Una seduta del tutto prenatalizia, caratterizzata dal solito orario ridotto e da volumi di scambio molto esili, ha consentito un frazionale recupero dei tre principali indici statunitensi che fa seguito a cinque sedute negative consecutive essenzialmente dovute alle incertezze che avvolgono le prospettive del settore manifatturiero a stelle e strisce, con particolare riferimento all’alquanto disastrato comparto automobilistico e, soprattutto, a quale sarà l’impatto del recente assegno da 13,4 miliardi di dollari staccato in favore di General Motors e Chrysler.
Che qualcosa stesse bollendo nel pentolone di Bernspan e compagni, lo si è capito dall’anomala tenuta degli indici dopo un uno-due di notizie, redditi e spese dei consumatori negativi e nuovi sussidi di disoccupazione giunti a un passo dalla soglia psicologica delle 600 mila unità, ma anche dal significativo recupero dell’azione di General Motors.
L’arcano è stato poi svelato a mercati chiusi, con un comunicato della Federal Reserve che annuncia la trasformazione di GMAC, la più importante entità finanziaria dedicata essenzialmente al finanziamento dell’acquisto delle autovetture, in Bank Holding Company e la sua inclusione tra le entità autorizzate a ricevere interventi da parte del fondo di salvataggio da 700 miliardi di dollari, ma, soprattutto, a ricevere assistenza e garanzie da parte della Fed.
Come è noto, GMAC è partecipata essenzialmente da General Motors e Chrysler ed era impegnata nel tentativo di convincere i detentori delle sue obbligazioni a convertire le stesse in azioni, un operazione essenziale per la stessa sopravvivenza della società e che diventa significativamente meno problematica grazie alla decisione della Fed che, non a caso, è stata seguita da un comunicato in tempo reale di GMAC nel quale si ringrazia la banca centrale USA per quello che si presenta, al di là di ogni ragionevole dubbio, come un salvataggio in zona Cesarini di una entità che ha, nel settore automobilistico a stelle e strisce, la stessa importanza di Fannie Mae e Freddie Mac nel disastrato settore immobiliare.
La provvidenziale trasformazione di GMAC in holding bancaria renderà ovviamente più facile la trasformazione delle obbligazioni in azioni e consentirà a General Motors ed al fondo di private equity Cerberus proprietario di Chrysler di ridurre significativamente le loro quote, con la prima che si troverà a essere titolare del 10 per cento delle azioni, mentre la seconda ridurrà significativamente l’attuale 33 per cento di azioni della ex finanziaria, anche se le due case automobilistiche continueranno a essere gli azionisti di riferimento di GMAC.
Non so quanto Hank Paulson sia contento per questa ennesima sottrazione di risorse al ‘suo’ piano di salvataggio, anche se la quota di 350 miliardi di dollari (in verità erano solo 250, ma il presidente uscente Bush non ha mancato di rendere disponibili i 100 miliardi che la relativa legge attribuiva alla sua responsabilità) è, come Hank non ha mancato di dire alquanto stizzito, praticamente esaurita e si dovrà attendere l’insediamento del presidente eletto e la piena operatività del suo nuovo governo per applicare la seconda tranche del TARP.
Quello che preoccupa davvero Bernspan e i suoi soci del Federal Open Market Committee è la persistenza del differenziale tra i tassi ufficiali praticamente a zero e la cruciale scadenza a tre mesi del LIBOR sul dollaro, uno spread che ancora ieri si manteneva ostinatamente al di sopra dei 100 punti base, un livello che denota la persistenza di tensioni legata all’alto grado sfiducia reciproca esistente tra le banche operanti negli Stati Uniti d’America.
La relativa normalizzazione avvenuta sulla stessa scadenza sull’EURIBOR, che presenta uno spread intorno ai 50 punti base e quella in corso, anche se molto più lentamente sul LIBOR sulla sterlina (87 punti base), rappresentano in realtà la cifra della diversa valutazione esistente, al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, sulla solidità del prestatore di ultima istanza, rappresentato dagli stati membri dell’Unione Europea da un lato e dagli Stati Uniti d’America, dall’altro, anche alla luce dell’ampia divergenza degli squilibri strutturali esistenti nelle due più importanti aree economiche del pianeta.
La minore traduzione dagli impegni ai fatti concreti che io stesso attribuisco pressoché quotidianamente ai governi europei, rispetto a quanto sta avvenendo negli USA, è in realtà in larga misura ascrivibile alla netta sproporzione esistente tra le misure volte a garantire il garantibile adottata, su proposta di un Gordon Brown che non sarà il salvatore del mondo ma ha ottime ragioni per considerarsi colui che ha tentato di salvare il mercato finanziario europeo, se non addirittura quello globale nel mese di ottobre di quest’anno, una sproporzione enorme, ma giustificata dalla considerazione che non sarebbe convenuto a nessuno il fallimento, diciamo, di una decina delle più importanti banche europee, entità che movimentano qualcosa come l’80 per cento dell’immenso patrimonio gestito del Vecchio Continente, Gran Bretagna, ovviamente, pienamente inclusa.
Garantire a piè di lista i prestiti interbancari può sembrare una misura estrema in tempo di pace, ma non vi è dubbio che il banchiere pentito che presta gratuitamente la sua opera come ministro di Sua Maestà britannica, sapeva benissimo che si trattava di una condizione necessaria per mettere una pezza agli errori commessi nell’investment banking, anche se solo il tempo ci dirà se sarà stata sufficiente!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.