giovedì 25 settembre 2008

Due o tre ragioni che spiegano l'ingresso in forze del leone di Omaha in Goldman Sachs!


Mentre Bush, Bernspan e Paulson cercano in tutti i modi di convincere senatori ed i deputati democratici e non pochi autorevoli esponenti dello stesso partito repubblicano apiegarsi alla ferrea logica del ‘o mangiare la minestra o buttarsi dalla finestra’, mettendo da parte quisquiglie e pinzillacchere come la difesa dei legittimi interessi di quanti stanno perdendo la casa, il lavoro, se non entrambi, il Leone di Omaha, Warren Buffett ha deciso di ripetere l’antica esperienza del salvataggio, poi finito male, di Salomon Brothers, incappata negli anni Ottanta in una brutta storia di illeciti nella vendita di titoli e successivamente assorbita, sarebbe meglio dire salvata, dall’entità che solo in seguito sarebbe divenuta la Citigroup, acquistando preferred shares della potente e molto preveggente Goldman Sachs per 5 miliardi di dollari, con un opzione all’acquisto entro i prossimi anni di azioni ordinarie per altri 5 miliardi di dollari, al prezzo alquanto scontato di 115 dollari per azione.

Come ben sanno i miei lettori di più antica data, ho sempre detto che le due stelle polari contemporanee per orientarmi tra gli alti marosi della tempesta perfetta tuttora in corso sono rappresentate da George Soros e Warren Buffett, mentre considero John Maynard Keynes il mio mentore virtuale, sia per gli scritti che ci ha lasciato in eredità, sia per il metodo da lui seguito nell’affrontare questioni come il disastroso accordo di pace concluso a Versailles all’indomani della fine del primo conflitto mondiale e l’altrettanto squilibrato nuovo ordine economico e monetario internazionale scaturito dagli accordi di Bretton Woods, a secondo conflitto mondiale ancora in corso.

Ho doverosamente segnalato l’acquisto di 10 milioni di azioni della defunta Lehman Brothers da parte di Soros, mossa che trovai molto originale e certamente legata a motivazioni che sfuggono a me come a buona parte degli analisti non embedded, così non ho alcuna intenzione di sottrarmi al tentativo di scoprire quale potrebbe essere la ratio della decisione presa ieri dalla compagnia Berkshire a tutt’oggi controllato e gestito in prima persona da Buffett, in attesa che giunga al suo termine la lotteria in corso tra i quattro candidati alla successione da lui scelti qualche anno orsono, peraltro in perfetta sintonia con l’arzillo ottuagenario con cui divide la gestione dell’impero costruito dal nulla e che ha reso ricchi coloro che affidarono a Berkshire i loro risparmi e piccoli investimenti ed ora si trovano ad essere multimilionari in dollari.

Non credo che alla coraggiosa decisione di Buffett sia stata estranea la trasformazione di Goldman Sachs, così come di Morgan Stanley, da storica Investment Bank ad holding bancaria abilitata ad operare anche nel retail banking, scelta che, per quanto forse obbligata, deve avere provocato una profonda crisi di identità nei suoi numerosi partners, molti dei quali devono avere pensato che non era per appartenere ad una banca normale che avevano sostenuto e superato sino a cento colloqui con partners già in forze, donne e uomini che si considerano, e molto probabilmente sono, il meglio del meglio dei graduates e post-graduates delle più prestigiose università statunitensi o stranieri dotati di brillantissimi pedigree e vogliosi di appartenere alla più grande banca di investimenti del pianeta.

Così come non credo sia del tutto un caso o una fortuita coincidenza che la decisione del Leone di Omaha sia giunta solo ventiquattro ore prima del rilascio delle stime ufficiali del Fondo Monetario Internazionale sul conto finale, si fa ovviamente per dire, della tempesta perfetta in corso da oltre tredici mesi, passate dai 945 miliardi di metà aprile di questo anno ai 1.300 circa resi noto ieri dallo stesso Dominique Strauss Kahn, l’ex ministro socialista delle finanze d’Oltralpe che ha preso il posto di quello che poi è divenuto il presidente tedesco e che passerà alla storia per avere, in perfetta sintonia con il battagliero presidente francese, definito il mercato finanziario globale come un luogo pervaso da una perniciosa forma di follia collettiva.

Né credo sia un caso che l’astuto finanziere, notoriamente amante più della solida economia reale che delle alchimie finanziarie, abbia deciso di gettare la sua pesante fiche sul tavolo verde di quel grande casinò a cielo aperto che è oramai diventato il mondo della finanza, sette giorni dopo la rottura degli indugi da parte del trio Bush, Bernspan e Paulson, fermamente decisi a portare a casa l’approvazione del mega piano di salvataggio delle banche di ogni ordine e grado, mettendo sulle già provate spalle dei contribuenti americani un fardello di ulteriori 700 miliardi di dollari, che divengono almeno mille se si considerano anche i precedenti salvataggi dell’orso di Stearns, di Fannie e Freddie (i cui quattro uomini precedentemente al vertice sono indagati dal Federal Bureau of Investigations per reati ancora non meglio precisati, ma certamente commessi nell’esercizio delle loro funzioni) e, the last but not the least, del molto malandato colosso delle assicurazioni statunitense AIG.

Tutto si può dire di Buffett, tranne che non sia in grado di fiutare un affare o la migliore compagnia nella quale inserirsi per approfittarne, e credo proprio di avere fornito in questi mesi sufficienti elementi per comprendere perché la sua scelta sia caduta proprio su Goldman Sachs, un’entità che più che una banca sembra un esclusivo club dal quale entrano o escono persone destinate ad occupare la maggior parte dei posto di potere disponibili non solo negli Stati Uniti d’America, ma in buona parte delle nazioni del globo terracqueo, forse l’unica Investment Bank che può permettersi il lusso di avere ben due Chief Operating Officer dal costo di 70 milioni di dollari cadauno, un Chief Financial Officer che sfiora i 60 milioni di dollari, mentre il povero Larry Blankfein ha portato a casa nel 2007 la cifra complessiva di 100 milioni di dollari, ma ne ha impiegati 25,6 per mettersi un tetto sopra la testa e non ne ha trovato disponibile uno diverso dall’ampio e confortevole appartamento che ha lo stesso indirizzo del più esclusivo condominio di Manhattan, un edificio certamente più protetto di quanto lo sia la zona verde della capitale del tormentato Irak.

La tempestività di Buffett era stata peraltro testimoniata nel dicembre dello scorso anno, quando decise fulmineamente di entrare in forze nel lucroso settore delle garanzie assicurative alle varie entità facenti parte dell’amministrazione pubblica allargata statunitense, approfittando delle disgrazie dei due colossi delle compagnie monoline statunitensi, le tecnicamente fallite MBIA ed Ambac, due entità che, come la stessa AIG, avevano ceduto qualche anno fa alle sirene delle banche di investimento e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, gettandosi a capofitto nell’allora lucrosissimo ed apparentemente sicuro business delle garanzie prestate ai titoli della finanza strutturata che ora vengono definiti tossici da autorevoli banchieri ma allora godevano del massimo rating ottenibile dalle molto disinvolte ed ancora impunite agenzie di rating statunitensi, le stesse che hanno abbassato il rating di Lehman Brothers solo dopo la mesta visita dei suoi vertici al tribunale fallimentare!
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Mi scuso con i miei lettori per aver dato per scontata una delle principali ragioni che hanno indotto Warren Buffett a sottoscrivere le preferred shares di Goldman e non azioni ordinarie della stessa ed è data dal semplice fatto che le prime garantiscono un rendimento effettivo del 10 per cento che ben testimonia delle difficoltà del colosso creditizio, uno yield peraltro inferiore a quello garantito, in operazioni similari, da Citigroup, Merrill Lynch ed altre grandi banche di investimento o da banche più o meno globali; così come ricordo che se l'azione di Goldman Sachs è andata ieri controcorrente, con un rotondo più sei per cento, il relativo Credit Default Swap è a sorpresa salito, anche se di soli cinque punti base e si mantiene ad un livello veramente stellare per un'entità come Goldman.
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All'alba di oggi in Italia, giungono da Hong Kong notizie dell'assalto agli sportelli della terza banca dell'isola passata da tempo alla Repubblica Popolare Cinese, si tratta della Bank od East Asia e le scene ricordano quelle dell'estate 2007 quando interminabili file si formarono al di fuori degli sportelli della Northern Rock, poi nazionalizzata per assoluta assenza di pretendenti.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.