa di diverso da quello che è stato l’orso di Stearns nei suoi ultimi e davvero tragici giorni di vita, né il parziale recupero registrato dall’azione ieri cambia di molto le cose.

Ma come ci ha efficacemente ricordato l’ex guru della stessa Lehman ed ora proprietario e presidente di un molto quotato think tank, Allen Sinai, la tempesta perfetta in corso è veramente grave perché va a toccare due questioni che sono inestricabilmente connesse all’American Dream, e che sono rappresentata dalla casa di abitazione e dal lavoro, due questioni in questo momento in situazione veramente critica e che, insieme all’insostenibile pesantezza dell’indebitamento delle famiglie, rischiano proprio di ingenerare una mutazione genetica delle cicale americane in risparmiose formichine di stampo molto vecchia Europa. D’altro canto, il clamoroso balzo in avanti del tasso di disoccupazione statunitense (dal 5,7 al 6,1 per cento), la perdita di altre buste 84 mila buste paga e la robusta revisione delle perdite di posti di lavoro nei due mesi precedenti (+58 mila) non aiutano certo il morale di analisti ed operatori.

Non credo, peraltro, che i 112 mila dipendenti dell’industria bancaria che hanno già perso il posto si siano sentiti rasserenati al pensiero che nella sola Gran Bretagna sono previsti nel medesimo settore tagli per almeno 100 mila unità, con l’aggravante che una buona percentuale di queste donne ed uomini che hanno visto alquanto drammaticamente interrompersi il loro rapporto con il datore di lavoro provengono dall’attività di investment banking e sono ben consapevoli che molto, ma molto difficilmente, potranno rientrare in quel mondo certamente stressante ed impegnativo ma caratterizzato da retribuzioni di fatto che è molto difficile trovare altrove, effetto di shock ben testimoniato dall’incremento esponenziale delle prestazioni psichiatriche e psicoanalitiche nella città di Londra di cui parlavano ieri alcuni quotidiani.

Se si utilizzasse, poi, un criterio di posto di lavoro standard, basato sulle retribuzioni medie praticate negli Stati Uniti D’America, scopriremmo non solo che sino perse, e purtroppo ancor di più se ne perderanno in un futuro molto prossimo, l’equivalente di milioni di posizioni di lavoro standard, ma che l’impatto di questi tagli occupazionali sui livelli dei prezzi, degli affitti, del valore delle abitazioni e delle stesse prestazioni professionali di vario genere subiranno alquanto inevitabilmente un impatto recessivo destinato altrettanto fatalmente ad estendersi al comparto produttivo e cioè a quella economia reale che sta registrando processi di espulsione che sono, se possibile, ancora più drammatici e destinati, nella solita logica dell’effetto domino, a deprimere ulteriormente i livelli dei prezzi, degli affitti, del valore delle abitazioni e delle prestazioni professionali ancora più marcati di quelli che si registrano oggi.

D’altra parte, è a tutti noto che il principale business di Fannie Mae, Freddie Mac, della maggior parte delle banche di ogni genere e grado e delle finanziarie è rappresentato oggi dalla parte terminale degli innumerevoli percorsi di foreclosure che hanno colpiti americani a milioni, e cioè quello della vendita all’asta delle abitazioni pignorate, spesso in zone che hanno già registrato cali delle quotazioni inimmaginabili soltanto pochi mesi orsono, con l’aggravante che è previsto che, nel solo mese di settembre, verranno scaricate sul mercato buona parte dello stock di 750 mila abitazioni destinate ad andare all’asta.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.